13 FEBBRAIO 2019 -LA GIORNATA DI ALTRE MEMORIE AL LABAS

La libera comune università pluriversità bolognina
in cooperazione con
AMIRS– Associazione mediatori interculturali Rom e Sinti

CESP– Centro studi per la scuola pubblica

DIEM 25-Movimento politico e culturale transnazionale europeo

LÀBAS Spazio sociale autogestito

SULLE ORME DJANGO

Radio Fuijko–RED-occhio vigile 103,1 Mhz in FM bologna

 PROMUOVE                                                                           

LA GIORNATA DI ALTRE MEMORIE
MERCOLEDI’ 13 FEBBRAIO 2019
LàBAS IN VICOLO BOLOGNETTI 2                                                       
DALLE ORE 18,30
Mostra sul Porrajmos(il divoramento nella lingua romanes) o sullo sterminio dei romani’
DALLE ORE 19,15

A forza di essere vento

Poserò la testa sulla tua spalla e farò

un sogno di mare

e domani un fuoco di legna perché l’aria azzurra diventi casa

chi sarà a raccontare chi sarà

sarà chi rimane

io seguirò questo migrare seguirò

questa corrente di ali.

DE ANDRE’

Accomunati agli ebrei e ad altre minoranze lgbtq, disabili, pazienti psichiatrici ed altre ancora da uno stesso destino di morte furono almeno 500.000 che persero la vita nei campi di stermini nazi-fascisti. Ma è come se il vento avesse disperso la memoria.

Comunicazione circolare tra promotori e pubblica

Accorda Pino de March

1- Restituzione di sguardi, riflessioni e domande dei visitatori sulle immagini viste

2 – Riflessioni su persecuzioni,stermini, resistenze e discriminazioni di ieri e di oggi

Raffaele Petrone(Cesp-Bo) curatore con M. Vescovi e G. L. Gabrielli della mostra dal punto di vista grafico e narrativo-didascalico

Tomas Fulli e Aghiran rappresentanti di Amirs – associazione mediatori interculturali Rom e Sinti e delle comunità urbane Rom e Sinte in città

3 -letture di poesie di poeti e poete romanì sui tempi vissuti tragiciamente

Pino de March Ricercatore di Comunimappe e Piera Stefaniniredattrice radiofonica

Dalle 20 alle 20,45

EUROPA MIGRANTE AI CONFINI DELLE TERRE E DELLE ACQUE Metafora per l’esplorare storie di frontiera e per lasciarci alle spalle ciò che conosciamo ed inoltrarci nello sconosciuto e nel buio che avvolge il nostro presente e oscura il nostro futuro.

Abitiamo un mondo globale e pluriculturale, ma tra le genti e le culture che convivono pacificamente nelle nostre città ormai dal secondo dopoguerra, dopo una tenace resistenza contro i nazionalismi nazi-fascisti che le avevano trasformate in un inferno sulla terra, è cresciuto negli ultimi anni da parte dei presunti nativi d’Europa il sospetto, la paura, il disprezzo ed un clima di cinismo ed indifferenza verso le minoranze e coloro che vengono da lontano.

Va sottolineato però che le genti erranti, nomadi e migranti non hanno impoverito il nostro vasto continente, al contrario lo hanno reso economicamente prospero e culturalmente vivace ed eterogeneo nel corso della storia apportandovi un notevole progresso in ogni ambito di sapere ed attività

L’EUROPA MEDITERRANEA E MIGRANTE

PINO DE MARCH

E per iniziare una lettura inusuale sul femminile e sul migrante del mito d’Europa

Legge brani di Leonard Piasere e Predag Matvejevic su Europa, transculturalità e Mediterraneo

Circle time
“Tali processi dal basso vengono da  lui stesso definiti  di  “crescita collettiva”, di crescita di un popolo, che non possono essere imposti dall’alto”, ma generati in circle time, in una circolarità che si fa reciprocità e conoscenza di sé e della propria condizione  antropologica e sociale. [Danilo Dolci]

Accorda Simone Marcandalli

SIMONA FERLINI-DIEM -25 -Movimento politico e culturale transnazionale europeo

MARIO POZZAN LÀBAS– Spazio sociale autogestito

Perché?

Quali sono fattori oggettivi e soggettivi che alimentano una tale peste emozionale verso le minoranze ricreata ad hoc come capri espiatori?

Quali sono le nostre proposte per una convivenza pacifica e lotta alle rinate discriminazioni, e per ritrovare quel benessere ecologico e sociale locale e continentale duramente impoverito dalle crisi ma soprattutto da un modello economico neo-liberista che da trent’anni alimenta diseguaglianze(distribuendo i dividendi verso il basso e non verso l’alto) e reazioni di massa contro le minoranze?

DALLE 20,45 ALLE 21,30

APERITIVO ZIGANO

Andrea Acciai voce narrante – Fiabe che non centrano niente

LIVE

DALLE 21,30

SULLE ORME DI DJANGO

Lo spettacolo che il gruppo presenta è un vero e proprio viaggio che conduce la carovana musicale in diversi luoghi del mondo: si parte dalla Francia per incontrare il valse musette e le composizioni di Django Rehinardt, si scende in Italia a trovare lo swing del dopoguerra, si attraversano i Balcani per trovare ritmi e sonorità klezmer-tzigane, poi a bordo di un transatlantico si sbarca negli Stati Uniti per abbracciare il jazz, senza dimenticare di volare in America Latina per miscelarsi con ritmi più viscerali. La carovana spostandosi miscela le culture musicali che incontra e rielaborando e inventando propone anche diverse composizioni originali. Il viaggio è accompagnato da una continua narrazione di storie, aneddoti e riflessioni per far immergere il più possibile
il pubblico all’interno dei diversi paesaggi sonori.

Simone Marcandalli (guit solo e voce)
Antonio Balsamo (guit ritm)
Christian Pepe (contrabbasso)
Massimiliano Amatruda (fisarmonica)
AL QUARTIERE SAN VITALE ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA E ANTISESSISTA

Piera Stefanini di Radio Fuijko–RED-occhio vigile 103,1 Mhz in FM bologna

Interviste ai margini 
 

Info- comunimappe.blogspot.com

Contatti – comunimappe@gmail.com

27 GENNAIO 2019

EUROPA:BARBARIE O UMANITA’?“
Se il nostro sentimento, superata una certa soglia,s’inceppa,per effetto di questo meccanismo d’inibizione il mostruoso ha via libera”.Guether Stern Anders (Filosofo ebreo-tedesco vedi 1 nota in fondo) 

LA LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA IN COOPERZIONE CON
ANPI PRATELLO
AMIRS – ASSOCIAZIONE MEDIATORI  INTERCULTURALI ROM E SINTI
CENTRO SOCIALE LA PACE
CESP – CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA
DIEM25-DSC BOLOGNA 1 Movimento politico culturale democratico transnazionale europeo
LEGBT – SMASCHERAMENTI
Radio Fuijko 103,1 Mghz–RED-Occhio vigile
DTHE’
ORGANIZZA GIORNATA DELLA MEMORIA IL 27 GENNAIO 2019
 AL CENTRO SOCIALE DELLA PACEVIA DEL PRATELLO 53 -BOLOGNA
ORE 15,30
PRESENTAZIONE MOSTRA PORRAJMOS SULLO STERMINIO NAZI-FASCISTA DEI ROMANI’ (ROM E SINTI)
RAFFAELE PETRONE (docente storia dell’arte)
MATTEO VESCOVI (docente di storia e letteratura italiana)
GABRIELE ROCCHEGGIANI (docente ricercatore Uni-Macerata, non sarà presente ma ha fornito dati di ricerca storico-giuridica).
 nota 1:

Guenther Anders [pseudonimo di Guenther Stern
 assunto nella sua giovinezza per dissimulare il suo essere ebreo, perché quelli erano i tempi oscuri (sostenne una altra  filosofa della diaspora ebrea-tedesca e americana Hannah Arendt) in cui si stavano  diffondendo al pari idi oggi quella peste emozionale e  quella sotterranea violenza identitaria che alimenterà negli anni successivi la macchina infernale dello  sterminio nazi-fascista che divorò  in tutta  Europa milioni di esseri umani).
ORE 16
MEMORIE ATTIVE PER RICORDARE E PER RI-AGIRE
Accorda Piera Stefanini di Radio Fuijko–RED-Occhio vigile

COMUNICAZIONE CIRCOLARE TRA
associazioni, ricercatori e singolarità e pubblico
sulle atroci persecuzione, torture, sperimentazioni e stermini di minoranze culturali ed individualità:Disabilità,Generi e diversi orientamento sessuali , Minoranze linguistiche-culturali, religiose,politiche e sociali da parte dei nazisti con la complicità e collaborazione di tutti gli stati fascisti europei e sulle attuali rinate discriminazioni identitarie verso forme di vita altra e singolare.

RAPPRESENTANTE ANPI PRATELLO
MILAN JOVANOVIC  E TOMAS FULLI PER AMIRS E COMUNITA’ URBANE ROM E SINTE
DIMITRIS ARGIROPOLOUS – Docente UNI-PR

RENATO BUSARELLO SMASCHIERAMENTI –LGBTQ

EDOARDO SCATTO per DIEM-25 DSC BOLOGNA 1 – Movimento politico culturale democratico transnazionale europeo
GIANLUCA GABRIELI – Maestro del Cesp-Bo

EZIA DI LABIO DI  DTHE’

17,30

INTERMEZZO DI CONVIVIALITA’ DOLCE E SALATA 

E PARAMICIE:FAVOLE,RACCONTI E POESIE DELLA CULTURA ORALE ROMANI’
GIORGIO SIMBOLA musicista
AGHIRAN attivista culturale comunità urbane rom e sinte
PINO DE MARCH ricercatore di comunimappe

18.30-20,30
ASSEMBLEA COMUNE
EUROPA TRA BARBARIE E D UMANITA’
ACCORDANO FRANCO BERARDI E SIMONA FERLINI

PINO DE MARCH: per la progettazione e cooperazione educativa e culturale dal basso affermativa, comune e critica.
PER INFO: comunimappe.blogspot.com
PER CONTATTI:comunimappe@gmail.com

NOTA:ENTRATA ED OFFERTA LIBERA ALLA MOSTRA E ALL’EVENTO)

Intervista a Radio città fujiko di Piera Stefanini a Pino de March ricerc-autore per giornata della memoria 27 gennaio 2019.
http://www.radiocittafujiko.it/news/giornata-della-memoria-europa-barbarie-o-umanita?fbclid=IwAR3AAuus60QE1gUutvuUHXCURqb0uZb7JG9YNUwBBdjNYXENbcQ2y-HtNWU#.XEtKOtOEcIF.email

STERMINATELI!(1)
Testimonianze di Germaine Tillion( etnologa francese)
“Le povere zingare (zero)mi ispiravano una profonda pietà. Andavo spesso nel loro Blocco ed avevo persino cominciato un piccolo vocabolario compara rato dei diversi dialetti gitani(2 per poter avviare una conversazione senza destare troppa curiosità con le mie domande. In questo modo ho potuto scoprire due famiglie di zingare belghe ed una vecchia zingara francese ,tutte donne stordite dallo loro incomprensibile sventura, ma provviste di istruzione elementare e con abitudini di vita materiale che rendevano loro insopportabile la coabitazione con le zingare tedesche. Le altre (ad eccezione di alcune zingare ceche)erano ai loro occhi sorprendentemente primitive, meno tuttavia di certe ucraine, ma notevolmente più delle tribù africane fra le quali mi aveva condotto il mestiere d’etnologa. E’vero però che non ho mai visto queste ultime in un campo di concentramento.”La vecchia zingara francese mi ha raccontato la sua storia. Lei, suo marito ,i nipoti, un genero ed un fratello sposato, in tutto quattordici persone, giravano i luna Park di provincia con un baraccone di giochi, ereditato dai genitori. Ma quando la stagione era finita tornavano tutti a Parigi in grazioso appartamentino, con la radio e tutte le comodità. Una sera,  i tedeschi hanno arrestato tutti i componenti della Luna Park (questo avvenne a Lilla, penso) e hanno deportato quelli che avevano i capelli scuri. Dapprima li hanno rinchiusi in una prigione belga e là hanno saputo che sarebbero andati ad Auschwitz.
“E gli altri mi dicevano:poverina, è un inferno quello in cui vi mandavano, ma io cosa potevo farci?. Quando siamo arrivati ad Auschwitz ci hanno messo in un grande capannone di legno con la ghiaia nera per terra e nient’altro, né paglia né coperte, e niente da mangiare e da bere per due giorni interi e…dalle fessure delle assi vedevamo delle grandi fiammate rosse, ma non sapevano di che si trattava. Al termine di quei due giorni è arrivato l’ordine di ucciderci: allora ci hanno dato una minestra e dell’acqua e ci hanno alloggiato altrove…”
“Poi, in un seguito di orrori, ad uno ad uno sono morti tutti quanti finché non è rimasta che lei, e forse la più giovane delle sue figlie in un altro campo di concentramento, chissà…..”.
“!Ma perché ?
“!Ma perché ?
Che cosa abbiamo fatto?
Che cosa abbiamo fatto?,
ripeteva continuamente..
Perché?
Perché?
Perché?
“Nel lungo elenco dei crimini tedeschi, nulla è paragonabile al martirio degli zingari – neppure quello degli ebrei, che spesso hanno avuto la maniera di morire in fretta (restando però la minoranza che rappresentò per i nazisti i primi della lista  con 6 milioni e più di sterminati:tutti i possibili modi di assassinio sono stati sperimentati su di loro. Più spesso di qualsiasi altro popolo essi hanno dovuto servire da cavie per le esperienze ‘scientifiche’ e a Ravensbrueck, dove alcune tedesche sono state sterilizzate a titolo punitivo ed individuale, la sterilizzazione in serie invece praticate alle zingare, comprese le bambine”.
“E perché?
E perché?
E perché?
Quale delitto ha commesso quella povera gente?
Se il loro livello di cultura era basso, di chi è la colpa se non degli opprimenti sistemi politici tedeschi ed europei che li aveva da secoli sotto la sua tutela senza aver mai fatto niente per loro  prima d’intraprenderne il massacro?
Sistemi indegni, che hanno saputo soltanto opprimere e poi uccidere tutti quelli e quelle che erano indifesi
Note
Zero:quando viene usato dalla testimone l’espressione “zingara” non l’abbiamo mutata in “romanì”che è l’espressione corretta con cui oggi vengono chiamati gli “zingari”di ieri , pur sapendo che tale espressione oggi in tempo di mono-valenze e di rinati pregiudizi equivale ad un’offesa, come lo sarebbe il chiamare una persona nera o di colore ,negro/a., ma lo facciamo per mantenere immutata la testimonianza.
(1)Raccolte di testimonianze nelle Les Chaiers du Rhone, Edition de la Baconnière ,Neuchatel, 1946, e riportate  ed assemblate  con altre nell’Olocausto degli zingari di Christian Bernadac,Edizioni Libri Italia,1996
(2)varianti linguistiche della lingua romanes)
Testi  del ricer-autore  di Pino de March

 Barbarie o Umanità?

https://ilmanifesto.it/lesilio-sistematico-dellumanita-in-eccesso/
 L’Esilio sistematico di un’umanità in eccesso di Claudio Vercelli
………
‘Lo Stato d’eccezione, più volte richiamato nel Novecento, è quello in cui l’area dell’indeterminatezza, il senso di insicurezza, il timore di una minaccia incombente, si risolvono nel richiamo collettivo, rivolto alla politica, di una condizione supplementare di protezione. La quale trascina con se stessa l’identificazione di qualcosa e di qualcuno da interdire, da espellere dall’ambito delle relazioni sociali. Quindi da circoscrivere, da isolare, eventualmente da annientare. Il campo di concentramento, in quanto istituzione totale, ne deriva come una sorta di necessaria conseguenza. Si presenta come un ovvio completamento della trasformazione in atto, poiché imprigionando quei soggetti che sono identificati e stigmatizzati, di volta in volta,come minaccia nei confronti di un ordine costituito, diventa l’istituzione che, distruggendo le minoranze, garantisce la continuità della maggioranza. Nel campo sono imprigionate quanti-individui o gruppo vengono considerati figure ‘dubbie’. Tali non perché abbiano necessariamente fatto qualcosa in quanto sospettati, per il fatto stesso d’esistere, di poter alterare gli equilibri, presenti e a venire, della società, intesa come corpo biologico compatto e organico. La loro colpevolezza, in questo caso, sta in un’esistenza che diventa di per sé indice di una identità criminale. Trattamento preventivo (come se si trattasse di una misura di igiene e profilassi pubblica), reclusione extra-giudiziaria, misure straordinarie di prigionia, invenzione di una ‘legalità creativa’ sottratta alla sfera del diritto ordinario, segretezza ma anche classificazione e divisione della popolazione tra gruppi pericolosi e modelli ideali-aderenti ad un’unica, possibile tipologia di normalità, quest’ultima imposta ossessivamente come esclusivo criterio di riferimento-sono cose che si tengono insieme, alimentandosi e rafforzandosi vicendevolmente.
……
L’elemento fondamentale,in questo caso è dal nesso indissolubile nell’età della ‘nazionalizzazione delle masse’, tra politiche di Stato,consenso generalizzato e bisogno di rassicurazione. Se il moderno Stato turco nasce disintegrando la comunità armena, così la società internazionale nell’età globalizzazione, nel mentre erode le frontiere, costruisce nuovi muri e  luoghi di detenzione extra-giudiziaria, sospendendo i diritti elementari e rinnovando l’apolidia come condizione permanente di una parte dell’umanità. Per l’appunto, quella che viene dichiarata in eccesso. Tra esilio sistematico, imprigionamento senza diritti e morte in massa c’è quindi un nesso molto forte, che non si esaurisce nel passato. Detto per inciso: non si tratta di stabilire improbabili equivalenze tra ciò che è stato ed il presente, pretendendo che quel che oggi accadde sia la ripetizioni pedissequa di è già avvenuto. Semmai si tratta di ragionare su come certi aspetti di trascorsi si ripresentino all’interno di società di massa, dove gli imperativi alla soggettività, alla valorizzazione delle individualità coesistano con il rimando all’uniformazione, all’omogenizzazione più spinta, alla visione dell’alterità in quanto alterazione e, quindi, come potenziale minaccia. Alla quale contrapporre la ‘sicurezza’ che deriverebbe dalla protezione di uno Stato che si assume il diritto assoluto e primitivo di determinare chi può integrarsi e chi, invece merita di essere espulso dal consesso civile. E qui torna un’altra questione di fondo, quella del destino delle ‘non persone’. Le quali sono tali perché prive di diritti, prima fra tutti quello di vedersi riconosciuta una terra d’appartenenza.

La vicenda dell’esclusione sociale, delle persecuzioni e, infine dello sterminio dell’ebraismo europeo(e dei diversi in genere) diventa allora paradigmatica poiché raccoglie in sé tutti questi fenomeni, articolandoli in una successione tanto brutale ed efferata quanto consequenziale. ripercorrerla, pertanto è utile proprio perché ci permette di leggere in controluce, le dinamiche sia pure in forme differenti o discontinue, che si sono ripetute in altri tempi.
 Non è un fenomeno collaterale quest’ultimo, perché chi è incluso – il ‘cittadino’ nell’accezione giuridica e politica novecentesca che si dà al termine-viene identificato in base al suo reciproco inverso, lo straniero. E straniero è colui che attraversando i confini, ne minaccia la loro persistenza. Così facendo, pregiudica, per il fatto stesso di esistere, la coesione e la pace sociale. Il fantasma dell’invasione prende in tale modo corpo. Da sostanza alle politiche di difesa, ovvero alla necessità di dotarsi di strumenti non ordinari, non abituali come risposta al pericolo che insito in ciò che è estraneo. L’ebreo è lo straniero per eccellenza, non solo perché porta con sé un’alterità secolare ma anche una minaccia di alterazione nei confronti dei corpi del corpo sociale.
Un ulteriore elemento da richiamare è quello che impone di pensare criticamente allo stato delle cose e di relazioni che da due secoli è conosciuto come ‘nazione’. In questo caso soprattutto in termini che rinviano ad un corpo collettivo fragile, dai tratti sfuggenti, nel quale si rispecchiano anche le paure di quanti ne fanno parte.

La nazione, per continuare ad esistere, in un mondo di stranieri potenzialmente pericolosi, deve liberarsi di tutti gli elementi perturbanti. In un’opera di purificazione permanente, senza la quale rischia di perdersi. Nazione e confini interagiscono ossessivamente, come dimensione materiale(la limitazione giuridica del territorio sul quale si esercita la giurisdizione della legge)e simbolica(lo spazio mentale nel quale ci si pensa omologhi ovvero uguali se non identici). Di qui al discorso sulla purezza etno-razziale, quest’ultima intesa come mezzo per gerarchizzare la comunità nazionale, il passo può rilevarsi molto breve. Coesione e progresso sociale diventano sempre sinonimo di evoluzione tramite selezione.
Nell’età contemporanea, all’interno di questa triste filosofia della storia e delle relazioni umane, la perversa saldatura tra campi e omicidi di massa è quindi istituita dal problema per eccellenza in un mondo fatto di Stati e abitato da Nazioni, ossia la presenza di profughi che diventano apolidi(privi di  Stato e di diritti). I campi di annientamento, come istituzioni peculiari della modernità, vanno quindi collocati in questa dimensione logica e cronologica. Non sono una patologia della modernità politica ma una sua plausibile evoluzione del momento che essa dichiara l’esistenza di condizioni d’eccezionalità, per le quali occorre porre rimedio adottando misure non abituali,ovvero creando un ‘diritto’ esclusivo che deroga dai diritti umani.
 

GENERAZIONI DA SEDARE?

CESP – CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA BOLOGNA                                                                                                                                                                                 
PROMUOVE
CONVEGNO NAZIONALE DI AUTO-FORMAZIONE PER IL PERSONALE DELLA SCUOLA

VENERDì 23 NOVEMBRE 2018
PRESSO – IIS -ALDINI VALERIANI -VIA BASANELLI 9/11 -BOLOGNA-BOLOGNINA

“Generazione da sedare? La scuola tra accoglienza, medicalizzazione, e trattamento chimico degli studenti/esse. (BES, DSA, ADHD, ecc…)”

DALLE O8 MATTINO ALLE 17.30 SERA
 Mattino, ore 8.30-13.30
Il seminario di aggiornamento si concentra sugli aspetti culturali, storico-sociali, normativi, alla base della diffusione dei Bisogni Educativi Speciali (BES) e sulle ricadute metodologico-didattiche che tale aspetto comporta. La giornata sarà dedicata in parte anche al ricordo della figura di Giorgio Antonucci, già direttore del manicomio di Imola di cui curò la dismissione, prospettando una relazione radicalmente diversa tra società e sofferenza psichica. Ampio spazio verrà dato nella parte laboratoriale all’analisi della normativa relativa al sostegno, agli alunni/e con DSA e con altri Bisogni Educativi Speciali. Un laboratorio musicale sarà dedicato ad esplorare le possibilità di ognuna/o di raccontarsi agli altri/e in uno spazio di libertà creativa.

Coordina Matteo Vescovi – CESP Bologna

“Se mi ascolti e mi credi”, visione di un estratto dal docu-film su Giorgio Antonucci (Protagonista nella lotta contro i manicomi a fianco e oltre Basaglia).
Anna Grazia Stammati (Presidente del CESP e del Telefono Viola), L’attività del Telefono Viola e le criticità della Legge 180;
Giovanni Angioli (Infermiere e coordinatore presso il reparto Autogestito Lolli):La chiave comune: esperienze di lavoro presso l’ ospedale psichiatrico di Imola;
Maria Rosaria D’Oronzo (Centro Relazioni Umane): L’eredità di Giorgio Antonucci e la questione psichiatrica;
Stefano Catellani (Psichiatra di Bologna):Lo standard umano: dalle pere del supermercato alla costruzione dell’uomo “a norma”

>>Pausa caffè, 11.00 – 11.15<<
Chiara Gazzola (Scrittrice – Antropologa): ADHD e altre diagnosi: trattamento chimico dell’infanzia e dell’adolescenza;
Sebastiano Ortu (Docente – Insegnante di Sostegno – CESP): Generazioni da sedare? – Il ruolo degli insegnanti contro la deriva medicalizzante nella scuola;
Domande e dibattito.

Pomeriggio, ore 14.30 – 17.30
Laboratori operativi:
“Musicalmente”: approcci differenti alla convivialità;
I questionari per la valutazione dello stato psichico, emotivo e comportamentale degli alunni/e
Analisi della normativa sui BES e stesura di PDP
Modifiche alla normativa sul sostegno e stesura del PEI
16.30: Restituzione dei lavori dei laboratori e conclusioni

CESP Centro Studi per la Scuola Pubblica, sede di Bologna
PER ISCRIVERSI:  info@cesp.it (referente matteo vescovi)

MESSAGGIO RICEVUTO SEVAM ARIETE -CESP -BO

2 FESTA ZIGANA DI PRIMAVERA: E SARA’ RIVOLTA E DANZA DI CORPI NELLA NOTTE E NELLA NEBBIA

‘Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo (i romanì) fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente’

 SEGUE CENA PER TUTT@ VEDI SOTTO MENU’ 
MENU INTRIGANTE GAGIO-ZIGANESCO

PRIMI
COUS COUS ALLE VERDURE  (VEG-ETARIANO)
GNOCCHI SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
RISO AL TASTASAL SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
PASTA CON VERDURA (VEG-ETARIANO)

SECONDI           
 SALSICCIA  GRIGLIATA -SECONDO TRADIZIONE ROM (NO VEG)
SPEZZATINO DI SEITAN ACCOMPAGNATO CON PISELLI SGRANATI E POMODORINI MARINATI (VEG VEG)

CONTORNI    
PATATE AL FORNO   (VEG-ETARIANO)
INSALATA DI POMOORO CON ORIGANO (VEG-ETARIANO)

DOLCI
BISCOTTI SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
DOLCI DI FRUTTA FRESCA (SECONDO TRADIZIONE SINTA-NO VEG)
TRE TORTE DI DOLCI (VEG VEG)

MENU’  AFFOGATO IN VINI BIANCO URUPIA E ROSSO COLLINARE E BIRRA MORETTI
MUSICHE BALCANICHE DAL VIVO
FOTOGRAFIA E DOCUMENTAZIONE
VI ASPETTIAMO DALLE 16 PER I LABORATORI E DALLE 19 PER CENA DI MEMORIE E  RESISTENZE ROM E SINTI

Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):
“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appell-platz (spazio ove venivano concentrati e conteggiati ogni mattina e sera i prigionieri dei campi o dei lager;  la mattina poi ogni  kapò organizzava  le squadre di prigionieri per i lavori di ogni genere forzati ) e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”

Seranotte in memoria attiva della rivolta dei Rom e di Sinti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau avvenuta il 16 maggio 1944.
“Il 16 maggio 2010 solo in Francia e per la prima volta si è celebrata questa ricorrenza: tutto è nato da Raymond Guerené, rom-kalè sopravvissuto allo sterminio, che ha dato vita ad uno spettacolo con la canzone che le sue sorelle gli avevano dedicato mentre erano nel lager, con l’aiuto poi dell’associazione La Voix de Rom.
Il 16 maggio 1944 i quattromila Rom internati ad Auschwitz decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo  programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo, ma anche le donne e i bambini: tutti raccolsero pietre, spranghe e altre armi rudimentali e si scagliarono contro le SS che dovettero indietreggiare, lasciando diversi morti sul campo. Solo il 2 agosto dello stesso anno, dopo aver ridotto alla fame la comunità rom di Auschwitz, i nazisti riuscirono ad uccidere 2897 Rom nella stessa notte.
Gli stermini di non ebrei dei Lager sono stati per decenni dimenticati, e solo negli ultimi anni si è cominciato a ricordare che c’erano anche altre vittime dei campi di concentramento nazisti, tra cui appunto rom e sinti, che chiamano il loro sterminio Porrajmos (divoramento) . Anche in Francia ci sono stati negli ultimi anni degli episodi di intolleranza verso le popolazioni nomadi, soprattutto in zone dove sono maggioritari i movimenti di estrema destra: ‘gli zingari’ francesi hanno però la possibilità ogni anno di far conoscere la propria cultura e le proprie tradizioni nella festa di Saintes Maries de la Mer, evento in Camargue che attira numerosi turisti anche non appartenenti ai cosiddetti popoli del vento”.                                                             (Tratto da un articolo di Elena Romanello dal blog: www.nuovasocieta.it )
TESTIMONIANZE
“Sapevamo che ci stavano portando a morire nelle camere a gas e abbiamo preso la decisione migliore. Piuttosto che obbedire agli ordini dei carnefici  nazisti avremmo sfidato la morte, lottando con onore e dignità”. 
Raymond Guerenè faceva parte di quel gruppo e ricorda il coraggioso episodio, di quasi 70 anni prima, durante la celebrazione in memoria dello sterminio nazisti nei confronti delle popolazioni  Romsinti, tenutasi in Francia il 16 maggio 2010, prima prima volta in assoluto in un paese europeo. 
L’odio dei nazionalsocialisti verso i popoli del vento risale alla metà degli anni trenta, quando viene istituito l‘ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara e attraverso il quale si cerca di sostenere la teoria scientifica della razza impura, degenerata e geneticamente criminale. Seguiranno le leggi di sterilizzazione forzata, verrà praticata su 30000 donne, gli “studi” del dottor Mengele sui gemelli e sui bambini e le deportazioni nei lager. La notizia della presenza di campi di internamento anche in Italia, a Bolzano, Campobasso, in Sicilia e Sardegna, verrà resa pubblica solo a metà degli anni 90. 
Il 16 maggio 1944 al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau arriva l’ordine segreto, nome in codice nacht und nebel (notte e nebbia), di eliminare gli oltre 4000 detenuti appartenenti alle popolazioni nomadi. Per gli aguzzini nazisti si tratta di normale routine, sono numerose le volte che hanno accompagnato a morire nelle camere a gas oppositori politici, ebrei, gay e disabili. La sorpresa deve essere stata enorme quando si sono trovati di fronte il folto gruppo che, armato di bastoni e pietre, li ha fatti retrocedere. Nei tumulti moriranno 11 SS e altre verranno ferite. Ne seguirà una rivolta che durerà tre mesi. Il 2 agosto 1944, pochi mesi prima della chiusura del tristemente noto campo di concentramento, la vendetta nazista sarà atroce. In una sola notte riusciranno ad uccidere 2897 persone di etnia Rom e Sinti. 
Durante il processo di Norimberga non verrà ammessa la costituzione di parte civile dei superstiti di etnia nomade e la questione rom avrà poca visibilità, sarà citata in alcuni passi dal procuratore Usa Wheeler e nulla più. Nel 1953 dalla Legge sugli indennizzi, un risarcimento concesso ai perseguitati per motivi politici, di razza e religione, Sinti e Rom saranno esclusi. 
Il Porrajmos (divoramento), termine usato per descrivere la persecuzione subita dalle minoranze Sinti e Rom, solo nel 1994 verrà ufficialmente riconosciuto dalla US Holocaust Memorial Museum di Washington. 
Dopo la guerra il massacro dei gitani, si parla di 500 mila persone in totale, sarà ricordato attraverso sporadiche testimonianze di ex deportati. Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente.


MIGLIA E MIGLIA DI PRIGIONIERI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZI-FASCISTI PARALIZZATI ED INIBITI NELLAGIRE, IN UNA  CONDIZIONE AMBIVALENTE  E TREMENDA DI SOGGEZIONE AL  TERRORE DI ESSERE ANNIENTATI  LORO E I LORO CARI  E  DATTESA SPERANZA SEPPUR LONTANA  DI RIABBRACCIARE UN GIORNO I PROPRI AFFETTI.
 Su questo coraggioso e disperato episodio di rivolta dei  Rom e Sinti all’interno di un capo di sterminio nazi-fascista:  Auschwitz-Birkenau(16 maggio 1944), per alcuni tratti  straordinario nella sua unicità ma anche  nella ritrovata azione  di sovvertimento seppur eccezionale , dei rapporti di forza o di terrore  tra i kapò, le ss naziste e i prigionieri.  Per comprendere tale avvenimento ma soprattutto il perché le altre migliaia non lhanno fatto, vorrei partire da alcune riflessioni sulla condizione psico-fisico in cui erano i detenuti-prigionieri di Piotr M.A.Cywinski ,dell’attuale direttore del museo della memoria di Auschwitz, le quali possono aiutarci a diradare le ombre della notte e la nebbia fitta in cui erano  avvolti e posti indistintamente sotto scacco i milioni di deportati e schiavizzati nei lager nazisti.  Piotr ci parla da un lato di uno scacco mortale prodotto da un permanente  terrore  paralizzante e di soggezione indotto dagli aguzzini nazisti, ma dallaltra di una alimentata  illusoria speranza di poter un giorno riabbracciare quelli affetti da cui ci si era involontariamente separati.  Non era mai accaduto nella storia moderna che dei presunti oppositori o nemici di qualsiasi razza,genere, fede o ideologia fossero catturati e ridotti in uno stato di schiavitù, non singolarmente per quanto presunto di delittuoso, ma con la loro intera famiglia, e poi una volta giunti in una destinazione sconosciuta separati gli uni dagli altri, perfino le madri dai loro figli o figlie e tenuti in un permanente stato di totale disinformazione delle condizioni delluni e degli altri. E ormai cosa certa che i detentori, manipolatori e torturatori di quella immensa nuda vita fossero  consapevoli (e non sempliciesecutori  di un comando superiore) che qualsiasi essere umano tenuto in uneccezionale  stato di prigionia, in quanto prigionieri con altri affetti a loro cari,  avrebbe nutrito da un lato unincrollabile speranza, lultima si dice a morire, di ritrovarli un giorno vivi e di riabbracciarli,e daltra quel desiderio di fuga e di rivolta che nutre ogni detenuto prigioniero sarebbe stato anch’esso messo sotto scacco non dal semplice terrore di morire, ma che  questo ‘estremo gesto di libertà’ avrebbe trascinato con sé tutti i loro familiari,  ritenuti presenti e vivi in qualche altro settore del campo lì accanto.  Seppur il numero dei Kapò e delle SS  fosse relativamente esiguo rispetto alla massa dei prigionieri, e l’episodio dei Rom e Sinti  è lì a dimostrare che sarebbe stato possibile rovesciare quel sistema di controllo e di soggezione, ma malgrado tutto questo, nessuno ha osato mai  ribellarsi. Ma perché è accaduto tutto questo? E anche qualcosa di peggio, cioè  di generare una malvagia complicità tra prigionieri ed aguzzini nazisti. Quali erano allora le occulte strategie psico-sociali che invischiavano ed impedivano sul nascere ogni possibile gesto di fuga o di rivolta. Qualche  parziale risposta a tale inquietanti domande si possono trarre da quanto il direttore ci rivela nella sua opera ‘non c’è una fine’. Non era mai accaduto, come dicevamo sopra, nella storia moderna che s’ imprigionasse e si deportasse l’intero nucleo famigliare, e nello stesso tempo s’alimentasse  un’ambivalente sentimento di terrore,  da un lato che chiunque avesse osato ribellarsi sarebbe stato sterminato, e  questo non era comune in altre esperienze di concentrazione, ma che in questo  rischio mortale sarebbe finito non solo lui o lei, ma l’intera famiglia, e  dall’altro si facesse intravvedere una sadica speranza (in quanto era certa la soluzione finale per ognuno di loro)che prima o dopo,cioè finito quel terrore e quella guerra,  si sarebbero potuto finalmente ricongiungere alle mogli, ai genitori, ai figli, ai fratelli e alle sorelle che stavano nella loro stessa condizione, o altrove ma nella speranza ulteriore di trovarli  vivi. Una combinazione perversa tra terrore e speranza. L’unica cosa che invece accadeva spesso era la fuga-suicidio dei prigionieri. E questo è un altro segno di quello scacco mortale.


DOCUMENTI 
Il Decreto Notte e Nebbia, emanato da Adolf Hitler il 7 dicembre 1941 a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, era un eufemismo tratto dall’opera L’oro del Reno di Richard Wagner dove Alberich, indossato l’elmo magico, si trasformava in colonna di fumo e spariva cantando “Nacht und Nebel, niemand gleich” cioè “Notte e Nebbia, (non c’è) più nessuno“. 
Il decreto, intitolato Richtlinien für die Verfolgung von Straftaten gegen das Reich oder die Besatzungsmacht in den besetzten Gebieten (Direttive per la persecuzione delle infrazioni commesse contro il Reich o contro le forze di occupazione nei territori occupati), fu dichiarato criminale al Processo di Norimberga perché contrario alle convenzioni di Ginevra, recava la firma del generale tedesco Wilhelm Keitel ed era un passo decisivo nelle imputazioni contro il regime nazista, secondo in importanza solo alla Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 con la pianificazione della soluzione finale
Il testo fu ricostruito dal Tribunale di Norimberga in 40 pagine di istruzioni operative dettagliate. Gli ordini del Fuhrer erano che “gli atti di resistenza della popolazione civile nei paesi occupati verranno giudicati da una corte marziale quando: 
  • si abbia la certezza di poter applicare la pena di morte e
  • quando la sentenza si pronuncia entro gli otto giorni dall’arresto.”
Il resto degli oppositori dovevano essere fermati e fatti scomparire “nella notte e nella nebbia”, diceva testualmente Hitler, segretamente arrestati in Germania senza dare altro tipo di informazione sulla detenzione.
NOTTE E NEBBIA
(Nuit et bruillard, Francia/1956) di Alain Resnais (32′)

Jean Cayrol, scrittore, editore, reduce da Mauthausen, aveva affidato ai suoi Poèmes de la nuit et du brouillard il compito di descrivere l’orrore dei campi di concentramento. Resnais gli chiese di scrivere il testo del suo film, e lo avrebbe di nuovo chiamato nel 1963 per Muriel. Il film fu boicottato sia dalla Francia che dalla Germania, tanto che Cayrol scrisse: “La Francia, strappando bruscamente le pagine della storia che non le piacciono, si fa complice dell’orrore”. (Sandro Toni
1942
Selvaggia dimora dell’aurora
passi di ciechi nel giardino
fedeltà mano che dorme
sopra un’ombra che torna
Aurora dalle dita fumanti armi
che cadete come foglie secche
l’uccellino delle mie lacrime
viene a bussare alla tua porta.
Jean Cayrol – Notte e nebbia – Nonostante Edizioni
Presentazione del libro di poesia NOTTE E NEBBIA
In collaborazione con la Fondazione Gramsci Emilia – Romagna e in occasione della Giornata della Memoria presentazione del libro di poesie NOTTE E NEBBIA di Jean Cayrol (Microgrammi). Intervengono Giovanni Pilastro e Giacomo Manzoli. Il traduttore Nicola Muschitiello leggerà alcune poesie.
Notte e nebbia, dal tedesco Nacht und Nebel. Così erano chiamati i prigionieri politici all’interno dei campi di concentramento nazisti. Portavano scritte sulla schiena, come un destino, due grandi “N”, che stavano a significare, come scrive Boris Pahor in postfazione, «che la loro morte sarebbe stata un viaggio notturno nella nebbia per finire nei camini del crematorio». Erano «i più disgraziati tra i disgraziati», condannati all’eliminazione segreta: non dovevano essere nominati, dovevano sparire senza lasciare traccia. Da qui il nome del decreto emanato da Hitler nel dicembre del 1941, voluto riferimento al Tarnhelm wagneriano, l’elmo magico che fa scomparire Alberich in una nube di fumo, al canto di Nacht und Nebel, niemand gleich. Il testo qui pubblicato, che Cayrol scrisse – reduce dall’esperienza concentrazionaria nel campo di Mauthausen – per l’omonimo documentario di Alain Resnais del 1955, è il tentativo di rendere, come egli stesso dichiarò in un articolo apparso l’anno successivo su Les Lettres Françaises, «la testimonianza vivente, incredibile, delle manifestazioni estreme dell’oppressione e della forza messa al servizio di un sistema che non ha avuto rispetto dei diritti elementari di ciascuno, nella sua singolarità e nella sua specificità». 
scrive ancora Pahor, «fu uno di questi disgraziati che riuscì a salvarsi», a ritornare dalla Necropoli.
 Nuit et brouillard
français).
Ils étaient vingt et cent, ils étaient des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiraient la nuit de leurs ongles battants,
Ils étaient des milliers, ils étaient vingt et cent.
Ils se croyaient des hommes, n’étaient plus que des nombres:
Depuis longtemps leurs dés avaient été jetés.
Dès que la main retombe il ne reste qu’une ombre,
Ils ne devaient jamais plus revoir un été

La fuite monotone et sans hâte du temps,
Survivre encore un jour, une heure, obstinément
Combien de tours de roues, d’arrêts et de départs
Qui n’en finissent pas de distiller l’espoir.
Ils s’appelaient Jean-Pierre, Natacha ou Samuel,
Certains priaient Jésus, Jéhovah ou Vichnou,
D’autres ne priaient pas, mais qu’importe le ciel,
Ils voulaient simplement ne plus vivre à genoux.

Ils n’arrivaient pas tous à la fin du voyage;
Ceux qui sont revenus peuvent-ils être heureux?
Ils essaient d’oublier, étonnés qu’à leur âge
Les veines de leurs bras soient devenus si bleues.
Les Allemands guettaient du haut des miradors,
La lune se taisait comme vous vous taisiez,
En regardant au loin, en regardant dehors,
Votre chair était tendre à leurs chiens policiers.

On me dit à présent que ces mots n’ont plus cours,
Qu’il vaut mieux ne chanter que des chansons d’amour,
Que le sang sèche vite en entrant dans l’histoire,
Et qu’il ne sert à rien de prendre une guitare.
Mais qui donc est de taille à pouvoir m’arrêter?
L’ombre s’est faite humaine, aujourd’hui c’est l’été,
Je twisterais les mots s’il fallait les twister,
Pour qu’un jour les enfants sachent qui vous étiez.

Vous étiez vingt et cent, vous étiez des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiriez la nuit de vos ongles battants,
Vous étiez des milliers, vous étiez vingt et cent.
confronta con l’originale

Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
NOTTE E NEBBIA

Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.
Si credevano uomini, non eran più che dei numeri:
Da lungo tempo ormai i loro dadi eran stati tratti.
Quando la mano ricade, non resta che un’ombra,
Non avrebbero mai piu’ riveduta un’estate.

Lo scorrer monotono e senza fretta del tempo,
Sopravvivere un giorno o un’ora in piu’, ostinatamente
Quanti giri di ruota, fermate e partenze
Che non cessano di distillare la speranza.
Si chiamavano Jean-Pierre, Natascia o Samuel,
Qualcuno pregava Dio, qualcuno Yahvè o Visnù,
Altri non pregavano affatto, ma che importa al cielo,
Volevan soltanto non vivere piu’ in ginocchio.

Non arrivavano tutti alla fine del viaggio,
Quelli che son tornati, potevano esser felici?
Provano a dimenticare, stupiti che alla loro età
Le vene delle braccia gli sian diventate tanto blu.
I tedeschi gurdavan da sopra le altane,
La luna taceva proprio come tacete voi,
Guardando lontano, guardando fuori,
La vostra carne era tenera per i loro cani poliziotto.

Mi dicono adesso che queste parole non son più alla moda,
Che val meglio la pena cantar solo canzoni d’amore,
Che il sangue secca presto quando entra nella storia
E che non serve a nulla impugnare una chitarra.
Ma chi avrà il coraggio di fermarmi?
L’ombra s’è fatta umana, oggi è estate,
Twisterei le parole se occorresse twistarle
Perché un giorno i bambini sappiano chi eravate.

Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.

Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):

“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appel-platz e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”


ROM E SINTI NELLA RESISTENZA 
Bella Ciao in Sinto piemontese:
Šukar Čaj (*)

Je trasárla me sgandžadóm ma
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Je trasárla me sgandžadóm ma
Le kasténgere ís-le koj

Oj čirikló, indžár ma vek
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Oj čirikló, indžár ma vek
Ke šunáva te meráu

Se me meráva sar čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Se me meráva sar čirikló
Indžarén mro trúpo dur

Čivén les koj aprén le bérge
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Čivén les koj aprén le bérge
Telé da ne tíni blúma

Ta sa kolá ke nakén koj
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Ta sa kolá ke nakén koj
Ta penéna ke si šukar

Kajá si i blúma do čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén

Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén

mi ha colpito una nota all’ultimo verso: …ke mujás-lo par jamén = lett. “che e’ morto per noi”. In sinto non esiste un termine per indicare il concetto astratto della liberta’.
Manca il termine. A me è venuto in mente che per i sinti piemontesi la libertà esiste solo come cosa pratica palpabile. Sarà prosaico ma loro vanno oltre, non può esistere come sogno e non ha senso come utopia. O c’è o non c’è. In molte lingue o dialetti mancano parole per esprimere concetti e per altri ci sono più parole con significato diverso per esprimere ciò che altri identificano con una sola parola. Non è certo un caso.



ARLATI A., “Gli zingari e la Resistenza”, in Calendario del popolo, 1997, n^ 606, p. 35. 
la Resistenza degli ‘zingari’ di Angelo Arlati
“Anche se non hanno una patria che li ama, scrive Giuseppe Pederiali, gli zingari hanno dato  il  loro  contributo  a  liberare  l’Europa  dalla  vergogna  nazista”.  È  questa  un’altra  pagina sconosciuta ma eroica della storia di questo popolo pacifico, i cui figli non hanno esitato a farsi  partigiani durante l’ultima guerra e a imbracciare le armi in difesa della libertà dei popoli. Non  si  trattò  di  casi  isolati  o  sporadici,  ma  in  quasi  tutte  le  nazioni  in  cui  divampò  la  lotta armata contro l’oppressione nazista gli Zingari militarono numerosi nei movimenti di resistenza locali o nazionali. 
In  Jugoslavia  gli  Zingari  presero  parte  attiva  alla lotta  di  liberazione  nazionale  condotta  dal  partito comunista iugoslavo con a capo Tito. Al di là delle differenze nazionali, essi si unirono ai serbi e ai croati nella lotta contro il comune nemico tedesco.                                                                                                                              Anche  negli  altri  paesi  dell’Est  europeo  gli  Zingari  non  furono  da  meno:  in  Bulgaria parteciparono  attivamente  alla  lotta  partigiana  e  all’insurrezione  del  1944  contro  il  governo fascista. 
In  Albania  molti  si  unirono  alle  bande  partigiane  che  agivano  nel  territorio,  come  pure  in Polonia,  dove  si  ricorda  la  partecipazione  alla  lotta  antinazista  della  poeta  zingara Bronislava Wais detta Papus (Bambola). 
In  Slovacchia,  specialmente  nell’ultima  fase  della guerra,  molti  Zingari entrarono  nelle organizzazioni partigiane: il comandante Tomas Farkas svolse un ruolo di primo piano durante l’insurrezione  nazionale  dell’estate  del  1944,  bloccando  con  i  suoi  zingari  il  contrattacco tedesco a Banska Bystrica. 
Contro  i  nazisti  combatterono  anche  in  Francia.  Il comandante  partigiano Armand  Stenegry (decorato per i suoi atti di valore) con un reparto di gitani coadiuvò gli sforzi dei maquis prima dello sbarco in Normandia nel 1944. Pure i fratelli Beaumarie aiutarono i maquis e uno di loro fu catturato e impiccato. 
Anche in Italia dopo l’8 settembre 1943 alcuni giovani si unirono ai  partigiani, che nella  loro lingua chiamavano “ciriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, partecipando alla lotta di liberazione contro i fascisti, molto realisticamente definiti “Kas tengeri”’, ossia quelli del manganello. 
Di  alcuni  di  loro  conosciamo  i  nomi  e  le  imprese:  l’istriano  Giuseppe Levakovich  detto  Tzigari,  che militò  nella  brigata  “Osoppo”  agli  ordini  del  comandante  Lupo;  il  piemontese  Amilcare  Debar,  che  fu staffetta  partigiana  nei  dintorni  di  cuneo  col  nome di  battaglia  di  corsaro  Nero,  catturato,  sfuggì  alla fucilazione per la sua giovane età Rubino Bonora che combatté in Friuli nella divisione Nannetti Walter Catter,  eroe  partigiano,  impiccato  a  Vicenza  l’11  novembre  1944  e  suo  cugino  Giuseppe  morto  in combattimento  a  20  anni  in  una  azione  di  guerra  sulle  montagne  della  Liguria  presso  Lovegno  e decorato al valor militare.
Fonti 
ROM E SINTI NELLA RESISTENZA 
Da Franco Marchi  – Dal sito dell’ANPI e da altre fonti 
Prendo da un blog un pezzo in cui elenca alcuni, fra i tanti, Rom e Sinti impegnati nella resistenza. C’è una ricostruzione anche per come venivano chiamati e come chiamavano i fascisti. 
 E sapete come questi giovani chiamavano nella loro lingua i Partigiani? Li chiamavano “čriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, mentre i fascisti venivano da loro definiti “Kaš tengeri” ossia, quelli del manganello.
Definizioni molto semplici ma altrettanto appropriate 
Lo dobbiamo anche a loro, se oggi (almeno per ora) siamo liberi 
C’è stata una sorta di rimozione sulla partecipazione di Rom e Sinti al movimento partigiano. Ogni tanto qualche squarcio. Fu normale e naturale che in Nord Italia anche gli ‘zingari’, specialmente giovani, parteciparono come molti loro coetanei ad una guerra per scelta o per costrizione in quanto l’alternativa era, se andava bene, l’arresto per renitenza alla leva e se andava male un viaggio spesso di sola andata verso la Germania.
Franco Marchi segnala 
Walter Catter, eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e a suo cugino Giuseppe Catter morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle montagne della Liguria presso Lovegno. 
Di Giuseppe Catter ci sono due tracce su internet. Morì a 20 o 21 anni e la divisione partigiana a cui apparteneva prese il suo nome. Era pertanto un appartenente giovane ma di punta se da caduto gli intitolarono la divisione. Una traccia è di Francesco Biga, direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Imperia che ricorda che anche tra i partigiani ci furono anche molti ‘zingari’, fra questi un imperiese “Morto all’età di ventun anni, Giuseppe Catter, il partigiano Tarzan, era uno ‘zingaro’. Ci furono altri Sinti e Rom che combatterono per restituire libertà al nostro Paese. Peccato che nessuno lo sappia.” Questa citazione è nel libro di Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”, vedremo poi anche la storia di Walter il suo cugino di Vicenza.
 Su tutti le storie dei fratelli Catter, qui vengono definiti fratelli e non cugini come in altre fonti, morti separatamente e lontano. Delle loro vicende se ne parla in un libro scritto da Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”. È intenzione da parte di molti ricostruire questa parte della resistenza. Bisogna fare in fretta, chi era bambino allora sta invecchiando. Fra Rom e Sinti si trovano una decina di partigiani su fonti ufficiali o quasi. Dovrebbero essere molti di più. Credo che la stima corretta sia in centinaia. Questo per la particolare situazione di Sinti e Rom che se venivano catturati potevano finire direttamente nei campi di sterminio. Avevano le stesse motivazioni di altri giovani italiani renitenti alla leva della nazi-fascista Repubblica Sociale di Salò dove la cattura poteva portare all’esecuzione da parte dei repubblichini.
Mi ha colpito il destino parallelo di due cugini, i Catter, due Sinti. Il primo di Vicenza fu fucilato l’11 novembre 1944 assieme ad altri partigiani di cui quattro erano Sinti, uno dei quattro lo era di adozione essendo un gagè sposato ad una sinta, che per scelta entrò nella loro comunità. Il secondo Giuseppe Catter fu ucciso ventenne in Liguria e fu intitolata a suo nome una brigata partigiana(fucilato dai brigatisti neri nell’Imperiese). 
Su internet pochi racconti centrati di più sui morti combattenti e meno anche su figure che poi si batterono per l’integrazione ed il riscatto. 
A pagina 30 del libro The Gypsies during the Second World War, Volume 2 Di Karola Fings/Donald Kenrick ho trovato traccia di un partigiano Sinto mai citato, o almeno mai trovato da parte mia, dalle fonti in lingua italiana.
Si tratta di Giacomo Sacco un Sinto genovese.
In una sua testimonianza dichiara:(traduco in parte)
“Mi catturarono con altre 17 persone mentre andavo a “manghel”. Al passo del Turchino ci liberarono i partigiani. Decisi di rimanere con i partigiani, per partecipare alla liberazione di Genova e lottare contro i fascisti e nazisti, condividendo gli ideali dei partigiani. Fui l’unico Sinto della brigata e fui usato come staffetta. Venni a conoscenza di un altro Sinto combattente che era un capo visto che guidava gli attacchi.” Che sia Catter o un altro? Sacco morì nel 1988. La memoria orale si perderà in pochi anni. Se qualcuno ha contatti con Sinti genovesi potrebbe scoprire qualcosa di più di Giacomo Sacco e del secondo Sinto.
Franco Marchi
 Di Giuseppe Levakovic, assieme a Taro Debar, ci sono più tracce. Forse è il destino di essere sopravvissuto ed aver militato anche dopo la guerra. Ha anche scritto un libro a quattro mani dal titolo Tzigari che era il suo “nick” (i partigiani avevano un soprannome per celare la propria identità, a volte il nome vero era conosciuto da pochi per sicurezza), da partigiano. Militò nella brigata Osoppo. Lui era un Rom istriano sloveno e la sua famiglia fu internata in un campo italiano (mi sembra a Ferramonti, vado a memoria). La moglie Wilma fu poi trasferita a Ravensbrück e poi a Dachau dove morì.
Amilcare Debar – Nato a Frossasco (Torino) il 16 giugno 1927, zingaro.           È il solo italiano ancora vivente tra i tanti Sinti e Rom che hanno partecipato alla Resistenza. Una sua scheda è compresa nella “Banca dati del partigianato piemontese”. Qualche notizia su Debar si trova su un volantino distribuito a Milano, durante le celebrazioni per il sessantatreesimo della Liberazione, dall’Associazione “Aven Amentza”. Nel foglietto si ricorda che il giovanissimo Debar militò in Piemonte, al comando di Pompeo Colajanni, nel battaglione “Dante di Nanni” delle Brigate garibaldine e che, “dopo la guerra, fu rappresentante del suo popolo Rom alle Nazioni Unite”.
Nel volantino si ricordano anche:
 il rom istriano Giuseppe Levakovic, che combatté nella “Osoppo”; 
il Rom Rubino Bonora, partigiano della Divisione “Nannetti” in Friuli;
del rom istriano Giuseppe Levakovic detto Tzigari, si dice che militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del Comandante Lupo; 
del Sinto piemontese Amilcare De Bar si sostiene che fu staffetta partigiana nei dintorni di Cuneo col nome di battaglia di Corsaro Nero; 

Nel volantino si ricorda anche che, insieme agli ebrei, durante la Seconda guerra mondiale, i rom furono sterminati dai nazisti.

Dei 6.000 Rom/Sinti (su una popolazione di 35.000 individui) che vennero internati nei campi di concentramento sparsi in tutta Italia, ne perirono un migliaio a causa delle angherie, della fame, del freddo e delle malattie.
Molti altri Sinti, molti altri Rom, molti altri zingari si unirono alle brigate partigiane in Italia e in Europa.
   Hemingway in “Per chi suona la campana?” raccontava dei Gitani attivi nella guerra di Spagna dalla parte repubblicana, antifascista. Nell’Est europeo e nei Balcani è documentata l’attività partigiana di raggruppamenti zingari che si guadagnarono anche decorazioni al valore, mentre in Francia i Rom dettero un contributo importante all’avanzata angloamericana infiltrandosi oltre le linee nemiche e facilitando le comunicazioni. Testo ricerca storico-cultu rale a cura di Pino de March
PROGRAMMA DETTAGLIATO DEL 12 MAGGIO 2018
DALLE 16 ALLE 19
LABORATORI POMERIDIANI
1-FAVOLE RACCONTI LEGGENDE ROM E SINTI
2-SULLE CONDIZIONI ESISTENZIALI SOCIALI E CULTURALI DELLE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTI NELLE NOSTRE PERIFERIE
coordina pino de march,brunella guida e milan jovanocic
DALLE 19
CENA AUTOFINANZIAMENTO ATTIVITA’ INTERCULTURALI E RELAZIONALI DI AMIRS E COMUNIMAPPE
MEMORIE ATTIVE: ROM E SINTI NELLA RESISTENZA EUROPEA E NELLA CORAGGIOSA RIVOLTA DI AUSCHWITZ DEL 16 MAGGIO 1944
POESIE
DANZA
FILM DOCUMENTAZIONI E MOSTRE FOTOGRAFICHE
PER INFORMAZIONI EVENTO DETTAGLIATE
Blog: comunimappe.blogspot.com
per prenotazione cena di autofinanziamenti attività ricerc-azione-cambiamento
info: comunimappe@gmail.com

RINVENTARE SITUAZIONI NON ALIENATE E NUOVE RELAZIONI E LEGAMI ECO-SOCIALI
2018-19
ATTIVITA’ RICERC-AZIONE-CAMBIAMENTO
1- AMIRS – ASSOCIAZIONI MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI
LABORATORI INTERCULTURALI
per nuove interazioni tra minoranze linguistiche e culturali Rom, Sinti, straniere e gagè
nelle scuole e territorio
2 -COMUNIMAPPE-LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA
PROGETTO LABIRINTO -RITROVARE FILO D’ARIANNA PER USCIRE DALLA CRISI ESISTENZIALE, CULTURALE, SOCIALE, TECNOLOGICA ED ECOLOGICA O DELLE MOLTEPLICI ECOLOGIE
LABORATORI RELAZIONALI sui ‘dis-agi civiltà:

Il malessere diffuso tra gli adolescenti e le loro categorizzazione-psicologizzazIone  nella scuola nel  quadro diagnostico  dei cosiddetti- bes-bisogni educativi speciali (codificati come iperattivi passando per le difficoltà d’attenzione fino a giugere alla fobia scolastica) come altre manifestazioni di sofferenza esistenziale tra gli adolescenti  fuori dalla scuola, sono da considerare a tutti gli effetti disagi bio-sociali e bio-politici-economici contemporanei,
e sintomi trans-psichici conclamati di patologie neo-liberiste economico-sociali e familiari presenti nel mondo di vita e di crescita delle nuove generazioni); i disagi gli uni esistenziali-sociali e gli altri virtuali-digitali delle nuove generazioni sono le retroazioni di un mondo di legami esploso e liquefatto in quello che un tempo si chiamava ‘la società dello spettacolo e oggi la società tecnologicamente aumentata e umanamente diminuita.
CRISI,  PERICOLI E POSSIBILITÀ
PARTIREMO 
DALL’ANALISI DELLA LIQUIDITA’ SOCIALE IN SENSO LATO PRIMARIO E SECONDARIO E DAI CONFLITTI DEVASTANTI ESISTENZIALI, SOCIALI,  INTER-GENERAZIONALI E INTERCULTURALI,
 PASSANDO
 ALLA PROGETTAZIONE DI SITUAZIONI E ALLA REINVENTARE DI NUOVI LEGAMI E DI NUOVE RELAZIONI UMANE SU BASE CRITICA INTER-SEZIONALE(CHE DECOSTRUISCA LE DISCRIMINAZIONI DI CLASSE, GENERE E CULTURA)
EED INFINE  ATTIVANDOSI ALLA COSTRUZIONE DI SOCIETA’ APERTE, SOLIDALI E E DIVERGENTI) E NEO-UMANE (TRA UMANI -MACCHINE ED ALTRI ESSERI VIVENTI).
PROMUOVE CONTRADA SOLIDALE ROM,SINTI E GAGI
IN COOPERAZIONE CON
AMIRS – ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI
CESP-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA
ANPI -LAME
ZONA ORTIVA VIA ERBOSA
CONCIBO’
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ANPI – LAME
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Ottobre 1917: La Rivoluzione Proletaria Russa ed il Rinascimento delle culture, delle lingue e dell’esistenze delle genti Rom

Ivan Ivanovič Rom-Lebedev (1903 – 1991), attivista bolscevico Rom

Come il potere proletario aprì la strada all’emancipazione sociale
La Rivoluzione russa e i rom
In un lavoro del 1931 intitolato Tsygane vcera i segodnia (I rom ieri e oggi), Aleksandr V[jaceslavovic] Germano, il principale scrittore e intellettuale rom dell’Unione Sovietica, riassunse la storia dei rom europei come una cronaca insanguinata di persecuzione e di alienazione. I rom furono messi al rogo, impiccati, massacrati ed esiliati. Il fatto che gli abitanti dei villaggi e i funzionari li relegassero a vivere temporaneamente nelle aree periferiche rafforzò il loro nomadismo come modo di vita. Ridotti alla condizione di paria, molti rom furono costretti alla schiavitù o al servaggio, e questo determinò la loro arretratezza culturale e la loro esclusione politica.
Nella Russia zarista i rom vennero sottoposti a misure poliziesche e a leggi discriminatorie. Alla metà del XVIII secolo l’imperatrice Elisabetta pubblicò un decreto che proibiva ai rom di entrare nella capitale San Pietroburgo e nei suoi dintorni. Nel 1783 il Senato cercò di impedire ai rom di trasferirsi da un proprietario terriero all’altro. E in seguito decretò che i rom nomadi sarebbero stati sottoposti a sorveglianza e rispediti nelle loro zone di provenienza.
Alcuni rom russi poterono godere di una prosperità e di una stabilità relative perché facevano parte delle corali rom, che erano popolari tra la nobiltà finché tale classe non fu annientata dalla rivoluzione russa. Tuttavia gli anni del declino dell’autocrazia zarista coincisero anche con una crescente oppressione dei rom. Nel 1906, ad esempio, il regime zarista e diversi altri governi europei sottoscrissero con la Prussia un accordo per perseguitare le popolazioni rom nomadi.
Comprendendo che le classi dominanti capitaliste fomentano il razzismo e il nazionalismo per dividere e indebolire i lavoratori di diverse estrazioni e per mantenere così strettamente il proprio potere, i bolscevichi (rivoluzionari comunisti russi)si opposero in modo risoluto alle persecuzioni degli ebrei e ad ogni oppressione nazionale, religiosa ed etnica. La “Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia” (15 novembre 1917), adottata poco tempo dopo la Rivoluzione d’Ottobre, proclamò “il diritto dei popoli della Russia alla libera autodeterminazione” e “l’abolizione di tutti i privilegi e le discriminazioni nazionali e nazional-religiose”. La dichiarazione impegnava lo Stato operaio a garantire “il libero sviluppo delle minoranze nazionali e dei gruppi etnografici [narodnost’] che abitano il territorio della Russia”.

Animato dal programma bolscevico di lotta contro lo sciovinismo nazionale e di unione degli operai di tutto il mondo contro il sistema capitalista-imperialista, lo Stato sovietico delle origini compì uno sforzo eroico per portare ai popoli rom il progresso, la modernità e la libertà. Come ha osservato  lo storico David M. Crowe nel suo  History of the Gypsies of Eastern Europe and Russia ([St. Martin’s Press, New York] 1994):

“Gli anni Venti videro una sorta di Rinascimento rom affondare le radici nell’Europa orientale e in Russia, mentre gli intellettuali rom si battevano per ritagliare ai rom una nicchia all’interno delle nuove nazioni. Per quanto ammirevoli fossero i loro sforzi di creare delle organizzazioni e di pubblicare dei lavori in romanes, essi vennero resi vani tanto dall’inesperienza e dalla mancanza di un sostegno finanziario quanto dal pregiudizio e dall’indifferenza secolari. Le conquiste più notevoli e durature per i rom avvennero nel nuovo Stato russo sovietico”.
Anche se nella Russia sovietica i rom avrebbero compiuto dei passi in avanti in maniera inimmaginabile nel mondo capitalista, i loro progressi vennero anche circoscritti e in parte capovolti sotto il dominio della burocrazia stalinista che assunse il controllo politico nel 1923-24. Mentre i bolscevichi sotto V.I. Lenin e Lev Trotsky avevano sostenuto l’uguaglianza di tutte le nazioni e di tutte le lingue come parte del loro programma di rivoluzione socialista mondiale, il regime di Stalin sarebbe stato sempre più contrassegnato dallo sciovinismo grande-russo mentre propugnava il dogma nazionalista e antimarxista della “costruzione del socialismo in un paese solo”. Proprio nel 1922 era stato l’attacco di Stalin contro i diritti nazionali dei georgiani ad indurre Lenin a chiedere la sua destituzione da Segretario Generale del partito comunista.
È necessario capire che, nonostante la controrivoluzione politica, l’Unione Sovietica rimase uno Stato operaio. Seppur distorta dal dominio di una burocrazia privilegiata e sottoposta alle immense pressioni delle potenze imperialiste ostili, l’economia collettivizzata e pianificata determinò enormi progressi sociali per i popoli sovietici, e soprattutto per quelli più arretrati, come in Asia centrale. Nella sua analisi pionieristica dell’Unione Sovietica sotto Stalin, Trotsky osservò ne La rivoluzione tradita (1936):
“È vero che nella sfera della politica nazionale, così come in quella dell’economia, la burocrazia sovietica continua ancora a realizzare una certa parte del lavoro progressivo, anche se con spese generali eccessive. Ciò vale soprattutto per le nazionalità arretrate dell’Unione [Sovietica], che debbono necessariamente passare attraverso un periodo più o meno prolungato di presa a prestito, di imitazione e di assimilazione dell’esistente”.
La lotta per la diffusione della cultura
Dalle campagne di sedentarizzazione fino all’educazione dei bambini rom nella loro lingua e alla creazione di stimolanti istituzioni culturali, negli anni che seguirono la rivoluzione bolscevica i rom compirono dei progressi veramente sostanziali. Tra i principali catalizzatori di questa trasformazione sociale vi fu un gruppo di attivisti rom i cui sforzi sono documentati in un recente volume della ricercatrice universitaria del Brooklyn College Brigid O’Keeffe intitolato New Soviet Gypsies. Nationality, Performance and Selfhood in the Early Soviet Union ([University of Toronto Press, Toronto] 2013). Eredi dell’intelligencija rom prerivoluzionaria di Mosca, che era sorta nelle corali rom, quei giovani combattivi furono stimolati dal fervore rivoluzionario di cui era imbevuta la Russia sovietica delle origini.
Un dirigente importante di questo lavoro fu I[van] I[vanovic] RomLebedev, che nel 1923, insieme ai suoi amici, organizzò a Mosca una cellula della Lega comunista della gioventù (Komsomol) per i rom, allo scopo di promuovere la diffusione della cultura e di combattere la chiromanzia, la mendicità e altre pratiche nemiche del lavoro produttivo. Con l’aiuto del loro sindacato, i giovani crearono nel Parco Petrovskij un “angolo rosso” pieno di libri e di giornali, mirando a trasformare i rom in cittadini sovietici coscienti. Un anno dopo i compagni del Komsomol parteciparono alla formazione di un Comitato d’azione dei membri fondatori della società proletaria rom, la quale comprendeva tre attivisti che avevano servito nell’Armata Rossa, tre membri del partito comunista e tre membri del Komsomol.
Nel luglio 1925 il Comitato d’azione ricevette dal Commissariato del popolo agli affari interni (Nkvd) l’approvazione a formare l’Unione rom panrussa (Uzp). Un anno dopo la sua fondazione, l’influenza dell’Uzp si era estesa molto al di là della provincia di Mosca, portando alla formazione di gruppi affiliati a Leningrado, Cernigov, Vladimir e Smolensk. Nel frattempo nella sede moscovita dell’Uzp incominciarono a giungere lettere di rom provenienti da tutta l’Unione Sovietica, e agli inizi del 1926 la stessa Uzp dichiarò di avere 330 membri.
La prima fattoria collettiva rom dell’Unione Sovietica venne creata nel 1925 a Rostov da un gruppo di rom che avevano fornito cavalli all’Armata Rossa durante la Guerra Civile. Poco tempo dopo l’Uzp lavorò insieme al Commissariato del popolo all’agricoltura e al Dipartimento delle nazionalità del Comitato esecutivo centrale panrusso per creare la Commissione per l’insediamento dei rom lavoratori, mirante a incoraggiare i rom ad abbandonare il nomadismo. Di lì a poco i rom iniziarono a stabilirsi sulle terre a loro riservate da ciascuna Repubblica sovietica. Si stima che tra il 1926 e il 1928 cinquemila rom si siano insediati nelle fattorie in Crimea, in Ucraina e nel Caucaso settentrionale. Questa cifra era relativa ad un totale di popolazione rom stimato tra 61mila e 200mila individui, comprendente i rom nomadi e quelli che si erano stabiliti nelle città e nelle aree periferiche.
Nonostante gli sforzi dello Stato e degli attivisti militanti, molti rom si opposero al trasferimento nelle terre statali. Oltre ad essere atomizzate e prevalentemente analfabete, le masse rom, avendo subito secoli di brutale oppressione e di ostracismo, diffidavano dell’autorità. Non diversamente dalle comuniste che indossavano il velo per portare il messaggio emancipatore dei bolscevichi alle donne dell’Oriente musulmano, gli attivisti dell’Unione rom si recarono tra i rom per conquistarli. Un manifesto murale scritto sia in russo che in romanes spiegava gli sforzi sovietici per liberare dall’arretratezza i popoli minoritari del vecchio impero. Esso dichiarava che, mentre gli Zar avevano oppresso i nomadi imprigionandoli nella irrazionalità e nell’alienazione, adesso le tribù nomadi, con l’aiuto del potere sovietico, “stanno iniziando a stabilirsi sul territorio e a intraprendere l’agricoltura. Hanno la propria terra, la propria fattoria, le foreste, i villaggi e le proprie scuole.”
Fu infatti nella sfera dell’istruzione che i rom conseguirono alcune delle loro conquiste più impressionanti. Un decreto del Commissariato del popolo all’istruzione (Narkompros), datato 31 ottobre 1918 e intitolato “A proposito delle scuole per le minoranze nazionali”, affermò che i rom, come tutte le nazionalità sovietiche, avevano il diritto di essere educati nella loro lingua nativa. Nel gennaio 1926 furono create a Mosca le prime classi in lingua romanes dell’Unione Sovietica, all’interno delle scuole elementari russe esistenti. Agli studenti venivano insegnati la lettura, la scrittura, l’aritmetica, il disegno, le arti applicate, la musica, l’educazione fisica, la storia e l’educazione civica, e furono fatti degli sforzi per creare dei centri di alfabetizzazione per gli adulti. Delle scuole in lingua romanes sarebbero state impiantate anche nelle fattorie collettive in cui i rom si erano stabiliti.
Gli insegnanti si batterono anche con coraggio per insegnare un’altra materia: l’igiene. Sia all’interno che al di fuori delle aule scolastiche, ai bambini rom e ai loro genitori veniva insegnata l’importanza di lavarsi, di spazzolarsi i denti e di pettinarsi i capelli. Il Dipartimento dell’istruzione di Mosca era allarmato dall’alto tasso di denutrizione e dalla diffusione di malattie come l’anemia, la tubercolosi e la febbre tifoide tra i bambini rom. Ma la trascuratezza delle norme igieniche fondamentali non si limitava affatto ai rom; essa rifletteva i bisogni materiali e l’ignoranza generalizzati che pervadevano la Russia sovietica delle origini, una società prevalentemente agricola che aveva ereditato secoli di arretratezza.
In mancanza di insegnanti di lingua romanes e persino di un alfabeto romanes, l’insegnamento agli scolari venne inizialmente impartito in russo. Per superare tali ostacoli, gli attivisti dell’Unione rom, insieme ad un linguista dell’Università statale di Mosca, condussero una campagna per creare un alfabeto romanes e per standardizzare la lingua. Un decreto del Narkompros del maggio 1927 stabilì che il nuovo alfabeto fosse basato sui caratteri cirillici con alcune modifiche, rompendo con la prassi sovietica precedente che consisteva nello sviluppare nuovi alfabeti come quello turkmeno, basato sui caratteri latini.
In breve tempo vennero pubblicati i primi libri di testo in romanes. Nel novembre 1927 fu avviata la pubblicazione di una rivista in romanes, Romany Zorja (L’Alba rom), seguita dal Nevo drom (La nuova strada), un manuale di lettura destinato agli adulti. La prima grammatica romanes destinata alle classi rom, Tsyganskij jažik (La lingua rom), apparve nel 1931, mentre alla fine degli anni Trenta venne pubblicato un dizionario romanes-russo di 10mila vocaboli. La O’Keeffe afferma che: “Sebbene quasi tutte le iniziative educative rivolte ai rom sovietici avessero avuto fine alla vigilia della Seconda guerra mondiale, molti studenti rom erano già emersi dall’educazione pratica e politica ricevuta alla fine degli anni Venti e negli anni Trenta come cittadini sovietici istruiti e integrati.”
Parallelamente alla battaglia per l’istruzione dei rom vi fu la lotta per assimilare i rom nella classe operaia, che a Mosca sfociò nella creazione di varie artel’ (cooperative) industriali. Nel 1931 esistevano nella capitale 28 artel’ rom che occupavano 1350 operai. Un aspetto cruciale è che due tra le prime e più prospere di esse, la Tsygchimprom (Manifattura chimica rom) e la Tsygpišceprom (Produzione alimentare rom) non impiegavano esclusivamente dei rom. Alla Tsygpišceprom i rom lavoravano fianco a fianco con operai di almeno altre undici nazionalità.
Nonostante i modesti progressi, il Consiglio dei commissari del popolo e altri organismi dirigenti sovietici divennero scettici riguardo all’Unione rom. Nel marzo 1927 l’Ispettorato operaio e contadino della Commissione di controllo di Mosca effettuò un’ispezione a sorpresa presso l’Uzp e concluse che la sua direzione era infestata di profittatori, prestanome e impiegati, e che i suoi membri erano principalmente degli speculatori sul mercato dei cavalli e altri elementi non proletari. Come reazione, i dirigenti dell’Unione rom protestarono perché il loro lavoro era stato ostacolato da funzionari statali scettici, intolleranti e diffidenti.
Quando l’Uzp venne sciolta nel febbraio 1928, il Nkvd dichiarò che essa aveva fallito nell’adottare dei provvedimenti concreti per combattere “la chiromanzia, la mendicità, il gioco d’azzardo, l’ubriachezza e altre particolarità della popolazione rom”. A parte il fatto che simili mali sociali non costituivano unicamente delle “particolarità rom”, il loro sradicamento avrebbe richiesto, in circostanze materiali migliori, anni e anni di lotta; figuriamoci nelle condizioni arretrate allora prevalenti nella Russia sovietica! Nonostante lo scioglimento dell’Uzp, i suoi membri avrebbero giocato un ruolo importante nella vita sovietica, contribuendo al risveglio culturale dei rom alla fine degli anni Venti e nei primi anni Trenta.
L’Europa capitalista: persecuzione di Stato e terrore fascista contro i rom
In Ungheria i criminali razzisti fanno saltare in aria le loro abitazioni e sparano alle vittime in fuga. Nella Repubblica Cèca le truppe d’assalto neonaziste minacciano di sterminarli nelle camere a gas. Nella Repubblica Slovacca uno sbirro fuori servizio, assegnatosi per missione il “ripristino dell’ordine”, spara e uccide tre di loro. In Bulgaria degli aggressori muniti di pugni di ferro li attaccano. L’anno scorso in Francia hanno subito a migliaia l’espulsione sotto il governo capeggiato dal presidente François Hollande, del Partito socialista. In ciascuno di questi casi le vittime hanno una cosa in comune: sono tutti rom.
Da un capo all’altro del continente, i rom cadono preda dell’intensificarsi della violenza e della xenofobia mentre i paesi dell’Unione Europea (Ue) traballano sotto gli effetti della crisi economica capitalista. A metà ottobre dei poliziotti greci hanno catturato una bambina di quattro anni e arrestato i suoi genitori accusandoli di rapimento, forse presumendo che i rom non possano avere una figlia dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Pochi giorni dopo le autorità irlandesi hanno scritto un’altra pagina di questo libro della vergogna strappando due bambini rom di pelle chiara ai propri genitori. Incoraggiati dalla persecuzione statale dei rom e con il vento del razzismo ufficiale in poppa, in Serbia degli skinhead fascisti sono entrati in azione cercando di rapire un bambino rom di pelle chiara.
La smania razzista contro i rom ostracizzati e storicamente perseguitati, che in Europa ammontano a 10-12 milioni di individui, ha subito negli ultimi mesi un drastico aumento ad opera dei governi, sia di destra che di sinistra, allo scopo di deviare la rabbia operaia dal nemico di classe capitalista. In quanto trotskisti, noi della Lega comunista internazionale (Lci) ci siamo sempre opposti all’Ue in quanto blocco economico imperialista creato per favorire lo sfruttamento e l’immiserimento degli operai e degli oppressi, compresi i milioni di immigranti in Europa, sotto il dominio non soltanto del capitale tedesco, ma anche di quello francese e britannico.
Sebbene il quadro legale dell’Ue includa l’accordo di Schengen del 1985, che si suppone dovrebbe garantire il libero movimento delle persone all’interno dei paesi membri, la “fortezza Europa” capitalista ha intensificato sempre di più la repressione degli immigrati e ha fortemente limitato il diritto d’asilo. Quando la Romania e la Bulgaria sono entrate nell’Ue nel 2007, ai loro cittadini, compresi molti rom, è stata limitata la possibilità di lavorare in Germania, in Francia e in Gran Bretagna. E anche se tali restrizioni sono ora state formalmente abolite, la rabbia attizzata dal governo di coalizione tra conservatori e liberaldemocratici britannici contro gli immigrati romeni e bulgari dimostra che essi continueranno ad essere perseguitati da un angolo all’altro dell’Europa.
Come hanno spiegato i nostri compagni della Ligue Trotskyste de France in un volantino diffuso lo scorso ottobre (vedi “French Government Crackdown on Roma, Immigrants”, Workers Vanguard, n. 1035, 29 novembre 2013):
“In un’economia precapitalistica i rom occupavano una nicchia economica marginale in quanto artigiani, venditori ambulanti e artisti. Con lo sviluppo del capitalismo essi sono stati sospinti ai margini della società, subendo degli abusi che sono poi culminati con lo sterminio di centinaia di migliaia di rom ad opera dei nazisti. La verità è che il capitalismo marcescente è incapace di ‘integrare’ i rom, e ciò è tanto più vero nei periodi di crisi”.
Le popolazioni rom d’Europa non comprendono un’unica nazione basata su un territorio condiviso e neppure su una lingua comune. Per alcuni versi il loro carattere è simile alla posizione degli Ebrei europei nella società feudale che, svolgendo un ruolo economico come commercianti e prestatori di denaro, costituivano un “popolo-classe” secondo l’analisi del trotskista Abram Léon. Anche se i rom sono stati ancor più socialmente emarginati, entrambi condividono una lunga storia di brutali violenze e di odio.
Nel difendere i rom dallo Stato capitalista e dalle squadracce fasciste, noi cerchiamo di mobilitare la classe operaia affinché esiga il riconoscimento delle loro lingue, dei loro dialetti e della loro cultura; affinché difenda il diritto dei rom, sia nomadi che sedentari, all’uguaglianza nell’istruzione, nell’edilizia abitativa e nelle condizioni di lavoro; e affinché rivendichi i pieni diritti di cittadinanza per i rom, dovunque essi vivano. In definitiva, soltanto la rivoluzione socialista renderà possibile la completa e volontaria assimilazione dei rom nella società europea, con pieni ed eguali diritti. Tale fu la prospettiva aperta in Russia dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 diretta dal Partito bolscevico.
La prospettiva dell’emancipazione
Le migrazioni di rom in quello che sarebbe infine diventato il territorio dell’Unione Sovietica avvennero in differenti periodi della storia. Nel X secolo un popolo rom conosciuto come Liuli incominciò a spostarsi in un’area dell’Asia centrale che sarebbe poi diventata parte dell’Impero zarista per sfuggire agli attacchi dei musulmani al loro territorio originario, nell’India settentrionale. Agli inizi del XV secolo i rom si spostarono in Ucraina. Successivamente, in quello stesso secolo, la persecuzione in Germania costrinse i rom a migrare in Polonia e in Lituania, dove i funzionari polacchi chiesero che venissero espulsi. La Russia si annetté quei territori nel XVIII secolo.
L’attacco ai diritti dei rom
Ai rom non sarebbero stati risparmiati i massici rivolgimenti sociali che accompagnarono il primo Piano quinquennale e la campagna di collettivizzazione forzata dell’agricoltura varati alla fine degli anni Venti. Mentre Trotsky e l’Opposizione di sinistra si erano battuti per un’industrializzazione pianificata e per una collettivizzazione agricola volontaria allo scopo di rafforzare l’economia socializzata dell’Urss, il regime di Stalin e di Nikolaj Bucharin incoraggiò i kulaki (contadini ricchi) ad arricchirsi. Nel 1928 la crescente consapevolezza dei kulaki era diventata un’arma puntata contro lo Stato operaio, come evidenziato dal loro blocco delle forniture di grano alle città, che poneva la minaccia di una carestia. La burocrazia si volse allora improvvisamente contro i kulaki. Non avendo predisposto nessuna base tecnica o economica, lo Stato sovietico, con la brutalità caratteristica di Stalin, incominciò a collettivizzare i contadini e introdusse un tasso di industrializzazione avventuristico. Quella svolta sventò la minaccia immediata di una restaurazione capitalista nell’Urss.
In mezzo al caos che ne seguì, migliaia di rom fuggirono nei centri urbani già sovrappopolati. Tra di loro vi furono molti rom vlax, un popolo che era immigrato in Russia dalla Romania e dall’Impero austro-ungarico alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo. A differenza dei relativamente integrati rom russka, spesso i rom vlax non parlavano il russo. Allora, non avendo altra scelta se non quella di piazzare abusivamente degli accampamenti di tende alla periferia di Mosca, essi vennero considerati dalle autorità come degli “stranieri”. Dal 28 giugno al 9 luglio 1933 la polizia segreta radunò 1008 famiglie rom a Mosca 5470 persone in totale e le deportò nei campi di lavoro della Siberia occidentale.
Tali deportazioni coincisero con gli attacchi al diritto dei rom di venire educati nella propria lingua. Nel 1932 erano stati avviati, presso l’Istituto centrale per la promozione dei quadri con un’istruzione qualificata (Cipkkno) di Mosca, i primi corsi di formazione degli insegnanti per i rom. Otto mesi dopo 15 studenti si erano diplomati e attendevano di essere assegnati alle scuole in tutta la vasta estensione dell’Unione Sovietica. Nel giro di poco tempo, però, alcuni degli studenti incominciarono a lamentarsi a proposito delle discriminazioni nelle assunzioni. Come risposta, il Cipkkno mise fine al programma. Seguirono altri casi di discriminazione e di proteste degli studenti rom. Alla fine, nel gennaio 1938, il regime pubblicò il decreto “A proposito della liquidazione delle scuole nazionali e dei dipartimenti nazionali in seno alle scuole”, che portò alla fine dell’istruzione in romanes. Il decreto comportò anche la fine della scolarizzazione in assiro, estone, finlandese, polacco, cinese e in diverse altre lingue.
A quell’epoca la burocrazia manifestava sempre di più il nazionalismo inerente alla sua dottrina del “socialismo in un paese solo”. Dopo l’ascesa dei nazisti al potere in Germania, che costituiva un pericolo imminente per l’Unione Sovietica, gli stalinisti adottarono nel 1935 la politica del Fronte popolare, ingiungendo ai partiti comunisti di appoggiare politicamente e talvolta anche di entrare nei governi capitalisti “progressisti” che si presumeva fossero amichevoli nei confronti dell’Urss. La rinuncia esplicita degli stalinisti alla necessità di rivoluzioni operaie all’estero per estendere il dominio proletario ai paesi capitalisti economicamente avanzati andò di pari passo con la loro adozione, in patria, del nazionalismo putrido che la rivoluzione bolscevica aveva respinto fin dai suoi primi passi.
La rappacificazione con l’imperialismo servì soltanto ad indebolire lo Stato operaio di fronte ai suoi nemici di classe. Quando la Germania invase l’Unione Sovietica nel giugno 1941, l’esistenza stessa dello Stato operaio venne messa in questione. Mentre si opponevano a tutte le potenze imperialiste in guerra, i trotskisti chiamarono il proletariato sovietico e gli operai di tutto il mondo a combattere in difesa dell’Unione Sovietica in quell’ora di pericolo. Nel frattempo il regime stalinista, inchinandosi al nazionalismo russo, definì la lotta militare dell’Urss come Grande guerra patriottica.
Si stima che da 30 a 35mila rom sovietici siano stati massacrati dagli invasori nazisti durante il Porrajmos (l’olocausto rom). I rom sovietici fecero la loro parte nel combattere e, alla fine, nello sconfiggere il flagello fascista. Il Teatro Romen di Mosca, il primo teatro professionale rom del mondo, mise in scena delle rappresentazioni per l’Armata Rossa, mentre alcuni dei membri della sua troupe si arruolarono come soldati. Dei rom fecero anche parte delle unità partigiane sovietiche in Bielorussia e in Ucraina, il che indusse i capi della polizia militare tedesca ad esigere la spietata esecuzione delle bande zingare sospettate di appoggiare i partigiani.
Nonostante il dominio burocratico, negli anni successivi alla guerra i rom sovietici raggiunsero un alto livello di assimilazione e di sviluppo culturale. David M. Crowe cita un’osservazione dello studioso dei rom Lajko Cerenkov risalente ai primi anni Settanta del secolo scorso:
“Nell’Urss odierna è raro incontrare un rom che non sappia leggere e scrivere, mentre prima della guerra tra certi gruppi [rom], ad esempio quelli della Bessarabia, nessuno era in grado di farlo. La maggior parte dei membri delle giovani generazioni d’oggi arrivano all’ottavo o al decimo livello scolastico e, da questo punto di vista, nelle città non c’è distinzione possibile tra i rom e le altre nazionalità”.
I rom dell’Europa orientale sotto Stalin: integrazione ai livelli inferiori
La vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista gettò le basi per il rovesciamento dei rapporti di proprietà capitalistici nell’Europa orientale e in Germania Est. Nel 1948, in virtù dell’azione delle forze sovietiche e dei partiti comunisti locali, erano stati creati degli Stati operai deformati, modellati economicamente e politicamente sull’Unione Sovietica di Stalin. Unica eccezione, lo Stato operaio deformato jugoslavo, che fu il prodotto della vittoria dei partigiani del Maresciallo Tito. La distruzione del dominio capitalista in questi Stati apportò delle conquiste significative alle popolazioni rom. Ma il loro trattamento ad opera delle burocrazie al potere fu diseguale e contraddittorio, variando da paese a paese.
Prima che il Partito comunista cecoslovacco (Ksc) assumesse il potere nel febbraio 1948, i ministri del governo di quel paese avevano adottato delle misure dure e restrittive nei confronti dei rom. Il Ksc dichiarò invece che il suo obiettivo finale era quello di integrare i rom al resto della popolazione e di elevare il loro livello economico, sociale e culturale fino a raggiungere quello degli Slavi. Ma, pur accusando giustamente i precedenti governi capitalisti di aver rafforzato il basso status sociale ed economico dei rom, inizialmente il nuovo regime comunista compì soltanto dei passi esitanti verso il miglioramento della loro situazione e verso la loro integrazione nella forza lavoro e, più in generale, nella società. Nel 1958 il governo approvò una legge che puniva i nomadi con la detenzione da sei mesi a tre anni, condannando però anche l’intolleranza razzista nei confronti dei rom.
Seppure una lotta contro il nomadismo era necessaria, la burocrazia del Ksc, come la sua organizzazione sorella moscovita, la mise in atto mediante un diktat burocratico invece di patrocinare l’assimilazione volontaria. Questo fatto non deve impedirci di vedere le conquiste fondamentali dei rom. Riconoscendo che circa il 67 percento della popolazione rom della Slovacchia, che ammontava a 153mila individui, viveva in insediamenti non adatti agli esseri umani, nel 1965 il regime del Ksc avviò un programma per demolire le abitazioni di qualità inferiore alla norma, per reinsediare i rom nei territori cèchi più prosperi e per fornire loro sussidi e prestiti per acquistare nuove case. La politica di reinsediamento continuò per tutti gli anni Settanta, determinando un eccezionale miglioramento delle condizioni di vita dei rom. Nel 1980 oltre il 70 percento dei rom viveva in appartamenti, mentre la percentuale di coloro che vivevano in abitazioni inadeguate era calata, dall’80 percento di un decennio prima, al 49 percento.
Dei progressi furono anche compiuti nel settore dell’istruzione. Dal 1971 al 1980 la percentuale di bambini rom che ultimavano la scuola pubblica aumentò dal 16,6 al 25,6 percento, mentre il numero di coloro che frequentavano i collegi universitari e le facoltà crebbe da 39 a 191. Nello stesso periodo i tassi di alfabetizzazione degli adulti schizzarono al 90 percento. Nel frattempo, all’inizio degli anni Ottanta, oltre quattro quinti dei rom lavoravano nell’industria.
Ma queste conquiste comportarono un prezzo da pagare. Il programma di reinsediamento era finanziato in modo inadeguato e alimentò anche un crescente risentimento nei confronti dell’arrivo dei rom nei territori cèchi. Poi nel 1972 il governo di Gustáv Husák infiammò i sentimenti razzisti approvando un decreto che incoraggiava le donne rom a farsi sterilizzare. Il pretesto per questa campagna cinica e vergognosa era il numero presuntamente “malsano” della popolazione rom. Pur rappresentando uno dei maggiori gruppi rom dell’Europa orientale, nel 1980 i rom cecoslovacchi ammontavano a meno del 2 percento della popolazione del paese.
Più arretrata e povera della relativamente industrializzata Cecoslovacchia, e con soltanto un minuscolo partito comunista nel periodo prebellico, la prevalentemente rurale Romania fu di gran lunga meno ospitale con i suoi cittadini rom. Fin dal XII secolo i rom iniziarono ad arrivare in quelli che sarebbero diventati i principati danubiani della Valacchia e della Moldavia, regioni che entrarono infine a far parte della moderna Romania. Sul finire del XIV secolo le famiglie rom erano state schiavizzate dai monasteri locali, avviando così una secolare caduta in schiavitù che avrebbe avuto fine soltanto nel 1864. Sebbene la vita fosse migliorata dopo l’emancipazione, i rom rimasero dei poveri paria, oppressi dai proprietari terrieri boiardi e invisi ai contadini poveri. I rom caddero anche vittima dell’indifferenza governativa e dell’aperto terrore razzista. Nel 1941 il dittatore Ion Antonescu propugnò l’eliminazione delle minoranze nazionali. Alleato della Germania nazista durante la Seconda Guerra mondiale, egli presiedette al massacro di decine di migliaia di rom, molti dei quali furono vittime della Guardia di ferro fascista.
Sotto il capo stalinista Gheorghe Gheorghiu-Dej la Romania si impegnò a rispettare i diritti educativi, linguistici e culturali delle nazionalità del paese. Tuttavia l’istruzione rimase un qualcosa di elusivo per ampie fasce della popolazione rom, malgrado la sua crescente urbanizzazione. Mentre circa il 43 percento dei rom di età superiore agli otto anni risultava iscritto alle scuole primarie nel 1956, la loro scolarizzazione al di sopra di tale livello era trascurabile. E nel 1966 soltanto un rom romeno frequentava un’università!
Negli anni Cinquanta e Sessanta il regime di Gheorghiu-Dej adottò alcune misure per far fronte all’alto tasso di analfabetismo tra i rom. Uno studio effettuato nel 1983 sotto il governo di Nicolae Ceausescu si spinse oltre, definendo gli obiettivi per porre riparo ai molti problemi che affliggevano la popolazione rom, dall’analfabetismo, dai pessimi alloggi, dalla disoccupazione e dalla criminalità fino alla mancanza di igiene, agli alti tassi di mortalità infantile e al prevalere delle malattie veneree, della febbre tifoide e della tubercolosi. Una legge speciale sottolineò la necessità di trovare dei posti di lavoro per i rom nell’edilizia e nell’agricoltura, e diede mandato ai funzionari pubblici di aiutarli a costruirsi delle case. Ma sotto il folle Ceausescu, la cui indipendenza dal Cremlino gli conquistò il plauso degli Usa e di altre potenze imperialiste, il regime sottrasse allo Stato le risorse necessarie all’edilizia, all’istruzione e alle cure mediche per i rom, spendendo miliardi per estinguere il debito contratto dal paese con i banchieri stranieri.
Mentre il popolo lavoratore della Romania fronteggiava un immiserimento crescente, gli stalinisti si crogiolavano nel nazionalismo romeno, con conseguenze particolarmente atroci per i rom e per la minoranza ungherese. Nel 1966 il governo emanò un decreto che vietava l’aborto alle donne di età inferiore ai 45 anni che non avevano ancora partorito quattro figli, un colpo enorme per le famiglie più povere e più numerose. Nel 1989 si seppe che a causa di questa politica ignobile gli orfanotrofi erano strapieni, con oltre centomila bambini, una percentuale sproporzionata dei quali erano rom. Il regime di Ceausescu effettuò anche dei reinsediamenti forzati. Pur prendendo principalmente di mira la popolazione ungherese, tale politica portò alla distruzione di interi quartieri rom, reinsediando forzosamente i loro abitanti in grandi palazzine spesso situate nei ghetti urbani.
Come ha osservato l’esperto sui rom ungheresi István Kemény, all’inizio degli anni Settanta i rom erano stati in un certo senso integrati, ma “proprio in fondo alla gerarchia sociale” (citato da D.M. Crowe, op. cit.). In una misura o nell’altra, quest’affermazione descrive adeguatamente la posizione dei rom nello Stato operaio degenerato e in tutti gli Stati operai deformati.
La controrivoluzione: una catastrofe per gli operai e le minoranze
Gli sforzi sporadici e contraddittori compiuti dai regimi stalinisti per assimilare i rom e per promuovere un clima di piena uguaglianza si arenarono tra la penuria materiale e le scosse dell’economia. Questi stessi mali derivavano dalla produttività relativamente bassa degli Stati operai governati burocraticamente e dal loro accerchiamento ostile da parte dei paesi imperialisti, economicamente più forti. Quando la crisi terminale dello stalinismo colpì l’Europa orientale e centrale nel 1989-92, la Lega comunista internazionale si batté, al meglio delle proprie capacità e risorse, per forgiare i partiti rivoluzionari necessari a vincere la battaglia contro la controrivoluzione capitalista e per la rivoluzione politica proletaria contro le burocrazie in via di disintegrazione. Tuttavia gli operai, la cui coscienza era stata avvelenata da decenni di malgoverno stalinista, non furono in grado di reagire in maniera decisiva alla controrivoluzione, e questo portò al rovesciamento di quegli Stati operai.
Durante i nostri interventi negli avvenimenti in Germania Est e nell’Unione Sovietica, mettemmo ripetutamente in guardia sul fatto che la restaurazione capitalista avrebbe riportato in auge tutta la vecchia merda della reazione sociale contro le donne, gli ebrei, gli immigrati, le minoranze etniche e le nazionalità oppresse. Nel 1990, in Cecoslovacchia, gli skinhead fascisti incominciarono a prendere di mira i rom e gli operai immigrati vietnamiti. In Romania, dopo il rovesciamento e l’esecuzione di Ceausescu nel dicembre del 1989, i pogrom contro i rom diventarono all’ordine del giorno. Con il governo e i mass media in prima fila, i rom romeni vennero etichettati come “una piaga sociale” e come “la feccia della società”, riecheggiando le farneticazioni di Hitler contro gli ebrei.
Privati di una direzione rivoluzionaria, molti operai furono sensibili a tale veleno. Nell’articolo “East Europe: Reaction and Resistance” (Workers Vanguard, n. 505, 29 giugno 1990) riferimmo di una mobilitazione di massa di minatori romeni che a Bucarest aveva ridotto al silenzio dei controrivoluzionari, ma successivamente alcuni minatori infettati dal veleno razzista incominciarono ad attaccare i quartieri rom.
Dai Balcani al Baltico e nella stessa Russia, il profluvio nazionalista che aveva contribuito a distruggere gli Stati operai raggiunse un sanguinoso punto culminante sulla scia di quella sconfitta. I rom vennero ovunque braccati, attaccati e costretti a fuggire per salvarsi la vita. Come ha osservato Isabel Fonseca nel suo libro Bury Me Standing. The Gypsies and Their Journey ([Alfred A. Knopf, New York] 1995): “Il cambiamento più drammatico dopo le rivoluzioni del 1989 è stato, per i rom dell’Europa centrale e orientale, il brusco incremento dell’odio e della violenza nei loro confronti. Nella sola Romania si sono verificati oltre trentacinque gravi attacchi agli insediamenti, principalmente in zone rurali remote e perlopiù sotto forma di incendi e di percosse.” Non c’è da stupirsi se alcuni rom che nel 1991 parlarono con la Fonseca nella città di Costanza guardassero favorevolmente alla vita sotto Ceausescu.
L’ondata di violenza, combinata con la profonda povertà dei rom, ne ha costretti decine di migliaia a scappare in Germania. Una volta giunti in quel paese, i rom disperati furono attaccati dalle ululanti squadracce neonaziste, che diedero fuoco alle loro case mentre la polizia se ne stava a guardare. Nel settembre 1992 il governo della Germania capitalista riunificata arrivò al punto di sottoscrivere con la Romania un accordo per deportare i romeni (principalmente rom) rispedendoli indietro nel loro paese d’origine.
In un articolo pubblicato in Women and Revolution (n. 38, inverno 1990-91), e intitolato “Fourth Reich Racism Targets Immigrants. Stop Persecution of Gypsies!”, noi suonammo l’allarme spiegando che i rom “fuggono dall’Europa orientale perché temono per le loro vite”. L’articolo proseguiva:
“Essi sono le vittime numero uno del profluvio di multiforme razzismo omicida che sta sommergendo l’Europa orientale dopo il crollo dei regimi stalinisti e dopo il tuffo in un’economia di mercato incontrollata. Gli ideologi borghesi proclamano a gran voce la ‘morte del comunismo’, ma il ritorno allo sfruttamento capitalista ha portato con sé il risorgere di tutta la feccia assassina nazionalista, antisemita e anticomunista che aveva dominato questa regione prima della vittoria dell’Armata Rossa nel 1945”.
Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!
La Lci si è battuta fino all’ultimo per difendere le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre contro la restaurazione capitalista. Praticamente tutti i nostri oppositori di sinistra sono invece accorsi in appoggio alle forze della controrivoluzione in nome della “democrazia”, della “libertà” o dell’”indipendenza nazionale”. Oggi alcuni di questi gruppi si lamentano del fatto che nell’Europa post-controrivoluzionaria i rom vengano maltrattati. Un esempio in tal senso ci viene fornito dalla Sozialistische Alternative (Sav), la sezione tedesca del Committee for a Workers’ International (Cwi, Comitato per un’Internazionale dei Lavoratori) di Peter Taaffe, del quale fa parte la Socialist Alternative statunitense. Nella seconda parte di un articolo sui rom apparso sul sito sozialismus.info (4 febbraio 2013), la Sav scrive quanto segue a proposito del periodo successivo alla restaurazione capitalista in Europa orientale:
“Per la maggior parte, i rom sono stati i primi ad essere licenziati perché, in generale, erano meno istruiti e possedevano un livello più basso di scolarizzazione. La maggior parte dei rom non ha ottenuto nulla dalle benedizioni del capitalismo ed essi sono quindi stati tra i primi e maggiori perdenti in questa trasformazione. Per necessità, dunque, molti di loro si sono nuovamente rivolti sempre di più alle proprie strutture familiari. Il fatto che vi siano dei rom costretti a razzolare nell’immondizia o a diventare dei criminali per mantenersi non è colpa loro. No, è colpa del sistema economico capitalista, che si dimostra incapace di garantire loro un livello di vita adeguato”.
Se ci basassimo unicamente su queste altisonanti banalità non sapremmo mai che nel 1991 il gruppo russo affiliato al Cwi salì sulle barricate di Boris Eltsin, mentre quel controrivoluzionario appoggiato dagli Usa guidava l’assalto finale contro lo Stato operaio nato dalla Rivoluzione d’Ottobre. Né che le sezioni del Cwi hanno contribuito ad attizzare le fiamme del fanatismo razzista in casa loro. Nel 2009 i seguaci britannici di Taaffe giocarono un ruolo rilevante in uno sciopero reazionario di lavoratori edili, nella raffineria petrolifera di Lindsey, contro l’assunzione di operai provenienti da altri paesi dell’Ue. Riassunto nella parola d’ordine: “Il lavoro britannico agli operai britannici”, che venne sbandierata durante lo sciopero, questo veleno viene adesso somministrato soprattutto agli immigrati bulgari e romeni, compresi molti rom.
Come riferisce la Spartacist league/Britain nell’articolo “Ue Austerity Fuels Racism. Irish State Abductions of Roma Children” (Workers Hammer, n. 225, inverno 2013-14), le precedenti limitazioni dei tipi di lavoro che i cittadini bulgari e romeni potevano svolgere in Gran Bretagna, paese che essi possono visitare senza visto in quanto cittadini dell’Ue, sono scadute il 1° gennaio. Man mano che tale scadenza si avvicinava, il governo a guida Tory ha introdotto una moltitudine di provvedimenti che limitano i diritti dei bulgari e dei romeni di ottenere il sussidio di disoccupazione e i benefici abitativi. Il Labour Party, che era stato l’autore delle restrizioni lavorative, ha replicato che queste misure razziste giungevano troppo tardi!
I governanti dei colossi dell’Ue, la Germania e la Francia, insieme a quelli dei paesi dipendenti come la Grecia, che si stanno logorando sotto i dettami dei banchieri imperialisti, utilizzano i rom e altri immigrati disperati come capri espiatori per la disoccupazione di massa, l’austerità, la miseria e altri mali generati dal sistema capitalista stesso. Soltanto il rovesciamento del dominio capitalista attraverso una rivoluzione operaia può sbarazzare il continente da questi mali, spianando la strada agli Stati Uniti socialisti d’Europa in cui tutti i popoli avranno un posto libero ed eguale.
Per raggiungere questo obiettivo, la Lci si batte per costruire dei partiti operai internazionalisti rivoluzionari la cui missione consiste nell’infondere nel proletariato la consapevolezza di essere il becchino storico del sistema capitalista. Come scrisse Lenin nel Che fare? (1902), i socialisti rivoluzionari debbono agire come “il tribuno del popolo, che sa reagire a ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa avvenga e qualunque classe o strato essa colpisca, che sa generalizzare tutte queste manifestazioni in un solo quadro della violenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico, (…) per spiegare a tutti il significato storico mondiale della lotta emancipatrice del proletariato” (corsivi nell’originale). Mentre la rabbiosa repressione statale e gli attacchi sotto forma di pogrom dilagano in Europa, la difesa dei rom e di tutti gli immigrati costituisce un compito chiave immediato del movimento operaio.
[Tradotto da Workers Vanguard, n. 1037, 10 gennaio 2014 (Traduzione italiana di Paolo Casciola). Abbiamo deciso di non utilizzare il termine “zingaro” come traduzione di gipsy, per le connotazioni razziste assunte da questa parola, usando invece l’etnonimo “rom”, accomunando le popolazioni rom, sinti e affini, pur essendo consapevoli del fatto che la cosa non è rigorosamente corretta.]
Workers Vanguard
è l’organo della Spartacist League, sezione statunitense della Lega Comunista Internazionale
(quartinternazionalista)  [LCI],  una  tendenza  proletaria,  rivoluzionaria  e  internazionalista . 
  Marzo 2015: Spartaco N. 78    Organo informazione della lega dei comunisti italiani

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MOSTRA FOTOGRAFICA SUL PORRAJMOS (Divoramento nella lingua romanes) – Lo sterminio dimenticato degli “zingari” (le genti Romanì)

“Trascurare gli “zingari” o i romanì, tacere del loro massacro costituirebbe una seconda ingiustizia contro di loro.”                                                                                                                                                                                              “La memoria del popolo romanì massacrato deve trovare un posto tra tutti i popoli del mondo.”                                                                                                                                                                                                                          Due frasi di memoria per vissuti tragici comuni  di Mirian Novitch,ebrea polacca sopravvissuta ai lager nazisti.

E Romanì haj e Gagé te ne bistarà!                                                                                                                   Che i Romanì e i Gagè [i non romanì] non abbiamo a dimenticare!

CESP-BO – CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA IN COOPERAZIONE CON COMUNIMAPPE E AMIRS – ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI,
PRESENTANO: IL PORRAJMOS – LO STERMINIO DIMENTICATO DEGLI “ZINGARI”.
A CURA DI RAFFAELE PETRONE, MATTEO VESCOVI, GABRIELE ROCCHEGGIANI, PINO DE MARCH, TOMAS FULLI, MILAN JOVANOVIC, LIVIO RADUCAN.

PER PRENOTARE LA MOSTRA E LA SUA PRESENTAZIONE RIVOLGERSI A:
comunimappe@gmail.com
cespbo@gmail.com

La mostra è stata totalmente autogestita e autofinanziata, pertanto, si accettano contributi per poterla fare circolare oltre ogni confine e fare in modo che le genti Romanì continuino il loro lungo viaggio.

il 24.1.2018 ore 17,30 – l’anpi borgo-panigale-reno invita incontro sul porrajmos

                                                                                                                         
in occasione della giornata della memoria 2018

“L’OFFESA DEL SILENZIO”

il porrajmos: la persecuzione e lo sterminio
del popolo rom e sinti sotto il nazifascismo
Lapide posta dal Comune di Bologna sul muro esterno della Certosa per la Giornata della Memoria 2008 a ricordo di quella che per zingari, sinti e rom è il “porrajmos” termine equivalente all’ebraico “shoah”.
Presso la scuola Dozza, Via De Carolis, 23, sarà allestita una mostra fotografica dal 20 gennaio al 10 febbraio. La mostra sarà aperta alla cittadinanza nei pomeriggi di lunedì e venerdì dalle ore 15 alle ore 18.
La mostra è curata dal CESP-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA – BOLOGNA 
Il curatore per gli aspetti artistici-visivi e fotografici è il docente di storia dell’arte Raffaele Petrone, invece per gli aspetti descrittivi e storici-culturali il docente di storia e letteratura italiana Matteo Vescovi.
Mercoledì 24 gennaio 2018
Quartiere Borgo Panigale-Reno
Sala Falcone Borsellino
Via Battindarno 123 – Bologna

 

INCONTRO SUL PORRAJMOS
ore 17,30      Saluti
del Presidente del Quartiere
Vincenzo Naldi
e del Rappresentante ANPI Provinciale
Massimo Meliconi
Proiezione di un filmato/testimonianza
ore 18,00: interventi
Prof. Giulio Soravia
Il popolo negato: rom e sinti nella storia d’Europa
Dott. Luca Bravi
Porrajmos, la storia dell’antiziganismo.
Dott. Dimitris Argiropoulos
Conoscere e riconoscere una minoranza a partire dalla discriminazione estrema
testimonianze di rappresentanti delle comunità rom e sinti:
Thomas Fulli (Bologna)
Milan Jovanovic (Bologna)
Ernesto Grandini (Prato)
In collaborazione con: – AMIRS Associazione Mediatori Interculturali Rom e Sinti -Comunità Urbane – Comunimappe Libera Comune Pluriversità Bolognina

sabato 27 gennaio 2018 delle memorie attive, della responsabilità e della consapevolezza



Sabato 27 gennaio 2018                                                                          GIORNATA DI MEMORIE ATTIVE E DI DIMENTICATI STERMINI
 
Memorie attive nella scuola
IC1 – Dozza, Via De Carolis 23, Bologna
MATTINA
Ore 9-12 : Incontro delle classi terze (due blocchi)con esponenti dell’Anpi, saluto della Comunità ebraica bolognese, interventi delle Comunità urbane Rom(MilanJovanovic) e Sinta(Tomas Fulli).  
Elisa Duca conversa con student@ su Porrajmos di ieri  ed antiziganismo di oggi.                                                                 
Musiche Klezmer, Zigane e di resistenza  a cura di Salvatore Panu (fisarmonica) e Lionel Raducan (fisarmonica)
Ore 12,30-13 : Musiche e canzoni tratte e riadattate da testi poetici della poeta Mehr degli Jenische ‘zingari bianchi’ svizzeri
Officina poetica di Daniela Coelli e Fabio Turchetti (presenta associazione Enmadrid Otraitalia)
Sono invitati i genitori.
Mostra Porrajmos curata dal Cesp-Centro studi per la Scuola Pubblica: lo sterminio dimenticato degli zingari
Sabato 27 gennaio 2018                                               
dalle 18 alle 24
Memorie attive di dimenticati stermini                                       
Casa del Popolo Venti Pietre, via Marzabotto, 2, Bologna
Sera-notte antifascista, antirazzista, antisessista
Ore 18                                                                                                                                                       Franca Mariani (ANPI Quartiere Porto) e Liana Michelini (ANPI Quartiere Lame)
Brunella Guida (consigliera  di coalizione civica quartiere navile,difensora metropolitana dei diritti civili, culturali e sociali delle comunità urbane Rome Sinta )
Salvatore Panu (fisarmonica, intermezzi musicali)
Pino de March – coordina, presenta progetto memorie attive di stermini dimenticati e relaziona su – “l’Altro come nemicoed esperienza di comunità psichiatrica istituzionale partigiana sui Pirenei durante occupazione nazista della Francia(anni quaranta del secolo scorso).                                                                                                                                                 Testimonianze su persecuzioni e discriminazioni delle Genti Romani ieri ed oggi :Milan Javanovic e Lionel Raducan (mediatori interculturali di AMIRS associazione mediatori culturali Rom e Sinti)                                                                                                                                         Elisa Duca:memorie del porrajmos e dell’antiziganismo
Renato Busarello: persecuzioni e stermini di soggettività dai differenti orientamenti sessuali oggi LGBTQI.
L’inferno di Treblinka di Vassilij Grossman (Letture di Dada Lupa – Musica klezmer Salvatore Panu – fisarmonica)
Concerto di Lionel Raducan – fisarmonicista e presidente dell’AMIRS ed Aghiran – maestro di ballate rom
Giorgio Simbola e il piccolo concerto di musiche gipsy e swing.
Ore 20-21
Aperitivo solidale
ORE 21 – 24
Presentazione mostra fotografica a cura del CESP-Centro Studi per la Scuola Pubblica – sul Porrajmos
La  nascita del biliardino durante la guerra civile spagnola (Frequenze partigiane: rubrica radiofonica – live)
Elisabeth dell’associazione culturale Enmadrid Otraitalia trans-europea presenta:”Mio angelo di cenere” – musiche e canzoni tratte da concerto  Jenische – progetto poetessa rom svizzera Marinella Mehr                                                                                                                        Fabio Turchetti – fisarmonica, Daniela Coelli – voce, Luca Congedo – flauto, Luca Garlaschelli – contrabbasso. 
             

UN Pò DI STORIA

Mariella Mehr è nata a Zurigo ma ha vissuto a lungo in Toscana. Nel 2007 in occasione della presentazione delle sue poesie al teatro Fraschini di Pavia Fabio Turchetti è stato chiamato ad accompagnarla sul palco musicando e cantando alcune liriche originariamente scritte in tedesco e tradotte in italiano da Anna Ruchat. Le atmosfere che ha scelto per “metter in musica” queste liriche sono ovviamente quelle del mondo gitano, dalla rumba flamenca allo swing manouche
A questo esordio di Pavia sono seguiti poi alcuni festival tra cui quello della letteratura di Chiasso dove sempre nel 2007 il concerto è stato registrato in diretta dalla radio svizzera. La registrazione è stata stampata e pubblicata nell’ omonimo cd pubblicato dalla CPC. Con il peggioramento della salute di Mariella la collaborazione si è poi interrotta. Nel 2014 è nata questa nuova versione con un taglio più teatrale dove Daniela Coelli oltre che cantare e recitare le liriche di Mariella ha inserito due momenti di prosa tratti dal romanzo “La Bambina”ed alcuni brevi estratti del libro di Isabel Fonseca “Seppellitemi in piedi “. Lo spettacolo è stato portato in giro negli ultimi anni in varie città italiane tra cui Roma, Desio (MI),Lodi,Piacenza, Montebuono(PG),Castelverde, Cremona.
Mariella Mehr, nata a Zurigo nel dopoguerra, il 27 dicembre 1947, da madre zingara di ceppo Jenische,vittima dell’operazione Kinder der Landstrasse, (bambini di strada) ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo il centro della propria scrittura, vincendo numerosi premi e la Laurea Honoris Causa nel 1998 dalla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Berna per l’impegno per i diritti delle minoranze e dei gruppi emarginati. Gli Jenisch, una etnia nomade diffusa in particolar modo in Germania e in Svizzera negli anni’40, erano già stati vittime, insieme ad altre etnie nomadi, di una cruenta persecuzione nazista che, in nome della famigerata politica razziale, li aveva prima imprigionati e poi gasificati nei campi di sterminio di mezza Europa. Già nella primissima infanzia fu strappata alla madre per essere consegnata a famiglie affidatarie, orfanatrofi, istituti psichiatrici, in quanto la rottura totale tra il bambino e il suo universo familiare era ritenuta condizione indispensabile per l’estirpazione del fenomeno zingaro (dal 1926 al 1972 furono 600 i bambini sottratti a forza alle loro famiglie nell’ambito di un programma che doveva plasmarli secondo i modelli della società sedentaria).
E’ da questa esperienza di sradicamento, segregazione e colpevolizzazione che nascono tutte le opere della Mehr, in particolare i romanzi della “trilogia della violenza”, di cui la bambina fa parte, e la raccolta di poesie ‘Notizie dall’esilio’, alcune delle quali musicate da Fabio Turchetti nello spettacolo
Mio Angelo di Cenere.
Isabel Fonseca vive a Londra. Scrive sul Times, The Nation e The Wall Street Journal.
Ha pubblicato “Seppellitemi in piedi “ nel 1999 dopo una lunga serie di studi presso le comunità rom dell’est Europa

RIFLESSIONI SU COME VIVERE E TRASMETTERE LA MEMORIA TRA GENERAZIONI
tratte da ‘non c’è una fine’ di Piotr M.A. Cywinnski, attuale direttore del memoriale di Auschwitz, ed. Bollati Boringhieri, testo straoridinario consigliato a tutte le generazioni.

Un tritico per il nostro futuro anteriore:memoria, responsabilità e consapevolezza
‘La memoria è il fondamento. Non si può pensare che il presente verrà compreso e che la costruzione del futuro sarà chiara senza le solide fondamenta della memoria. Questo è particolarmente importante nell’Europa di oggi […]. 
Oggi è impossibile capire cosa ci sta accadendo intorno a noi se non comprendiamo le memorie che sono alle radici del presente. La memoria,tuttavia, non è abbastanza’. Piotr M.A.Cywinski
Ci si può domandare quale significato ha oggi la memoria dei passati genocidi ed in particolare quello relativamente più vicino e tremendo nel tempo: Auschwitz . Piotr M.A.Cywinski si pone la stessa domanda dopo essere stato nominato Direttore del ‘memoriale’ di Auschwitz. Ed in alcune pagine di un suo recente testo ‘Non c’è una fine’ così articola la sua interrogazione sullo scopo di Auschwitz:”Non è una domanda che riguarda semplicemente il significato di Auschwitz in quanto luogo della memoria. E’ molto di più, è una domanda su di noi, sulla nostra condizione. E’ una domanda sull’umanità. Come ho già scritto Auschwitz oggi si protende oltre la seconda guerra mondiale, oltre il Terzo Reich, persino l’oltre l’esperienza europea. Quando in un gruppo di lavoro stavamo valutando come definire al meglio i nostri obiettivi – che all’inizio del 2005 prevedevano la fondazione di un Centro Internazionale per l’educazione su Auschwitz e la Shoah – proposi come espressione per includere i diversi compiti del luogo un trittico: memoria, consapevolezza, responsabilità. E così fu deciso. Provammo a prendere quella strada”. (pag.113, non c’è una fine, ed. Bollati Boringhieri).
“La memoria è in effetti oggi sia la base che il compito di questo luogo. Memoria degli eventi, della sofferenza,della morte. Memoria dell’inimmaginabile numero di vittime, e ogni tanto anche di alcune vittime specifiche, pienamente identificate. Memoria di coloro che sopravvissero. E anche – se si vuole aggiungere una memoria di diverso tipo – memoria dei carnefici, delle loro motivazioni, della loro indicibile insensibilità, del loro disprezzo e del loro odio. Memoria di come le persone stremate soccombevano, del limite assoluto della sopportazione, dell’umiliazione e della degradazione.[…] Il significato più profondo della memoria è quello di prolungare l’esistenza di coloro che ora se ne sono andati. Ma la memoria è anche una forma di empatia, che ci mette dal lato delle vittime, con un profondo significato di opposizione ai carnefici. Troppo tardi, e con il senno di poi, ma comunque dal loro lato. La memoria è un’espressone dell’orrore, della tristezza e del rispetto. La memoria è dovuta alle vittime. E’ vero. Meritano la nostra memoria come nient’altro. Ma oggi non è ciò di cui hanno bisogno. Siamo noi e i nostri bambini ad avere bisogno. Molto di più di quanto pensiamo. La memoria è quindi la base, la ragione prima per visitare Auschwitz(come tutti gli altri luoghi simili), e attraversare questa terra d’umana sofferenza. E’ la ragione per cui le persone hanno bisogno di seguire i passi di coloro che furono assassinati, di percorrere gli stessi sentieri, di sperimentare nei loro pensieri ciò che accadde sett’anni fa.(30/1/1943 – 8/5/1945). La memoria è anche il primo livello da raggiungere a scuola quando si studia la Shoah,sterminio degli ebrei. (Ed oggi anche del Porrajmos, sterminio dei rom,come dell’omocausto,sterminio dei diversi orientamenti sessuali -LGBTQ). Il curriculum scolastico di storia riempie la mente di date, cifre e fatti, attraverso i quali si delineano i primi valori. Ma prospettiva morale, la memoria ci mette di fronte ai fatti, faccia a faccia con essi. La memoria, in un certo senso, rimuove la dimensione del tempo. E’ un’attitudine senza tempo. Ci porta a affrontare la Shoah oggi(come il Porrajmos o l’Omocausto) e ci costringe a verificare, talvolta a rivalutare la nostra rassicurante convinzione di essere migliori. E’ forse in questo che risiede la sua forza più grande. In passato c’erano problemi con la memoria. Per almeno due decenni, se non tre, nell’Europa occidentale, la Shoah veniva a malapena trattata. Nei media e nel dibattito pubblico esistevano già i viaggi ai campi di concentramento, ma tutto era confuso assieme: le storie dei movimenti di resistenza, le deportazioni politiche e il destino degli ebrei internati. C’erano molte ragioni alla base di questa amnesia collettiva. Tra queste c’era sicuramente la riluttanza politica a separare le vittime del nazismo tedesco in categorie distinte, in particolare, di nuovo, quelle razziali.”(pag.114-115, non c’è una fine, ed. Bollati Boringhieri).
[…]
“Tuttavia, una delle più importanti ragioni, sia ad Est come ad Ovest, era l’impressione, per lo più taciuta ma inconfondibile, che poche persone avessero fatto davvero qualcosa per aiutare le vittime della Shoah(come degli altri genocidi perpetuati in quei luoghi e in quelli anni). In grado maggiore o minore in tante forme diverse, naturalmente, la colpa era nondimeno condivisa, e di molti fatti si vergognavano profondamente. Anche questo soffocò il dibattito, almeno fino a quando, in modo naturale cambiarono le generazioni. La memoria,in generale, è capace di sorprendere. Soprattutto quella segnata dal trauma. Bisogna trattarla con grande comprensione ma anche con immensa cautela. Farò due esempi. Un ex prigioniero che era evaso da Auschwitz un giorno aveva portato le sue memorie al Museo perchè venissero pubblicate. Il suo racconto della vita nel campo di concentramento conteneva la vivida descrizione di un’esecuzione, che effettivamente avvalorata da altre fonti. Il problema era che quella specifica esecuzione era avvenuta solo dopo la fuga di quel testimone. Era essenziale parlare con l’autore, mostragli la cronologia degli eventi, per aiutarlo a realizzare che doveva per forza aver sentito la storia da altri sopravvissuti, centinaia, forse migliaia di volte, e che probabilmente aveva fatto proprio il racconto della morte dei suoi compagni internati. Conoscendo le vittime, conoscendo gli esecutori e ricordandosi alla perfezione come fosse la vita in quel campo di concentramento, nel corso dei decenni quell’uomo si era davvero convinto di essere stato presente all’esecuzione. Un altro esempio: ancora in vita fino a poco tempo fa, Henryk Mandelbaum – l’ultimo membro di un Sonderkommando in Polonia e uno degli ultimi al mondo – aveva per molti mesi estratto i corpi dalle camere a gas dopo l’apertura della porta, e con altri membri di quella tragica squadra di lavoro li aveva trascinati ai forni del crematorio o fino alle pire, poste all’esterno. Per molti anni raccontò a gruppi di adolescenti che non ricordava di aver visto nessun bambino nelle camere a gas. Tanti adulti e vecchi,si, ma nessun bambino. Con onestà, aggiungeva sempre che altri compagni, membri del Sonderkommando, dicevano invece che c’erano molti bambini nelle camere a gas, a volte c’erano più bambini che adulti; ma non poteva confermarlo, perché non ricordava di averne mai visti. Aveva cancellato l’immagine dalla sua memoria, in modo da vivere, e non impazzire. La memoria umana ha bisogno di essere verificata, proprio come altra fonte storica. Molti ex prigionieri erano sorpresi e preoccupati dalla quantità di indagini storiche, domande indiscrete, esami minuziosi e analisi critiche cui venivano sottoposti i loro racconti personali. Dopotutto, erano stati lì, loro avevano visto ogni cosa. Tuttavia, per diventare parte della narrazione storica, la memoria umana dev’essere sottoposta al rigore della scienza, degli istituti di ricerca e delle università. Negli anni ottanta sembrò addirittura che il dibattito sulla memoria sarebbe stato ridotto ad una disputa tra coloro che confermavano e coloro che negavano la Shoah. In alcuni paesi occidentali, per esempio in Francia, a Lione, la negazione della Shoah iniziò ad essere proposta come tesi di laurea persino all’università. Sarebbe stato molto pericoloso se la memoria fosse diventata una lotta non tanto contro l’oblio bensì contro una deliberata ed abominevole menzogna. La memoria sarebbe stata decisamente diversa se si fosse sviluppata esclusivamente contro il negazionismo. Per fortuna, l’Europa è riuscita in larga misura a sradicare la negazione della Shoah. Le persone che oggi promuovono il negazionismo sono in genere espulse dalle università, ostracizzate, denunciate e marginalizzate (non certo per censura ma per indegnità intellettuale di appartenere ad istituzioni ove si pratica una ricerca minuziosa della verità). Non sono riuscite a conquistare l’accesso ai media per promuovere le loro le loro teorie pretestuose. Forse anche perché I Negazionisti della Shoah non sono riusciti a convincere l’estrema destra e i gruppi neonazisti. Non bisogna confondere la negazione della Shoah con il neonazismo. I neonazisti non negano la Shoah: la rivendicano con orgoglio. Anche questo è decisamente terribile, ma non è la stessa cosa. Certo, l’idra della menzogna su Auschwitz può far rinascere le sue teste. Il suo cibo è l’antisemitismo. Oggi ci troviamo faccia a faccia con una negazione diffusa in molte comunità del Nord Africa e del Medio Oriente. Certo, la causa non è da ricercarsi nella storia della seconda guerre mondiale- che in quelle regioni è stata molto diversa – ma in un odio militante contro Israele ed in un antisemitismo profondamente radicato in certe motivazioni religiose e culturali.”.”(pag.116-118, non c’è una fine, ed. Bollati Boringhieri).
[…]
‘La memoria è il fondamento. Non si può pensare che il presente verrà compreso e che la costruzione del futuro sarà chiara senza le solide fondamenta della memoria. Questo è particolarmente importante nell’Europa di oggi […]. Oggi è impossibile capire cosa ci sta accadendo intorno a noi se non comprendiamo le memorie che sono alle radici del presente. La memoria,tuttavia, non è abbastanza. Auschwitz non può essere ridotta ad un mero luogo della memoria. Non possiamo fermarci solo a ricordare. La conoscenza dei fatti deve portare a comprenderli. Deve portare al riconoscimento del loro significato, ad una conoscenza sempre più profonda di sé. Settant’anni dopo la guerra, Elie Wiesel parlò di un ‘Luogo di Verità’. La conoscenza deve essere al servizio della consapevolezza e la consapevolezza deve essere costruita sulla memoria. Ed è qui che in genere il compito diventa molto più difficile. Provare a far capire ai giovani cosa significa che quasi un intero popolo è stato assassinato in Europa, e che in più si tratta del popolo che diede all’Europa cristiana le sue fondamenta, è immensamente problematico.(Altri popoli come quello Rom al pari degli ebrei fu oggetto di discriminazioni, sterminio e persecuzione che non terminò con la caduta dei regimi nazi-fascisti ma proseguì in forme più subdole anche in sistemi democratici con la programmata sterilizzazione delle donne rom in Svizzera e nei paesi scandinavi..). […]
“La lezione della Shoah non può però ridursi unicamente al suo contesto sociopolitico. Di frequente vedo e sento che gli insegnati cercano di sensibilizzare i loro studenti alla perdita assoluta che derivò dall’annientamento quasi integrale del mondo ebraico nell’Europa occupata dalla Germania nazista. In questo lamento rilevo troppo spesso un’annotazione utilitaristica:’sono scomparsi, tra di loro c’erano così tanti geni, musicisti, sportivi, poeti e pensatori. Il mondo ha perso cosi tanto …’. Trovo così estremamente fastidioso le lacrime verste su un paradiso perduto di beneficio collettivo. E’ come se l’assassinio di un genio fosse molto peggiore dell’assassinio di una persona comune. Invece tutti hanno la stessa importanza, che non può essere qualificata in termini di potenziali premi Nobel. La consapevolezza dell’importanza della Shoah, a mio parere,sta iniziando solo oggi a prendere forma nelle menti degli europei. Il significato della portata e della tragedia di tutto ciò sta iniziando solo ora ad essere realmente compreso. Vorrei proporre un punto di vista che nella longue durée(lunga durata) considerò immensamente importante, anche se non è la sola valutazione della storia e non è per niente esaustiva. Oltre chele vite degli innocenti – e non vorrei essere accusato di sminuire le tragedie individuali- l’Europa perse molto di più di una percentuale della sua popolazione, molto di più dei capolavori non creati, dei risultati scientifici non ottenuti o delle invenzioni non inventate che avrebbero meditato il premio Nobel. Perdite di questo genere in realtà sono avvenute più di una volta nella storia europea(certamente sì, non in simili vaste proporzioni o non in modo così ossessivo, sistematico e serial, se pensiamo solo alla caccia agli eretici o alle streghe, donne sagge del tempo e alla loro messa rogo come supplizio o allo sterminio degli Ugonotti a Parigi nella notte di San Bartolomeo). Anche il ruolo dell’egocentrica Europa nei confronti di quello che lei era solo un mondo esotico è stato spesso molto crudele. Nella shoah l’Europa perse sé stessa. Capirlo mette la Shoah nel giusto contesto della storia europea. Perché nella Shoah l’Europa perse tutto. Primo, il suo senso d’orgoglio. Indubbiamente,il senso d’innocenza, peraltro piuttosto ingiustificato, alla luce di tutti i conflitti, le guerre e le tragedie precedenti. Nella shoah l’Europa perse il suo diritto di credere in ciò che aveva fino ad allora aveva altamente rappresentato: la forza della moralità religiosa, l’umanesimo illuminista, i valori delle Costituzioni e della democrazia così come i dogmi del positivismo. Tutto questo sembrava essere la grande conquista dell’Europa, il sostrato,le fondamenta … e fallì. Le incontestabili basi dell’Europa si dimostrarono troppo deboli quando vennero effettivamente messe alla prova. Vista sotto questa luce, la shoah non è solo un altro tragico evento della storia europea,ma un punto di non ritorno. Un punto di svolta. Quello che era prima non esiste più. Quello che sarebbe successo dopo risultò completamente diverso. L’Europa ha bisogno di essere ripensata,dal momento che ciò che è stato fino a orasi rilevato illusorio. Non c’è da meravigliarsi poi che nei primi anni dopo la guerra siano stati fatti dei tentativi per trovare un nuovo volto all’Europa, un volto che avesse un maggior senso di solidarietà, di mutuo aiuto e di comunità. Ecco ciò che è mancato di più. In questo senso Auschwitz è una delle fondamenta basilari della comunità europea post-bellica e dell’Unione. Perché la guerra dopo la quale e in risposta alla quale un’Europa unita iniziò a essere costruita era stata diversa da tutte le guerre precedenti. E la differenza non stava nella portata della battaglia di Stalingrado o nella novità degli sbarchi in Normandia. La differenza senza precedenti in quanto a portata e novità era più evidente ad Auschwitz. Dopo una tale esperienza, l’Europa avrebbe potuto appassire,logorarsi, sprofondare nella diffidenza reciproca e nel marasma, o avrebbe potuto cambiare,ripensarci da zero.
[…]
Oggi ne sono convinto, ci stiamo avvicinando ad una vera comprensione degli avvenimenti di tanti decenni fa. Il nostro senso di consapevolezza ne trae grande vantaggio. Capiremo noi stessi in maniera diversa,più pienamente. Purtroppo, sarà accaduto a costo di troppe vite innocenti. Ma la consapevolezza che deriva dalla memoria non è il passo finale nel processo di piena comprensione. Proprio come la consapevolezza deve derivare dalla memoria, così deve anche tradursi in senso di responsabilità. No,non del tipo storico, quell’unico senso di responsabilità, molto debole, espresso nei processi mediatici di Norimberga o simili. Dopo la guerra, solo una frazione di un punto percentuale degli assassini fu sottoposta a giudizio, ben al di sotto della soglia dell’errore statistico. Non è il tipo di responsabilità che intendo. E neanche lo è la stigmatizzazione storica ed eterna della Germania, dell’Austria e dei loro vili complici. Mi sto riferendo ad una responsabilità che è vostra e che è mia, oggi. Perché sapete cosa accadde, conoscete i fatti e il loro significato, potete testimoniare al massimo livello cosa sia il vostro dovere. E qui abbiamo il problema più grande. Non ci piace dover prendere impegni. Oggi coloro che visitano Auschwitz provano a capire come si è arrivati a quest’inferno sulla terra, questo ‘anus mundi’. Maledicono chiunque non sia riuscito a fare tutto il possibile per impedire che accadesse, per opporsi. Camminando tra le recinzioni di filo spinato, si sentono vicini alle vittime. Vedendo le torrette di guardia tremano per l’empatia. A volte piangono, e non si può dubitare che le loro lacrime siano sincere. E poi tornano a casa. Qualche settimana più tardi,a cena, nel calore e nella sicurezza della loro casa, vedranno immagini in diretta di un genocidio in Africa o di una guerra civile in Sud America, di attacchi razzisti o di slogan antisemiti in uno stadio di calcio in Europa, e continueranno a cenare. Non è affar loro. Non è il loro mondo. Non li riguarda. E’ compito dei servizi segreti, dei caschi blu,delle forze della pace. Come ho già scritto, è nella mancanza di reazione nelle nostre case che vediamo la vera tragedia. Qui arriviamo al massimo grado di vicinanza a ciò che rese la Shoah possibile, a ciò che la rese fattibile. Qui tocchiamo l’autorizzazione diretta all’assassinio. Gli esecutori concreti dell’assassinio sono altri, ma gli omicidi possono essere compiuti solo se non c’è una vera opposizione. Tornando da Auschwitz,non molto tempo prima, quelli stessi visitatori si erano chiesti perché ci stati, tutto sommato, così pochi giusti tra le Nazioni. Eppure quando delle persone come Irena Sendler- che trasportava di nascosto centinaia, migliaia di bambini dal ghetto di Varsavia – hanno rischiato molto di più di quanto loro rischierebbero se salvassero anche un solo di quei bambini condannati alla morte per inedia o genocidio che osservano sugli schermi dei televisori, cenando. Questa è la responsabilità alla quale mi sto riferendo. Una responsabilità che è decisamente tangibile. Quando dico queste cose ai giovani, e spiego loro che non si tratta di un problema filosofico, di un’analisi antropologica del comportamento umano o di un tema per un seminario di sociologia e psicologia, ma è un problema di scottante attualità, una questione di vita e di morte, mi guadano stupefatti, come se fossero stati svegliati di colpo da un piacevole sogno ad occhi aperti. […]
Tutte queste persone si sono chieste perché all’epoca il mondo non fosse riuscito a reagire. E oggi nessuno di loro – o almeno quasi nessuno reagisce. […]
Quando dico queste cose a chi mi ascolta, mi sento spesso chiedere:’Ma cosa potrei fare io oggi, di preciso?’. E rispondo:’Non pensare a livello globale. Non affrontare il male nella sua totalità. Non illuderti che sia sufficiente prendere una posizione,denunciare pubblicamente un tiranno totalitario. Questo potrebbe al più irritare il tiranno, ma certo rovinare il senso di benessere del tiranno non è l’obbiettivo principale. Non è questa la preoccupazione principale degli individui che stanno per morire, o i cui figli moriranno presto tra le loro braccia. I Giusti tra le Nazioni non scrivevano lettere di protesta contro Hitler. Non focalizzarti a combattere la causa alla radice. Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso.’ E poi di solito cala il silenzio. A dispetto della memoria e, almeno in parte, della consapevolezza, con la responsabilità continuiamo ad avere un grande problema collettivo. Le persone continueranno a morire, quasi tra le nostre stesse braccia..”(pag118-127 , non c’è una fine, ed. Bollati Boringhieri).
Sistema di codifica dei contrassegni
Il sistema di codifica dei contrassegni serviva a classificare i prigionieri, generalmente in base a gruppi creati sulla base dei motivi dell’arresto. Simboli erano in stoffa, affibbiati sulla divisa, definita dai prigionieri Zebra a causa delle strisce chiare e scure alternate: sulla casacca, all’altezza del petto, sulla sinistra, e sui pantaloni, all’altezza della coscia destra. I criteri per l’identificazione degli internati variavano però a seconda dei luoghi di detenzione, e del trascorrere del tempo. L’assegnazione di un prigioniero a una categoria dipendeva in ogni caso dall’arbitrio della Gestapo; le suddivisioni si confusero e persero poi di valore con l’aumentare dei deportati da molti paesi, e con il progressivo sgretolamento del Terzo Reich.
Triangoli colorati Tabella dei contrassegni diramata nel 1940 e nel 1941 a tutti i comandanti dei KL.
Un triangolo giallo, o una Stella di David, Judenstern, costituita da due triangoli di colore giallo appositamente sovrapposti, identificava i prigionieri ebrei;
un triangolo di colore rosso, rot, identificava i prigionieri politici, politischer Vorbeugungshäftling, arrestati per “fermo protettivo”, Schutzhaft, un pretesto per internare gli oppositori al nazionalsocialismo. Erano denominati Roter secondo la lingua del lager di Mauthausen. Identificava, fra gli altri, i massoni e i sacerdoti antifascisti o considerati tali;
un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri zingari. Erano denominati Brauner secondo la lingua del lager di Mauthausen;
un triangolo di colore nero identificava gli asociali, Asoziale. Erano denominati Aso secondo la lingua del lager di Mauthausen. I nazisti ritenevano che fossero da considerare quali asociali, fra gli altri, i vagabondi, gli etilisti, i malati di mente, le prostitute, le lesbiche, gli zingari. Alcuni prigionieri contrassegnati dal triangolo nero svolsero il ruolo di Kapo;
un triangolo di colore viola identificava i testimoni di Geova, i “ricercatori della Bi
bbia”, Bibelforscher, detti anche “i viola”, die Violetten; un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri maschi omosessuali, internati sulla base del Paragrafo 175. Erano denominati Rosaroter, secondo la lingua del lager di Mauthausen; un triangolo di colore blu identificava gli emigrati, Emigranten. Si trattava di fuoriusciti dalla Germania in quanto oppositori antinazisti, rientrati perché richiamati con la frode, o per la minaccia di ritorsioni nei confronti dei loro familiari. Nel lager di Mauthausen i triangoli blu erano attribuiti ai prigionieri politici spagnoli; un triangolo di colore verde identificava i delinquenti comuni,che generalmente svolgevano il ruolo di Kapo.
Seminario specifico per docenti ed educatori di ogni ordine e grado scolastico
e coeducazione con alunne/i rom
Attenzioni, sguardi, distanze, prospettive di inclusione nella scuola pubblica

03-FEBBRAIO -2018  SEMINARIO DI FORMAZIONE DOCENTI ED EDUCATORI
Cesp – Centro studi per la scuola pubblica
Sede di Bologna, Via San Carlo, 42
cespbo@gmail.com www.facebook.com/cespbo/
Giornata nazionale di formazione in collaborazione con Scuola di Pace di Monte Sole
Percorsi di scolarizzazione
e coeducazione con alunne/i rom
Attenzioni, sguardi, distanze, prospettive di inclusione nella scuola pubblica
Bologna, Sabato 3 febbraio 2018 ore 9.00 – 13.30
presso l’I.C.1 “G. Dozza” via De Carolis 23 – Bologna

Programma del seminario

ore 9-11 la condizione scolastica di Rom e Sinti nella scuola italiana dell’obbligo
Matteo Vescovi: Presentazione della giornata e della mostra sul Porrajmos
Gabriele Roccheggiani: Escludere includendo. Teorie e pratiche socio-educative nelle classi speciali “Lacio-Drom”
Dimitris Argiropoulos: La co-gestione delle differenze culturali e la pedagogia dell’Accoglienza nella scuola. Mediazioni, per esplorare creare e gestire relazioni e apprendimenti scolastici in una prospettiva inclusiva.
Pausa
ore 11.30-13.30 esperienze didattiche tra stereotipi, domande e buone o cattive prassi
Elena Bergonzini: “La memoria e i dimenticati”, laboratorio didattico a cura della Scuola di pace di Monte Sole.
Condivisione, rielaborazione e discussione delle esperienze educative e didattiche dei partecipanti.
Per le iscrizioni scrivere a cespbo@gmail.com

Per gli interventi nel laboratorio didattico
Nella seconda parte della mattina ci sarà anche un momento dedicato allo scambio di esperienze didattiche tra collegh*. Chiediamo quindi a chi ha esperienze con alunne/i Rom e Sinti maturate in classe o nella propria vita personale e professionale di arricchire con il suo racconto il laboratorio.
Chi vuole contribuire deve inviare a cespbo@gmail.com entro il 20 gennaio 2018 il titolo e un breve abstract dell’intervento (massimo una pagina) in cui descrive il grado scolastico in cui si è intervenuto, le problematiche educative di partenza, le caratteristiche della scelta didattica operata, gli eventuali aspetti problematici ancora irrisolti.
Presentazione del seminario di formazione

Esiste una specificità nelle attuali condizioni di inserimento e di successo formativo degli alunni Rom e Sinti nella scuola dell’obbligo italiana?
Quali sono gli elementi di una certa problematicità che investe i percorsi di scolarizzazione degli alunni rom provenienti da varie comunità (rom e/o sinti) e che interessa particolarmente gli alunni provenienti da una situazione abitativa di “campi nomadi”?
Come collegare la scuola alle condizioni di vita degli alunni e come finalizzare relazioni e apprendimenti scolastici ad una possibile mobilità sociale?
Il seminario di studi organizzato dal CESP (Centro Studi scuola pubblica) si propone l’obiettivo di restituire ai partecipanti degli strumenti critici per rispondere a queste domande a partire dalle difficoltà vissute e constatate quotidianamente nelle comunità romanì e nella scuola.
Una particolare attenzione sarà dedicata anche alle risposte che la scuola della Repubblica italiana ha elaborato nel tentativo di raggiungere l’obiettivo dell’integrazione e alle contraddizioni che queste proposte hanno generato, dalle classi differenziali degli anni 60 alla classificazione degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali) di oggi.
La seconda parte del corso, utilizzando metodologie di tipo laboratoriale e il confronto tra le esperienze personali, sarà dedicata all’analisi di situazioni problematiche e alla elaborazione di possibili percorsi didattici ed educativi, volti sia a decostruire gli stereotipi negativi e positivi nei confronti delle minoranze “zingare”, sia a suggerire proposte di interventi didattici che possano davvero favorire il successo formativo di questi alunni e alunne.

Esperienze a confronto
A questo scopo, vorremmo che questa seconda parte si configurasse anche come un momento di scambio di esperienze. Perciò ci sarà la possibilità di mettere in comune le pratiche didattiche e l’occasione per confrontarsi. Chiediamo quindi a chi ha esperienze con alunne/i Rom e Sinti maturate in classe o nella propria vita personale e professionale di arricchire con il suo racconto il laboratorio. Chi vuole partecipare deve inviare il titolo e un breve abstract dell’intervento (massimo una pagina) in cui descrive il grado scolastico in cui si è intervenuto, le problematiche educative di partenza, le caratteristiche della scelta didattica operata, gli eventuali aspetti problematici ancora irrisolti. Le proposte vanno inviate a cespbo@gmail.com entro il 20 gennaio 2018. I partecipanti avranno in anticipo la raccolta degli abstract e gli autori avranno 10 minuti per illustrare la loro esperienza.


Mostra: “Porrajmos: lo sterminio dimenticato degli zingari”
Durante la giornata verrà presentata la mostra “Porrajmos: lo sterminio dimenticato degli zingari” allestita all’interno della scuola media Dozza dal 20 gennaio al 10 febbraio, ma disponibile per eventuali altri allestimenti all’interno delle scuole. La mostra nelle nostre intenzioni vuole essere un’occasione per parlare con gli alunni e le alunne della condizione di marginalizzazione e persecuzione delle popolazioni “zingare” d’Europa.

Informazioni sugli interventi e sui relatori

Titolo:
La co-gestione delle differenze culturali e la pedagogia dell’Accoglienza nella scuola.
Mediazioni, per esplorare creare e gestire relazioni e apprendimenti scolastici, in una prospettiva inclusiva.

Abstract:
“Gli zingari culturalmente differenti sono percepiti e disegnati come “persone di origine nomade” da riadattare per includerli nel resto della società. Una volta oggetto di riadattamento, sono percepiti e disegnati come disadattati e il loro disadattamento si attacca all’immagine che si fa di loro. Il condannabile è immaginato e come tale è condannato. E come condannato è forzatamente condannabile e lo resta. Il discorso è chiuso, ma non l’interrogativo che lo riguarda.” Jean Pierre Liégeois

I rom in situazione abitativa di campo “nomadi” vivono una speciale condizione di apartheid e la loro condizione umana è sminuita nonché segnata dalla separazione, dalla descrizione negativa, dalle discriminazioni, dall’isolamento e dall’estrema povertà economica e relazionale.
Questa popolazione affronta il paradosso, l’ossimoro, di considerare un messaggio altamente contraddittorio: è “invitata” dalle istituzioni, centrali e/o locali, attraverso abbandoni, sgomberi, violenze ma anche attraverso leggi, regolamenti, tutele ad abitare nei campi e nello stesso tempo e dalle stesse istituzioni, è “invitata” ad inviare i loro figli e figlie alla scuola impostata sul modello inclusivo (si proclama tale). All’esclusione abitativa e di vita si contrappone l’inclusione scolastica. Di conseguenza i rapporti con la scuola presentano una certa criticità costituita da abbandoni, conflitti, malintesi, avversità, che si estende agli apprendimenti disegnati e vissuti come difficili e talvolta impossibili, di fatto a-storici, non contestualizzati, costrittivi, che cristallizzano, oggettivandone la presunta ineducabilità, gli alunni/e rom.

Relatore: Dimitris Argiropoulos
Docente dell’Università di Parma, insegna Pedagogia speciale ed Educazione Interculturale.

Titolo:
Escludere includendo. Teorie e pratiche socio-educative nelle classi speciali Lacio Drom

Abstract
” A causa della sua cultura lo zingaro è in ritardo, è un bambino che deve essere aiutato a crescere, a recuperare il suo gap” (Mirella Karpati)

L’inclusione scolastica delle minoranze rom e sinti in Italia coincide per circa un ventennio (anni ’60-’80) con le classi speciali Lacio Drom, con l’effetto paradossale di rafforzare la rappresentazione di questa popolazione come esterna a quella italiana. Tale politica educativa nasce da un combinato di saperi, esperti psico-pedagogici e istanze istituzionali, la cui genealogia e articolazione offre ancora uno sguardo dialettico sul presente.

Relatore: Gabriele Roccheggiani
Dottore di ricerca in Sociologia presso l’Università di Urbino Carlo Bo.
Docente di Storia e Filosofia presso il Liceo artistico Edgardo Mannucci di Ancona.


Titolo: “La memoria e i dimenticati”

Abstract
Ogni memoria istituzionale, di comunità, familiare, è il risultato di scelte: si sceglie cosa ricordare e cosa tralasciare. Lo scopo di questa attività laboratoriale è stimolare una riflessione sui meccanismi che guidano queste scelte e su come stereotipi e pregiudizi radicati possano esserne sia la causa che il prodotto.

Conduce il laboratorio:
Elena Bergonzini, educatrice della Scuola di Pace di Monte Sole.
Per le iscrizioni scrivere a cespbo@gmail.com

Promuove Comunimappe e Casa del Popolo venti pietre in cooperazione con Enmadrid Otraitalia, Amirs, Cesp, Anpi -Mario Ventura -. di Santa Viola, Frequenze partigiane, Rete Ivan Ilich, Smaschieramenti -Babs-ex Atlantide sgomberato, Centro sociale Lazzaretto.
QUESTI GIORNI DI MEMORIA DAL 20 GENNAIO AL 10 FEBBRAIO 2018 NON SAREBBERO STATE POSSIBILE SENZA LA COOPERAZIONE ATTIVA E DAL BASSO E LA CONCATENAZIONE DELLE MOLTE SINGOLARITA’ COMUNI PRESENTI NELLA NOSTRA CITTA’
PINO DE MARCH PER CONTRADE SOLIDALI ROM, SINTI E GAGI DI COMUNIMAPPE
Contatti: comunimappe@gmail.com
Informazioni blog: comunimappe.blogspot.com

far vivere la memoria degli sterminati ,generare consapevolezza e responsabiiltà tra generazioni perchè l’Europa non perda se stessa un’altra volta .


 MEMORIA, CONSAPEVOLEZZA E RESPONSABILITA’

 
“Ad Auschwitz l’Europa perse se stessa”. Piotr M.A. Cywinski

“Nessuno di noi fece abbastanza.
                                                                                                                                                                                                           Nessuno può dire di aver fatto abbastanza se non coloro che morirono aiutando gli altri.                                                                                  
 Solo loro hanno fatto abbastanza”.                                                                                                                                         Wladslaw Bartosezewski                                                                                  
Robert S.C.Gordon in suo saggio ‘Scolpitelo nel cuore’ presenta ciò che lui ha studiato in profondità e cioè la storia dell’elaborazione della Sohah in Italia, e ce ne offre un quadro complesso, ripercorrendo questi 60 anni su più livelli, evidenziando la figura centrale di P. Levi, ma anche il diffuso sentimento auto-assolutorio degli italiani, che ancora oggi indicano se stessi come esecutori ‘riluttanti’ di ordini altrui, faticando a farsi carico del proprio passato.                         [..] anche se il suo tributo alla Sohah,in termini di sangue, indifferenza, di collaborazionismo è stato decisamente minore, in proporzione ad altri paesi europei dell’Est come dell’Ovest, che non la rende per questo meno terribile. Da qualunque prospettiva la si guardi, il caso italiano sembra un’eccezione. Perché al di qua delle Alpi nacque il fascismo, e fu un fascismo che un ventennio più tardi si seppe rigenerare(o degenerare)una ferocia(atrocità) della Repubblica Sociale di Salò(composta da giovani repubblichini aguzzini che praticavano torture, violenze e assassini verso partigiani e complici di essi, nota d’autore), la quale collaborò ampiamente alla caccia all’uomo e alla deportazione dei ‘suoi ebrei’, in una proporzione del tutto paragonabile al caso francese(informazioni tratte R. Gordon), in qualche modo si salvarono 3/4 delle potenziali vittime presenti nel territorio in cui vivevano(per le molte forme di solidarietà individuale e di disobbedienza sociale al fascismo), nascondendo e proteggendo i propri vicini perseguitati:perché gli uomini, le donne, i vecchi e i bambini che partivano su carri merci o carri bestiame dalla penisola italiana furono indubbiamente meno, se comparati alla carneficina che in parallelo stava avvenendo ed in gran parte era già avvenuta, nell’Europa orientale(Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia (Jasenovac, l’Auschwitz del vaticano, per la complicità dei francescani croati al regime fascista ustascia di Ante Pavelic che praticò – l’istrebljene- la distruzione biologica degli ebrei, dei serbi e dei rom che erano considerati ‘i peggiori nemici del popolo croato’, nota dell’autore)e di altri paesi (occupati ) dell’Europa occidentale (Belgio,Olanda, Danimarca)colpiti duramente, anche per ragioni di tempo,la distruzione degli ebrei europei.                                                                                               (Carlo Greppi, storico e scrittore, collaboratore di Rai Storia, e danni organizza viaggi della Memoria con l’associazione Deina)
ZIGEUNERLAGER- Campo degli ‘zingari’.                                                                                                 Un campo che esistette negli anni 1943-44 nel settore BII e di Birkenau. Vi sono state deportate intere famiglie, in tutto oltre 20.000 tra Rom e Sinti(altri e molti della loro gente durante i rastrellamenti, ma anche nelle ripetute invasioni ed occupazioni militari dei paesi dell’Est Europa, finirono ammazzati come animali selvatici. Essi vivevano numerosi nei loro villaggi, ed era prassi che le loro baracche venissero bruciate a cui seguivano le selezioni,per gli abitanti ritenuti idonei ai loro forzati seguiva la deportazione e per gli altri la fucilazione; questi fucilati non compaiono nel numero degli assassinati nei vari campi di concentramento e sterminio; di queste stragi non documentatene ne è testimone e ne parla nelle sue conversazione con la moglie il pugile sinto Ruekeli , al ritorno da una di queste campagne militari ad est. Il pugile Ruekeli fu tra i 30.000 Rom e Sinti che prestarono servizio militare obbligatorio in quanto cittadini tedeschi nei primi anni del III Reich; poi  negli anni successivi che sono quelli che decisero anche per loro come per  gli ebrei della soluzione finale, furono rimandati a casa e subito deportati nei vari campi tra cui Auschwitz. Il pugile Rukeli ebbe la stessa sorte degli atri sterminati e fu assassinato per un gioco sadico da un kapò che lo aveva sfidato, e avendo perso la sfida e subito la derisione degli astanti nazisti, pensò ‘bene’ di nascosto, di ammazzarlo per vendetta con un colpo di pistola).Gli ultimi rom e sinti vennero uccisi nella notte tra il 2 e 3 agosto del 1944.                                                                                                                   Testi tratti da ‘non c’è una fine’ di Piotr M.A.Cywinski – ed. Bollati Boringhieri  ed elaborati con alcune glosse tra parentesi  da Pino de March

PERIFERIE E MEMORIE ATTIVE ANTIFASCISTE,ANTIRAZZISTE E ANTISESSISTE : DAL 20 GENNAIO AL 10 FEBBRAIO 2018

LA LIBERA COMUNE UNIVERSITÀ – PLURIVERSITÀ BOLOGNINA                                                                                                                                     IN COOPERAZIONE CON ISTITUTO COPRENSIVO IC1- SCUOLA DOZZA ,IL CESP (CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA) E L’AMIRS (ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI)  mostra  fotografica 

SUL PORRAJMOS – IN LINGUA ROMANES – ‘DIVORAMENTO’ , UNO DEGLI  STERMINI  NAZI-FASCISTI DIMENTICATI DALLE MEMORIE – QUELLO DELLE GENTI ROMANI’ (ROM,SINTI), COME  E’ ACCADUTO PER I DIVERSI GENERI LGBTQ, E  SEMINARIO DI FORMAZIONE NAZIONALE CESP– PERCORSI DI SCOLARIZZAZIONE E MOBILITA’ SOCIALE PER GLI STUDENTI E STUDENTESSE ROM E SINTI CHE SI TERRA’ – IL 03 FEBBRAIO DALLE 9 ALLE 13, AULA MAGNA DELL’IC3 –DOZZA-LAME – VIA DE CAROLIS 23- BOLOGNA
dal 20 gennaio al 10 febbraio dalle ore 9 alle ore 12 dal lunedi a sabato (lunedi e venerdì pomeriggio dalle 15 alle 18 aperto al quartiere e alla città
PRESSO L’ISTITUTO COMPRENSIVO IC1- SCUOLA DOZZA IN DE CAROLIS,23
aperta alle classi di ogni ordine e grado.
L’ingresso alla mostra è gratuito, vi chiediamo solo di lasciare un contributo per contribuire alle spese(OFFERTA LIBERA).
Quest’anno ai ragazzi e alle ragazze che visiteranno la mostra,chiediamo fin d’ora,di portare con sé un oggetto personale in uso nei giorni di frequenza alla scuola e di deporlo in un punto che sarà indicato dai custodi, ricercatori e curatori, per segnalare che l’entrata in un campo di concentramento, significava innanzitutto la totale spersonalizzazione delle persone lì deportate (il ritorno alla nuda vita, così spogliate di ogni loro forma di vita), e finire per sempre in uno dei tanti suoi gironi infernali, a cui seguivano lavori forzati, sperimenti eugenetici, maltrattamenti ; ed infine il passaggio nelle camere a gas per alcuni/e  e per altri/e la morte per fame e stenti, le arbitrarie esecuzioni dei kapò, e come destino di tutti e tutte, i forni crematori o le fosse comuni.             Con questi oggetti donati allestiremo una mostra di memoria attiva e perenne nella scuola.
 (per visitare la mostra è necessaria la prenotazione scrivendo a comunimappe@gmail.com).
Con questo percorso fotografico che comprende 45-50 immagini tratte da archivi storici e da noi  sottotitolate, ed con altre duecento riproduzioni visive sul tema condensate in un file, vogliamo accompagnarvi in un viaggio infernale attraverso la persecuzione e lo sterminio nazi-fascista degli ‘zingari’(popolo Rom), ma vogliamo anche testimoniare la resistenza orgogliosa di questo popolo che non rifugge l’integrazione e la convivenza con gli abitanti dei paesi che attraversa e che li ospita (i ‘gagè’, come loro li chiamano). Un popolo che non ha mai dichiarato guerra ai suoi vicini, ma che è stato capace di combattere e sacrificarsi al fianco delle forze della resistenza democratica antifascista in Italia come in altri paesi europei, per riconquistare per sé e per noi la libertà calpestata, dai regimi nazi-fascisti, che avevano alcuni sospeso ed altri abolito,ma tutti messo in scacco le costituzioni liberali vigenti . Queste immagini, oltre ad interpellare la nostra memoria comune di tutte le vittime del nazifascismo, ci ricordano che, come per la Repubblica italiana, le radici della nuova Europa democratica sono da ricercare nella guerra di resistenza che tanti e tante hanno combattuto in nome del diritto di tutti e di ciascuno a vivere in una società aperta e solidale, in cui siano riconosciute le molteplici minoranze linguistiche e culturali in essa presenti, e sia finalmente sopita ogni forma di ‘fobia’ (paura e repulsione) verso le diverse umanità e culture, siano esse ebrei, rom, omosessuali-lgbtq, diversamente abili o H, o altre minorità religiose o politiche. In questo senso, possiamo affermare con forza che anche il popolo romanì ha saputo dare il proprio significativo contributo alla realizzazione di questa Europa che deve ancora venire.
Ringraziamo l’associazione CIPES (Centro di Iniziativa Politica e Sociale) di Milano per averci prestato il loro materiale.
LA MOSTRA FOTOGRAFICA E’ STATA CURATA ARTISTICAMENTE E GRAFICAMENTE DA RAFFAELE PETRONE (Docente storia dell’arte all’ IC1 – Bolognina) E LE RICERCHE STORICHE E LE DISCASCALIE, DA ESSE TRATTE, CHE SOTTOTITOLANO LE SINGOLE IMMAGINI DA MATTEO VESCOVI (Docente di Storia ed Italiano dell’Istituto Agrario Serpieri di Bologna)
PORRAJMOS: LO STERMINIO DIMENTICATO DEL POPOLO ROMANI'(Inno delle Genti Rom)
“Alzatevi Rom (uomini liberi)
è arrivato il momento, venite con me
e con tutti gli uomini liberi del mondo.
O Rom, o giovani!
Io pure avevo una grande famiglia
La nera legione l’ha massacrata.
Perché?
 Le strade zingare ci sono aperte
E’ il momento: alzati rom
Noi scatteremo e agiremo.
O zingari, o giovani!”
Djelem, djelem di Zarko Jovanovic, rom serbo
PORRAJMOS: (divoramento) un vocabolo che nella lingua romanì indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò, con la complicità degli altri fascismi d’Europa, nei confronti del popolo romanì. Il “Porrajmos”, al pari della più nota Shoah, è diretta conseguenza dell’ideologia razzista nazi-fascista. Fin da subito i nazisti nel Terzo Reich si preoccuparono di isolare gli zingari dal “corpo sano” della società per recluderli nei campi di concentramento, così nel 1938 in Germania fu emanata la legge che definisce i provvedimenti da prendere per la gestione della “razza zingara”, mentre lo sterminio del popolo romanì fu avviato da Himmler, come parte della “soluzione finale”, il 16 dicembre del 1942 con l’ordine di deportare ad Auschwitz “tutti gli zingari”.
L’approccio razziale del Terzo Reich venne ripreso dal regime fascista italiano, e la questione “zingari” venne inquadrata all’interno delle problematiche aperte dalle legge razziale del 1938 promosse da B. Mussolini. [Vittorio Emanuele III, le cui spoglie sono rientrate in Italia con la moglie Elena del Montenegro in questi giorni, (dicembre 17)fu l’unico monarca in Europa a promulgare leggi di discriminazione razziale contro il proprio popolo (va ricordato anche la sua secondogenita Mafalda espiò e finì i suoi giorni al campo di concentramento di (Buchenwald) . I rastrellamenti cominciarono subito, ma la prima disposizione specifica è del 1940 e prevedeva la reclusione di tutti “gli zingari” italiani e stranieri in campi ad hoc(esclusivamente riservati). La situazione, poi, mutò in peggio dopo l’8 settembre del 1943, quando con la Repubblica Sociale di Salò (divenuta parte Terzo Reich) i detenuti dei campi furono deportati verso i lager tedeschi.  Proprio come gli ebrei, gli ‘zingari’ (oggi dignitosamente Rom o Romanì)furono perseguitati e uccisi in quanto “razza inferiore” destinata, secondo l’aberrante ideologia nazista non alla sudditanza al Terzo Reich, ma alla morte. Ma proprio questa definizione è il nodo del problema, perché per molto tempo dopo la fine della guerra, e allo sterminio nazista delle Genti Romanì non era ancora stata riconosciuta la motivazione razziale, ma lo si è considerato conseguenza, ‘banalmente ovvia’, come tutti i mali (direbbe la filosofa Hannah Arendt)di quelle misure di prevenzione della criminalità che ‘naturalmente’ si acuiscono in tempo di guerra. Una tesi smentita, ma che trova fondamento anche nella constatazione che, almeno nella prima fase del governo nazista, esso non fece altro che applicare ed ampliare le disposizioni già presenti in tantissimi stati europei, che già nei primi anni del ‘900 avevano tentato di schedare e controllare le minoranze zigane, ritenute un elemento disgregatore della supposta e ben ordinata comunità ‘organica’ fascista.
In realtà, i provvedimenti presi dal Reich tedesco nella metà degli anni Trenta servirono solo a preparare un “più coerente” piano di sterminio. I Romanì, infatti, furono dichiarati “asociali” e poi furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati in massa, utilizzati come cavie per esperimenti medici, gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio proprio in quanto ‘zingari’e quindi, secondo l’ideologia nazista, geneticamente ladri, truffatori, nomadi, razza inferiore indegna di esistere. E chiunque si fosse unito in matrimonio con un appartenente al popolo rom, fosse anche un germanico ‘ariano o ariana’,doveva  divorziare e in caso contrario  subire le stesse conseguenze di persecuzioni e sterminio riservato agli ‘zingari’ come agli ebrei.
Almeno cinquecentomila morirono nei campi di concentramento, ma probabilmente furono molti di più, considerando quelli non censiti o uccisi nei rastrellamenti delle campagne. Nello Zigeunerlager, il campo loro riservato ad Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l’agosto 1944 oltre ventimila tra Rom e Sinti vennero condotti nelle camere a gas.
In Italia i Rom furono imprigionati nei campi di concentramento di Agnone, Berra, Bojano, Bolzano, Ferramonti, Tossicìa, Vinchiaturo, Perdasdefogu, le isole Tremiti e in quello di Gonars. Si trattava di cittadini italiani, ma anche di altre nazionalità; un gran numero erano Rom slavi, fuggiti in Italia dalle persecuzioni dei nazi-fascisti  nei loro paesi. Molti di loro riuscirono a fuggire e si unirono alle bande partigiane.
(parti  tratte da note da Giovanna Boursier, Zigeuner, lo sterminio dimenticato, Sinnos editrice 1996)
 Per prenotare la visita alla mostra scrivere a comunimappe@gmail.com (ricercatore -accordatore -coordinatore  Pino de March)
L’ingresso alla mostra è gratuito, vi chiediamo solo di lasciare un contributo per contribuire alle spese.
PROMUOVE LA LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ – PLURIVERSITA’- BOLOGNINA ( Pino de March, Gianpiero Lipparini(anpi borgo panigale), Raffaele Petrone, Elisa Duca e Dadalupa)

 MEMORIE ATTIVE DI SHOA E DI ALTRI DIMENTICATI STERMINI NAZIFASCISTI DI GENTI ROMANI’ E DI SOGGETTIVITA’ LGBT, NON SOLO PER RICORDARE MA PER COMPRENDERE IL RIPETERSI STORICO DI SERIALI GENOCIDI, ATTI DI MUTATA OSSESSIONE COADIVUTE DA TECNOLOGIE,  MA CON LIVELLI SEMPRE PIU’ CRESCENTI DI TERRORE, ORRORE, E CRUDELTA’

 MERCOLEDI 24 GENNAIO 2018
ORE 17,30
 Sala Consiliare Falcone e Borsellino 
in via Battindarno 123 – Bologna

QUARTIERE BORGO RENO

 L’offesa del silenzio
ORE 17,30:
FILMATO 

ORE 18: 
STUDIOSI, RICERCATORI E TESTIMONI ROMANì RACONTERANNO DEL LUNGO SILENZIO SUL PORRAJMOS E DEL PERDURARE CONTEMPORANEO DELL’ANTIZIGANISM

GIULIO SORAVIA: IL POPOLO NEGATO
LUCA BRAVI: IL PORRAJMOS
DIMITRIS ARGIROPOLOUS: CONOSCERE E RICONOSCERE UNA MINORANZA A PARTIRE DALLA DISCRIMINAZIONE ESTREMA
PROMUOVONO:

ANPI BORGO RENO

QUARTIERE BORGO RENO

IC1- SCUOLA DOZZA –BARCA – VIA A. DE CAROLIS 23

AMIRS –ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI

COMUNIMAPPE – LIBERTA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA

  
SABATO 27 GENNAIO 2018  
MATTINO

 DALLE 8,30 ALLE 13,30
 MEMORIE ATTIVE DI SHOA E DI PORRAJMOS

ALLA SCUOLA DOZZA -1C1 – VIA A. DE CAROLIS 23 -BARCA

1 EVENTO CON QUATTO CLASSI 
DALLE 8,30 ALLE 11
2 EVENTO CON ALTRE QUATTRO CLASSI 
DALLE 11 ALLA 13,30
 (per ogni evento si ripeteranno gli stessi interventi, nello stesso ordine con cui sono stati qui sotto descritti)
ACCOGLIENZA MUSICALE DEGLI STUDENT@

 SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ 3 BRANI DI MUSICHE  ZIGANE

APERTURA DELLA GIORNATA DA PARTE DELLA DIRIGENTE (PRESIDE) DELL’IC1 –DOZZA E DI UN RAPPRESENTANTE DELL’ANPI BORGO RENO

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO MEMORIE ATTIVE DA PARTE DI PINO DE MARCH DI COMUNIMAPPE 
  
SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ BRANI DI MUSICHE KLEZMER


 TESTIMONIANZE DI UN RAPPRESENTANTE DELLA COMUNITA’ EBRAICA
DADALUPA LETTURA BRANI TRATTI DA L’INFERNO A TRIBLINKA DI VASILIJ GROSSMAN
SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ BRANI DI MUSICHE  ZIGANE 
TESIMONIANZE DI APPARTENENTI E MEDIATORI INTERCULTURALI (ASSOCIAZIONE AMIRS-ASSOCIAZIONE INTERCULTURALE ROM E SINTI) DELLE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTI NELLA NOSTRA CITTA’
 SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ BRANI DI MUSICHE  ZIGANE
ELISA DUCA PEDAGOGISTA LIBERA RICERCATRICE parlerà di memorie del Porrajmos e dell’antiziganismo pensato, praticato, taciuto e dimenticato
SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ BRANI DI MUSICHE DELLA RESISTENZ A
 PRESENTAZIONE MOSTRA FOTOGRAFICA DA PARTE DI RAFFAELE PETRONE – Docente di storia dell’arte IC3-lame che ha curato la parte artistica e grafica e Matteo Vescovi – docente di Italiano e storia dell’IST. AGRARIO SERPIERI che ha curato aspetti storici e le didascalie.

“Mio angelo di cenere”

 MUSICHE E CANZONI  TRATTE DA CONCERTO JENISCHE –PROGETTO MEHR

(MEHR, POETA SVIZZERA APPARTENENTE ALLE COMUNITA’ NOMADI O ‘ZINGARI BIANCHI’ O JENISH SOTTOPOSTI A PRATICHE EUGENETICHE O STERILIZZAZIONI TRA ANNI TRENTA E OTTANTADEL SECOLO SCORSO 

Fabio Turchetti / Daniela Coelli

Lo spettacolo è basato sulle poesie di Mariella Mehr, una poetessa svizzera di origine rom autrice di romanzi, libri di poesie e opere teatrali che ha fatto delle persecuzioni subite dal suo popolo il centro della propria scrittura.   Nello spettacolo che alterna momenti recitati ad altri cantati  Daniela Coelli  recita e canta mentre Fabio Turchetti suona la fisarmonica e la chitarra.
Ci sono generalmente altri due musicisti in scena: Luca Congedo al flauto e Luca Garlaschelli al contrabbasso (ma esiste la versione ridotta in duo o quella ampliata con altri attori/musicisti) 
Un po’ di storia
Mariella Mehr è nata a Zurigo ma ha vissuto a lungo in Toscana. Nel 2007  in occasione della presentazione delle sue poesie al teatro Fraschini  di Pavia Fabio Turchetti è stato chiamato ad accompagnarla sul palco musicando e cantando  alcune  liriche originariamente scritte in tedesco e tradotte in italiano da Anna Ruchat. Le atmosfere che ha scelto per “metter in musica” queste  liriche sono ovviamente  quelle del mondo gitano, dalla rumba flamenca allo swing manouche
A questo  esordio di Pavia  sono seguiti poi alcuni festival tra cui quello della letteratura di Chiasso dove sempre nel 2007  il concerto è stato registrato in diretta dalla radio svizzera. La registrazione è stata  stampata e pubblicata nell’ omonimo cd pubblicato dalla CPC. Con il peggioramento della salute di Mariella la collaborazione si è poi interrotta. Nel 2014 è nata questa nuova versione con un taglio più teatrale dove Daniela Coelli  oltre che  cantare e recitare le liriche di Mariella ha inserito due momenti di prosa tratti dal romanzo “La Bambina”ed alcuni brevi estratti del libro di Isabel Fonseca “Seppellitemi in piedi “. Lo spettacolo è stato portato in giro negli ultimi anni in varie città italiane tra cui Roma, Desio (MI),Lodi,Piacenza, Montebuono(PG),Castelverde, Cremona.
 Mariella Mehr, nata a Zurigo nel dopoguerra, il 27 dicembre 1947, da madre zingara di ceppo Jenische, vittima dell’operazione Kinder der Landstrasse, (bambini di strada)  ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo il centro della propria scrittura, vincendo numerosi premi e la Laurea Honoris Causa nel 1998 dalla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Berna per l’impegno per i diritti delle minoranze e dei gruppi emarginati. Gli Jenisch, una etnia nomade diffusa in particolar modo in Germania e in Svizzera negli anni’40, erano già stati vittime, insieme ad altre etnie nomadi, di una cruenta persecuzione nazista che, in nome della famigerata politica razziale, li aveva prima imprigionati e poi gasificati nei campi di sterminio di mezza Europa.  Già nella primissima infanzia fu strappata alla madre per essere consegnata a famiglie affidatarie, orfanatrofi, istituti psichiatrici, in quanto la rottura totale tra il bambino e il suo universo familiare era ritenuta condizione indispensabile per l’estirpazione del fenomeno zingaro (dal 1926 al 1972 furono 600 i bambini sottratti a forza alle loro famiglie nell’ambito di un programma che doveva plasmarli secondo i modelli della società sedentaria).
E’ da questa esperienza di sradicamento, segregazione e colpevolizzazione che nascono tutte le opere della Mehr, in particolare i romanzi della “trilogia della violenza”, di cui La bambina fa parte, e la raccolta di poesie Notizie dall’esilio, alcune delle quali musicate da Fabio Turchetti nello spettacolo Mio Angelo di Cenere.
Isabel Fonseca vive a Londra. Scrive sul Times, The Nation e  The Wall Street Journal. Ha pubblicato “Seppellitemi in piedi “ nel 1999 dopo una lunga serie di studi presso le comunità rom dell’est Europa
SABATO 27 GENNAIO 2017
SERANOTTE ANFISCISTA, ANTISESSISTA ED ANTIRAZZISTA
AL CENTRO SOCIALE 20 PIETRE VIA MARZABOTTO, 2, BOLOGNA 

DALLE 18ALLE 24
MEMORIE ATTIVE DI DIMENTICATI STERMINI E RESISTENZE DELLE GENTI ROMANI’ E DELLE SOGGETTIVITA’ LGBTI

ORE18
APERTURA DELLA GIORNATA DI UN/A APPRESENTANTE DELLE SEZIONI ANPI D’AREA PONENTE (IN FASE DI CONTATTO)
 
SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’  BRANI DI MUSICHE ROM

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO MEMORIE ATTIVE E DI CONTRADE SOLIDALI ROM,SINTI E GAGI DA PARTE DI PINO DE MARCH DI COMUNIMAPPE

SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’  BRANI DI MUSICHE ROM

BRUNELLA GUIDA CONSILIARA DI QUARTIERE NAVILE, PARTE DEL DIRETTIVO DI COALIZIONE CIVICA, STRENUA DIFENSORA  DEI DIRITTI AD ABITARE LA CITTA’ PER I SINTI DI BOLOGNINA E PER I DIRITTI CULTURALI E SOCIALI DEI ROM  TUTTI PRESENTI NELLA NOSTRA CITTA’
CONCERTO E DANZA ROM                                                                                                                                                                                                     LIONEL RADUCAN -MAESTRO FISARMONICISTA E PRESIDENTE  DELL’AMIRS ED AGHIRAN -MAESTRO  DI DANZA ROM
 

TESTIMONIANZE DA PARTE DI APPARTENENTI E  MEDIATORI INTERCULTURALI (ASSOCIAZIONE AMIRS-ASSOCIAZIONE INTERCULTURALE ROM E SINTI) E DELLE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTI NELLA NOSTRA CITTA’

SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’  BRANI DI MUSICHE ROM

ELISA DUCA PEDAGOGISTA LIBERA RICERCATRICE parlera’ di memorie del porrjmos e dell’antiziganismo pensato, praticato, taciuto e dimenticato

SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’  BRANI DI MUSICHE RESISTENZ A

NARRAZIONI E TESTIMONIANZE DI PERSECUZIONI E STERMINI  DI DIFFERENTI GENERI   LGBT  DEL GRUPPO BABS E DEL LABORATORIO SMASCHIERAMENTI -EX ATLANTIDE OCCUPATO

RENATO BUSARELLOED ALTRE

SALVATORE PANU MUSICISTA E DOCENTE PRESENTERA’ ALCUNI BRANI DI MUSICHE KLEZMER (EBRAICHE)

 LETTURE DI DADA LUPA DI BRANI TRATTI DAL TESTO ‘L’INFERNO DI TRIBLINKA DI VASILIJ GROSSMAN

PRESENTAZIONE MOSTRA FOTOGRAFICA DA PARTE DI RAFFAELE PETRONE – Docente di storia dell’arte IC3-lame che ha curato la parte artistica e grafica e Matteo Vescovi – docente di Italiano e storia dell’IST. AGRARIO SERPIERI che ha curato gli aspetti storici e le didascalie

MATTEO VECOVI E DIMITRIS ARGIROPULOS PRESENTANO SEMINARIO CESP-CENTRO STUDI PER SCUOLA PUBBLICA SU  SCOLARIZZAZIONE ,COEDUCAZIONE E MOBILITA’ SOCIALE  DEI RAGAZZI ROM-SINTI

  
 ORE 20
 ANTIPASTI ZIGANI ED EROTICI come R-esistenza o riaffermazioni di esistenze negate e cancellate

 Giorgio Simbola e il piccolo concerto di musichegipsy e swing
ORE 22
CONCERTO JENISCHE –PROGETTO MEHR
(MEHR, POETA SVIZZERA APPARTENENTE ALLE COMUNITA’ NOMADI O ‘ZINGARI BIANCHI’ O JENISH SOTTOPOSTI A PRATICHE EUGENETICHE O STERILIZZAZIONI TRA ANNI TRENTA E OTTANTA DEL SECOLO
Fabio Turchetti / Daniela Coelli
Mio angelo di cenere”
Lo spettacolo è basato sulle poesie di Mariella Mehr, una poetessa svizzera di origine rom autrice di romanzi, libri di poesie e opere teatrali che ha fatto delle persecuzioni subite dal suo popolo il centro della propria scrittura.   Nello spettacolo che alterna momenti recitati ad altri cantati  Daniela Coelli  recita e canta mentre Fabio Turchetti suona la fisarmonica e la chitarra.
Ci sono generalmente altri due musicisti in scena: Luca Congedo al flauto e Luca Garlaschelli al contrabbasso (ma esiste la versione ridotta in duo o quella ampliata con altri attori/musicisti) 
Un po’ di storia
Mariella Mehr è nata a Zurigo ma ha vissuto a lungo in Toscana. Nel 2007  in occasione della presentazione delle sue poesie al teatro Fraschini  di Pavia Fabio Turchetti è stato chiamato ad accompagnarla sul palco musicando e cantando  alcune  liriche originariamente scritte in tedesco e tradotte in italiano da Anna Ruchat. Le atmosfere che ha scelto per “metter in musica” queste  liriche sono ovviamente  quelle del mondo gitano, dalla rumba flamenca allo swing manouche
A questo  esordio di Pavia  sono seguiti poi alcuni festival tra cui quello della letteratura di Chiasso dove sempre nel 2007  il concerto è stato registrato in diretta dalla radio svizzera. La registrazione è stata  stampata e pubblicata nell’ omonimo cd pubblicato dalla CPC. Con il peggioramento della salute di Mariella la collaborazione si è poi interrotta. Nel 2014 è nata questa nuova versione con un taglio più teatrale dove Daniela Coelli  oltre che  cantare e recitare le liriche di Mariella ha inserito due momenti di prosa tratti dal romanzo “La Bambina”ed alcuni brevi estratti del libro di Isabel Fonseca “Seppellitemi in piedi “. Lo spettacolo è stato portato in giro negli ultimi anni in varie città italiane tra cui Roma, Desio (MI),Lodi,Piacenza, Montebuono(PG),Castelverde, Cremona.
Mariella Mehr, nata a Zurigo nel dopoguerra, il 27 dicembre 1947, da madre zingara di ceppo Jenische, vittima dell’operazione Kinder der Landstrasse, (bambini di strada)  ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo il centro della propria scrittura, vincendo numerosi premi e la Laurea Honoris Causa nel 1998 dalla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Berna per l’impegno per i diritti delle minoranze e dei gruppi emarginati. Gli Jenisch, una etnia nomade diffusa in particolar modo in Germania e in Svizzera negli anni’40, erano già stati vittime, insieme ad altre etnie nomadi, di una cruenta persecuzione nazista che, in nome della famigerata politica razziale, li aveva prima imprigionati e poi gasificati nei campi di sterminio di mezza Europa.  Già nella primissima infanzia fu strappata alla madre per essere consegnata a famiglie affidatarie, orfanatrofi, istituti psichiatrici, in quanto la rottura totale tra il bambino e il suo universo familiare era ritenuta condizione indispensabile per l’estirpazione del fenomeno zingaro (dal 1926 al 1972 furono 600 i bambini sottratti a forza alle loro famiglie nell’ambito di un programma che doveva plasmarli secondo i modelli della società sedentaria).
E’ da questa esperienza di sradicamento, segregazione e colpevolizzazione che nascono tutte le opere della Mehr, in particolare i romanzi della “trilogia della violenza”, di cui La bambina fa parte, e la raccolta di poesie Notizie dall’esilio, alcune delle quali musicate da Fabio Turchetti nello spettacolo Mio Angelo di Cenere.
Isabel Fonseca vive a Londra. Scrive sul Times, The Nation e  The Wall Street Journal. Ha pubblicato “Seppellitemi in piedi “ nel 1999 dopo una lunga serie di studi presso le comunità rom dell’est Europa

periferie e memorie attive di COMUNIMAPPE IN COOPERAZIONEtrasversale con

          CESP-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA – via San Carlo, 42
          IC3 -DOZZA-BARCA (Dirigente Mariolina Rocco e Coordinamento progetto Memorie attive- Docenti  Loredana Magazzeni Giorgio Simbola
          AMIRS – ASSOCIAZIONI MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI (Tomas Fulli – mediatore della comunità urbana Sinta e Milan Jovanovic – mediatore per la comunità urbana Rom)
–  CENTRO SOCIALE 20 PIETRE -VIA MARZABOTTO 2- BOLOGNA(Maurizio Pullici)
– ALCUNE SOGGETTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE SMASCHERAMENTI LEGBT- EX ATLANTIDE SGOMBERATO (RenATO Busarello)
– ERMADRID – CULTURE RESISTENTI E CRITICHE ITALIANE  A MADRID (elisabet)
– TORE PANU -MUSICISTA FISARMONICISTA DI CANTI POPOLARI 
– JOVEL RADUCAN – MUSICISTA E FISARMONICISTA ROMANI’
– Attivista politico culturale Giampiero Lipparini -ANPI BORGO PANIGALE
          DIMITRIS ARGIROPOLUS – DOCENTE DI PEDAGOGIE DELLA MARGINALITA’ PRESSO  UNIVERSITA’ DI PARMA 
CON UNA GRANDE ESPERIENZA DI RICERCA E ATTIVITA’ DI PEDAGOGIA DI STRADA TRA LE COMUNITA’ UNRBANE ROM E SINTE DELLA NOSTRA CITTA’.  HA CONTRIBUITO CON PROPRIE CONOSCENZE E RELAZIONI ALLA REALIZZAZIONE DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE – PERCORSI DI SCOLARIZZAZIONE PER
 ROM E SINTI CHE SI TERRA’ 
IL 03 FEBBRAIO DALLE 9 ALLE 13, AULA MAGNA DELL’IC3 –DOZZA-VIA DE CAROLIS 23.
per iscirizone al seminario di formazione -docenti- nazionale  – informarsi 

su  www.cespbo.it
e  scrivere al Prof. Matteo Vescovi – email: m.vescovi79@gmail.com

 informazioni in rete
 comunimappe.blogspot.com (pino de March,libero ricercatore )
www.cespbo.it (Gianluca Gabrielli, Edoardo Recchi e Matteo Vescovi docenti e coordinatori di seminario )
CONTATTI ED INFORMAZIONI.
comunimappe@gmail.com 
blog: comunimappe.blogspot.com 
Pino de March – accordatore e coordinatore di Comunimappe ringrazia anticipatamente tutte le persone che si sono rese disponibili e spese per realizzare tali eventi di periferie e memorie attive.