Sesta Festa metropolitana di convivialità romsintogagiana

LA LIBERA COMUNE UNIVERSITÀ PLURIVERSITÀ BOLOGNINA IN COOPERAZIONE TRANS-CULTURALE CON
MIRS -MEDIATORƏ INTERCULTURALƏ ROM E SINTƏ
COMMISSIONE DELLE CULTURE DELLA ZONA ORTIVA

auto-organizzano Sesta Festa metropolitana di convivialità romsintogagiana ormai pluriennale.

Una giovane donna Jezebel che la sera ama perdere lo sguardo nel fuoco. Lì trova la sua forza, a volte le sue risposte. È semplice immedesimarsi in una ragazza che vuole essere libera: desidera soprattutto proteggere il suo popolo’ .

[Commento di Betta Delia del libro ‘Prima che chiudiate gli occhi’ di Morena Pedriali Errani-ed.G.Perrone- in universo.it ]

[testo grafico prodotto dall’art-attivista Raffaele Petrone]

SABATO 01 Giugno 2024
ZONA ORTIVA – VIA ERBOSA 17
BOLOGNINA – BO Per noi già Via Rodolfo Bellinati e Patrizia della Santina 17,in memorie di due persone Sinte assassinate dalla A1 Bianca il 23 dicembre 1990.

DALLE ORE 18 ALLE 24
Attorno al fuoco nella convivialità converseremo, ceneremo danzeremo e balleremo insieme (Kethanè,romanes) – tra gente e culture minori solidali Rom, Sinte e Gagè (Locali e migranti) dal tramonto a notte fonda tra le lucciole e sotto la luna e le stelle.
Pino de March,accordatore e ricerc-attivista
L‘evento avrà luogo accanto alla vecchia ‘area sosta’ di via Erbosa 13/4 destinata dal 1991 per iniziativa del Sindaco Imbeni (Giunta di sinistra) del Comune di Bologna, a spazio di ‘protezione ed accoglienza umana e civile’ di quelle persone e famiglie allargate Sinte fatte oggetto di terrorismo e violenza criminale da parte dell’e banda dell’A1 Bianca,ed ospitati là in attesa di una nuova destinazione o collocazione in micro-aree o case popolari.
Questa esperienza d’abitare seppur provvisoria e ghettizzata di Via Erbosa è da considerare a tutti gli effetti tra le prima emergenti forme di comunità urbana sinta della nostra città;

costituitasi in seguito al tragico evento del 23 dicembre 1990, con le ennesime morti ed assassini mirati questa volta di due SintƏ Rodolfo Bellinati e Patrizia della Santina ed il ferimento di altri due durante l’assalto al ‘campo nomadi’ di via Gobetti- Bolognina, eseguiti da una banda nazi-fascista-criminale-poliziesca dell’A1Bianca, che ha provocato in quelli anni nella nostra città metropolitana una scia di sangue e delitti (24 morti e 103 feriti);
oggi queste stragi s”ipotizzano essere la continuazione della stagione neo-fasciste delle ‘stragi di stato’, espressione che indica la complicità dei Servizi Segreti di Stato ‘occulti’ interni (italiani) ed internazionali (statunitensi) con la Mafia e la Massoneria (Loggia P2) eseguita da gruppi armati criminali e neo-fascisti (Ordine Nuovo,Avanguardia Nazionale ed altri) , anni di stragi e di terrore che hanno insanguinato la nostra città e l’Italia, quelli sì a tutti gli effetti ‘anni di piombo’.
La Comunità urbana Sinta di via Erbosa 13/4 che pur sussistendo in uno stato di provvisorietà e ghettizzazione per i suoi abitanti ha potuto godere di minime infrastrutture di servizi urbani e civili – luce,acqua e gas- e di un facilitato collegamento ai servizi scolastici per la maggioranza dei bambini/e e ragazzi/e così pure per gli adulti di collegamenti alle linee urbane d’autobus (linea 11 B,C- Arcoveggio) per esplicitare loro attività lavorative autonome e dipendenti.
Desidereremo ora a 34 anni da quella tragica vicenda di sangue e razzismo che questa pezzo di strada,intendiamo via erbosa’ dal tunnel ferroviario fino alla fine di essa’, che conduce alla ‘nostra’ Zona Ortiva fosse dedicata alle due persone Sinte assassinate, cioè ‘Via Rodolfo Bellinati Patrizia della Santina’, assassinate dalla fredda ferocia criminale dei componenti dell’A1 Bianca.

TRAMA DEGLI EVENTI DELLA FESTA
TRA LE 18 e le 20
QUEST’ANNO SCEGLIEREMO COME PRIMA TEMATICA DELLA SESTA FESTA METROPOLITANA DI CONVIVIALITÀ’ ROMSINTAGAGIANA:
LE MICRO-AREE E LA PETIZIONE POPOLARE REGIONALE IN EMILIANA-ROMAGNA CON LA RACCOLTA DELLE FIRME PER MODIFICARE LA RELATIVA LEGGE REGIONALE
IN VIGORE.
Relaziona Donatella Ascari referente Regionale Emilia Romagna del Movimento ‘kethane’.
Francesca V. esporà alcuni analisi e riflessioni della tesi di laurea magistrale in S.P.S- sviluppo locale e globale – anno accademico 2022-23 – di Paola Giordano: ‘La comunità Sinta e l’abitare:micro-aree, antiziganismo e istituzioni’
Le micro-aree e la relativa petizione popolare regionale al fine di rendere vincolante per sindac3 l’ approvazione in base all’effettivo bisogno delle persone delle comunità romanì (Rom e Sinte) per avviare la progettazione e la costruzione di micro-aree a cui possano trovare una propria ‘degna abitabilità a misura umana e di comunità’ le popolazioni ancora disperse Rom e Sinte, non come ora in base al consenso (o pancia) – di un’opinione pubblica spesso assoggetta al razzismo e all’antiziganismo- per le relative concessioni o licenze urbanistiche.

Estratto tesi sulle micro-aree della dott-ssa Paola Giordano per introdurre informazioni -base per introduzione alla specifica questione culturale e abitativa ‘micro-aree’ delle comunità urbane sinto-rom o dei desiderati ed auspicati eco-villaggi sinto-rom.

( Se qualcuno desidera visionare tesi completa micro-aree di Paola Giordano scriva a comunimappe@gmail.com )

Prospettiva di ricerca di Paola Giordano

Per microarea si intende un’area residenziale costruita su un terreno agricolo attraverso la disposizione di case e servizi essenziali a destinazione abitativa della famiglia allargata.

È la soluzione abitativa ideata dalle famiglie sinte dello spettacolo viaggiante, come risposta privata alle politiche discriminanti di apposizione dei cartelli di divieto di sosta ai nomadi e di costruzione dei campi nomadi.

Tra gli anni Ottanta e Novanta la pratica si diffonde nel Centro-Nord Italia: le famiglie acquistano terreni agricoli o di margine, gli unici accessibili economicamente, vi appongono lì le proprie case mobili e vi abitano con la propria famiglia allargata.

Il problema relativo alle microaree sorge nel 2001, quando il nuovo testo unico sull’edilizia qualifica come interventi di nuova costruzione l’installazione di strutture come roulottes, campers e case mobili che siano usati come abitazioni e non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.

Questo rende illegali tutti gli insediamenti esistenti, essendo costruiti su terreni agricoli e quindi non edificabili.

Contemporaneamente tra il 2001 e il 2005 l’attivismo sinto inizia a dialogare con alcune amministrazioni comunali, al fine di promuovere la costruzione di microaree pubbliche, come alternativa ai campi nomadi. Vengono realizzati dei progetti, a volte con successo, a volte no.

Negli ultimi anni i richiami della comunità internazionale all’Italia per la presenza di campi nomadi in funzione ghettizzante e discriminante hanno portato il Paese ad adoperarsi per il loro smantellamento. Sono state redatte due strategie:

  • Nella prima Strategia nazionale viene inclusa la soluzione della microarea, pubblica e privata, quale forma abitativa adatta allo specifico culturale di una parte della comunità.
  • Nella seconda Strategia nazionale, invece, le microaree scompaiono dall’elenco delle soluzioni abitative proposte e vengono indicate quale soluzione possibile, ma di difficile realizzazione e di incerto successo.

L’unica regione che ha dato attuazione alla prima Strategia nazionale è stata l’Emilia-Romagna, che ha emanato nel 2015 una nuova legge regionale, che contempla le microaree quale soluzione abitativa perseguibile.

Affianco alla legge, però, viene emanata la delibera di Giunta regionale sui requisiti tecnici delle microaree, che attribuisce alla politica abitativa delle microaree carattere facoltativo (cioè è l’amministrazione comunale a decidere quali politiche abitative adottare) e carattere temporaneo (quindi esse devono assolvere la propria funzione fintanto che sussistano delle “esigenze straordinarie” che rendono necessario il ricorso alla microarea, favorendo l’accesso a soluzioni abitative simili a quelle della società maggioritaria, ossia l’appartamento).

Gli ostacoli apposti all’istanza delle microaree possono essere interpretati come una forma di razzismo istituzionale perpetrato da parte delle istituzioni italiane.

In generale, il rapporto tra comunità sintarom e istituzioni fin dalle origini è stato un incontro-scontro: al momento della formazione degli Stati-nazione i sinti e rom risultavano quale elemento di disturbo alla retorica nazionalista su cui si è legittimato il potere degli Stati e questo ha generato trattamenti discriminatori nei loro confronti. Sinti e rom sono vittime di antiziganismo, quel razzismo che attribuisce pregiudizi e stereotipi negativi a chi individua come “zingaro”. E una delle espressioni dell’antiziganismo è il razzismo istituzionale.

La letteratura precedente ha dimostrato il razzismo istituzionale dello Stato italiano in dispositivi politici come i pacchetti sicurezza, le classi scolastiche separate, le schedature etniche, fino alla segregazione razziale nei campi nomadi. Il razzismo istituzionale è dimostrabile anche rispetto agli ostacoli apposti alle microaree.

Quello che è importante della microarea non è tanto il suo aspetto materiale, quanto la possibilità che essa dà di vivere con la famiglia allargata. Queste relazioni si perderebbero con il trasferimento in appartamento.

La volontà di vivere in famiglia allargata deriva da:

  • Ragioni culturali, permette di vivere le proprie usanze e parlare la propria lingua
  • Senso di protezione dalla società esterna, che minaccia la comunità con il proprio odio razzista.

Se il razzismo motiva la vita in microarea, per la comunità è lo stesso razzismo la ragione degli ostacoli apposti alla pratica delle microaree.

Impedire di vivere in microarea, con la prospettiva di essere “buttati in appartamento”, viene interpretato come un attacco alla propria cultura.

Il problema non è il mero appartamento, dato che questo stile di vita viene accettato pacificamente se frutto della volontà di persone sinte, il problema è la coazione. Da una parte c’è il bisogno culturale espresso dalla comunità; dall’altra le istituzioni intendono le microaree solo come uno strumento assimilazionista di transizione verso la casa convenzionale, una dimostrazione di ciò è il carattere temporaneo che la legge dell’Emilia-Romagna prevede.

Tutto ciò all’interno di un contesto che ancora non ha riconosciuto alle persone rom e sinte lo status di minoranza linguistica e che continuamente gli nega soggettività politica, non considerandole soggetti attivi capaci di decidere politicamente per sé.


Seguirà la presentazione del romanzo
storico e culturale ‘Prima che chiudiate gli occhi’, narrazione di comunità e di resistenza, della scrittrice sinta Morena Pedriali Errani uscito lo scorso Ottobre 2023 per Giulio Perrone editore.
È stato scritto da Morena Pedriali Errani, autrice e circense 27enne nata e cresciuta a Ferrara. La scrittrice è già nota al pubblico per essere arrivata in semifinale al Premio Campiello Giovani 2017 e al Premio Chiara Giovani 2018, oltre ad avere presentato alcuni scritti al parlamento europeo di Bruxelles nel 2022 assieme all’associazione rom ‘Phiren Amenca’.
Infatti, l’autrice è un’attivista per le minoranze romanì (Rom e Sinte) e parte del team Comunicazione di ‘Movimento Kethane’.

ORE 19: CENA ANTICIPATA PER BAMBIN3 E GENITOR3
ORE 20 PER TUTTI -TUTTE
CENA CONVIVIALE ONIVORA, VEGETARINA E VEGANA

MenùOnnivoro:

1

 Fusilloni alla romani’

Fusilli conditi con olio bio- extravergine, pomodoro freschi bio, olive taggiasche nere e verdi, basilico o prezzemolo (capperi a richiesta)
2

Salsiccia ai ferri ( produzione artigianale)

3

Insalata mista di stagione ( cipolla di tropea a parte)
4

Macedonia di frutta fresca

5

Tiramisù casalingo alla sinta

6

Un calice di vino o una birra

7

Liquore extra a richiesta

Altri calici vino o lattina birra extra a richiesta

Menù vegetariano o vegano:

1

 Fusilloni alla romani’

Fusilli conditi con olio bio- extravergine, pomodoro freschi bio, olive taggiasche nere e verdi, basilico o prezzemolo(capperi a richiesta)

2

Funghi crema ripieni;

3

Verdure in gratin

4

Zuppetta di ceci;

5

Macedonia di frutta fresca

6

Tiramisù casalingo alla sinta

7

1 calice di vino o 1 birra

Liquore extra a richiesta

Altri calici vino o lattine birra extra a richiesta


(Su prenotazione attraverso e-mail:comunimappe@gmail.com )
prenotiamo per ….. indicando se onivori, vegetariani o vegani seguito da vs numero cell o tel)


TRA LE 21 E LE 22
SCEGLIEREMO COME SECONDA TEMATICA DELLA SESTA FESTA DI CONVIVIALITÀ’ ROMSINTAGAGIANA:
LA RESISTENZA EUROPEA ROM E SINTA ED INNUMEREVOLI EPISODI DI SOLIDARIETÀ NELLE PERSECUZIONI E DEPORTAZIONI
TRA COMUNITà ROMANì ED EBREE.

LETTURE DI PROSA E POESIA

A
Lettura del poema familiare di resistenza di Simonetta Malinverno
B
Lettura di esperienze e vissuti di solidarietà tra genti rom, sinte ed ebree oppresse, perseguitate, deportate ed uccise dell’artista,regista ed attrice di teatro Carlotta Grillini
La Resistenza delle comunità stanziali o nomadi Rom Sinte in Europa è stata prevalentemente esistenziale e comunitaria e non ideologica (comunista, socialista,cristiana, liberale, anarchica ecc) come le altre formazioni partigiane contro la ‘legione nera’ nazi-fascista.
Lettura intrecciate alla prosa di poesie di poeti e poete sulla condizione di vita e sociale delle comunità e delle individualità Rom e Sinte durante gli anni della tirannide nazi-fascista in Europa.
Il testo ‘ROM E SINTI NELLA RESISTENZA EUROPEA DI A. Arlati, ha la caratteristica di documentare nella sua completezza fin’ora frammentaria ed incerta la Resistenza e la solidarietà delle comunità Rom e Sinte, ‘non di rubare i bambini’ come recita il pregiudizio ma piuttosto di saper accogliere nelle proprie comunità assumendosi un grande rischio, bambini e bambine ebree, figli o figlie di perseguitati, deportati, abbandonati o uccisi nei pogrom, rastrellamenti e deportazioni perpetuati dagli eserciti d’occupazione, dalle formazioni speciali delle SS o dalle bande irregolari nazi-fascisti.
I testi che leggeremo sono tratti dal saggio sulla ‘ Rom e Sinti Nella Resistenza Europea’ del glottologo e sinto-romanologo Angelo Arlati, Edizione UPRE-ROMA-Milano 2022.
I testi di poesia tratti dall’atlante poetico romanes di Pino de March – edizione Versitudine 2022.
Musiche del violinista musicista Vladimiro Cantaluppi.

DALLE 22 ALLE 24
S-CONCERTO MUSICALE ROM-SINTO-GAGIANO
MUSICA, BALLO E DANZA ROM-SINTO-GAGIANA
INTERMEZZI DI DANZE ROMANì: ROM E SINTE CON FIGURE GENERATE DALL’ARTISTA ANJA E DAL MAESTRO AGHIRAN DI DANZA E BALLO ROMANì

Musiche del violinista Vladimiro Cantaluppi ed altri musicisti amici-che dei romanì (Rom e Sinti).
L’EUROPA CHE VORREMMO
Nei giorni successivi alla nostra FESTA METROPOLITANA DI COMUNITÀ ROMSINTAGAGIANA l’8 e 9 giugno si voterà per l’Europa che vorremmo inclusiva di culture minori siano esse native, derivate o migranti, desiderate o immaginate,
ed ecologica e sociale con nuove desiderate e proporzionali forme di vivere ed abitare in relazione con gli altri esseri viventi o nature: in forma di eco-socio-villaggi romanì (micro-aree rom o sinte) e città eco-sociali futuriane.

Perché?
Perché non vogliamo nè desideriamo continuare a vivere o sopravvivere nella separatézza e nell’auto-distruzione quotidian
a, in città a ‘misura di portafoglio e speculazione’, assistere ad una decadente metamorfosi delle nostre città: sempre più desertificate,deprivate di vecchi alberi per ‘costituzione art. 9’ e per noi nuovi cittadin@, e nemeno a cementificazione, gentrificazione, con piani e progetti urbanistici ancora tardo-modernisti o ispirati a culture ‘tardo-industriali’ e ‘fossilizzate’, ove la forma del vivere individualista ed antrocentrica prevale su quella comune ed eco-socio a-centrica.
Forme di vita urbane avviate all’estinzione con le altre specie viventi che co-evolvono con noi.
Intendiamo attivare una disobbedienza popolare e civile per raggiungere una pace duratura ed una giustizia umana, sociale e climatica che non può che passare per il disarmo nucleare, la fin di quel perverso e complesso sistema finanziario,industriale, militare e politico genocida ed ecocida e dell’interconnesso e colossale commercio delle armi, delle missioni ‘umanitarie’ nel mondo a tutti gli effetti avamposti militari e neo-coloniali.

APPROFONDIMENTI:
STORIA E MEMORIA DI UNA LUNGA VICINANZA, AMICIZIA, CONVIVIALITÀ E RELAZIONALITÀ TRANS-CULTURALE TRA SINGOLARITÀ E COMUNITÀ ROM, SINTE E GAGE’ IN VIA ERBOSA 17-BOLOGNINA (BO)
La vicinanza tra ‘l’area sosta”e la ‘Zona Ortiva’ ha permesso di tessere buoni rapporti vicinali e solidali espressi con l’assegnazione di orti urbani ad alcuni abitanti Sinti ,fin dall’insediamento di quella comunità terrorizzata e dispersa.

Tra le altre cose è da menzionare le attività di cura,igiene e pulizia dei servizi comuni degli orti per diversi decenni da parte di una abitante (Silvia) del ‘campo sosta’: quali bagni, cucina, sala di gioco, socialità e cultura per i soci ed anche la sala d’amministrazione.
Infine proprio a patire dalla prima decade dl XXI sec. con l’istituzione della ‘commissione delle culture’ degli orti (culture in senso naturali,umane e sociali) attivatasi con il trasferimento in Zona Ortiva della ‘Libera comune università pluriversità bolognina’, ed il sostegno solidale degli esecutivi e delle presidenze di Antonio Varano e Marinella Africano,
è stato possibile proprio in quelli anni intensificare e consolidare non solo i già esistenti rapporti sociali di vicinato ma soprattutto nuovi ed insoliti rapporti inter-culturali.
Relazioni che hanno portato alla creazione di una ‘zona di contatto ed interazione’ cittadina tra le comunità Rom (Aghiran, Livio),le comunità Sinte(T.Fulli) e quelle Gagè (P. de March,M. Cremaschi) la costituzione dell’Associazione MIRS -MEDIATORƏ INTERCULTURALƏ ROM E SINTƏ;

dato che tra i soci fondatori vi erano docent3, attivist3 culturali e sociali di diversa provenienza etnolinguistica Rom, Sinta e Gagè, si sono poste le basi per una riflessione critica sulle modalità ‘tradizionali di indifferenza e di assimilazione culturale’ nelle trasmissioni di culture e saperi sia nella forme della scolarizzazione come nelle altre forme istituzionali e culturali della società del dopo guerra;
vale a dire che i programmi e le didattiche scolastiche non riconoscevano e non riconoscono ancora oggi (2024) sia le culture disperse romanes o la minoranza etno-linguista Rom e Sinte dispersa e tantomeno quella della diaspora ebraica Yddish o sefarfita (non siionista o non israeliana), a differenza invece delle altre minoranze territoriali italiane che proprio per la loro presenza addensata, stabile e territoriale possono godere, non solo di diritti civili e politici ma anche di diritti culturali, con l’istituzione di proprie scuole di ogni ordine e grado, e mi riferisco alle comunità slovena, tedesca, francese, albanese, grecale ecc.);
questo avviene per una interpretazione restrittiva dell’art. 6 della Costituzione Italiana, contestata negli anni ’90 da una Direttiva della Comunità Europea che chiedeva agli Stati membri di rimediare a queste interpretazioni restrittive e limitative delle libertà culturali, e di andare a riconoscere nelle istituzioni scolastiche e culturali pubbliche sia le lingue che le culture delle minoranze disperse e de-territorializzate (senza territorio) romanes ‘zingare’ ed ebree ‘Yddish”.
Questo disconoscimento delle lingue (dialetti romanes: Rom e Sinte) e delle loro culture praticate (romanes: Rom e Sinte) parlate in famiglia e nelle loro comunità è all’origine spesso di ‘rifiuti e passività’ scolastica e si è giunti a formulare per questo disagio culturale diagnosi psicologiche assurde di ‘fobia scolastica’ verso queste marginalizzate e disciriminate nuove generazioni di Rom e Sinte, oppure per gli ‘ebrei della diaspora’ a ricorrere ad iscrizioni in scuole private legalmente riconosciute dallo Stato Italiano e promosse da Fondazioni delle comunità ebree Yddish o sefardite in Italia.
A partire da questi primi nuclei riflessivi trans-culturali abbiamo promosso come ‘Comunimappe- Libera Comune Università pluriversità Bolognina’ in una costante cooperazione culturale con il Cesp-Centro Studi per la Scuola Pubblica – del Sindacato di base -Cobas Scuola, un corso d’aggiornamento (referente del corso Pino de March e coordinatrice Lucia Argentati) per Docenti, ATA(Ausiliar3,Tecnic3 ed Amministrativ3) e student3, a cui hanno fatto seguito la produzione di didattiche alternative e suppletive ove si faccia memoria attiva di quelle culture molecolari e disperse romanes all’interno dei vari corsi di studio primario e secondario;
materiali di ricerca trasformatisi in nuove unità didattiche alternative all’interno delle istituzioni cittadine scolastiche primarie e secondarie da parte dei docenti che abbiamo in-formato, aggiornato ed incontrato sulle culture ed arti romanes.
A partire da queste prime riflessioni abbiamo avviato l’esperimentazione di nuove relazioni attive,educative ed istruttive trans-culturali nelle scuole e nel territorio metropolitano bolognese al fine di valorizzare le storie e le memorie comuni Rom,Sinte e Gagè (non Rom o non Sinte).
Siamo partiti elaborando e producendo una Mostra fotografica itinerante nelle scuole e nelle Università sul Porrajmos o sullo sterminio nazi-fascista dei Rom e Sinti e sulla Resistenza esistenziale dei Rom e Sinti in Europa (Raffaele Petrone,Matteo Vescovi, Rocheggiani)
, e col prendere in considerazione le loro culture orali e le molteplici lingue e dialetti romanes parlanti nelle loro comunità disperse, – prevalenti tra loro: nota è la tesi di laurea del linguista, glottologo e rom-sintologo) A. Arlati sui dialetti Rom e Sinti in Italia, e la sua standardizzazione della lingua romanes;
inoltre nei nostri laboratori ‘transculturali’ nelle scuole bolognesi e nelle nostre attività territoriali sulla ‘memoria attiva del Porrajmos e la Resistenza dei Rom e Sinti’, non abbiamo mancato di sottolineare il ruolo creativo degli artisti e dei musicisti romanì (Rom e Sinti) oltre che la presenza di molte altre loro figure significative in altre arti e mestieri dei romanì in Italia come in Europa;
per ovviare a questa plurisecolare assimilazione e dimenticanza abbiamo prodotto una serie di tavole fotografiche che riprendono le figure dell’intellettualità romanì (Rom,Sinte) del mondo dell’arte,della musica,dello spettacolo, dello sport, della scienza e della tecnica (Francesca V.)
Io – Pino de March – docente di scienze sociali ed umane e co-fondator3 con Marinella Africano e Paolo Bosco ed in seguito M. Cremaschi, Francesca V. ed altri ed altre della ‘Libera Comune Università Pluriversità Bolognina ho curato la ricerca e l’auto-produzione di un’atlante poetico romanes sui poeti e le poete romanì (Rom e Sinte) e l’auto-produzione di una ricerca sulla ‘Trans-letteratura romanes’ o sulla dimenticata letteratura trans-nazionale romanes prodotta da parte di scrittor3 romanì (Rom,Kalè,Manouche ecc), e da cui si sono realizzati materiali o dispense storico-culturale prodotti da P.de March, curate da M. Cremaschi ed editi da Versitudine 2023.
Ne sono seguiti dei simposi transculturali con relativi dialoghi sulla condizione umana e sociale delle comunità Rom e Sinte e in uno di essi, che avvenivano tutti nella vecchia casetta o sotto il tendone della Zona Ortiva, abbiamo realizzato la presentazione del libro ‘Razza di zingaro’ illustrato con tavole pittoriche del premio Nobel Dario Fo, con docent3, ATA (Ausiliar3,Tecnic3 ed Amministrativ3, ortolan3, cittadin3, student3.
Si tratta di un storia dimenticata di un pugile sinto-tedesco Johann Trollmann (detto Rukeli) che in seguito all’affiorare di un’onda razziale nella società tedesca, la Federazione del pugilato filo-nazista decisero con un incontro truccato di scippare il titolo di campione nazionale di pugilato di categoria pesi ‘medi’ (75 kg),sostenendo che uno ‘zingaro’ non poteva rappresentare la Germania nazista alle IX Olimpiade di Amsterdam del 1928; nella sfida asimmetrica finale per il titolo di pesi ‘medi’ (75 kg)con un pugile ariano-nazista di pesi massimi (91 kg), Rukeli sapendo di perdere non per la sue scarse abilità ma per una sproporzione di forza, si presentò sul ring con la faccia dipinta di bianco ‘clown’ ed esordì dicendo: ‘stasera non perderà un bruno-sinto ma un bianco-ariano.
Pochi anni dopo a questo rifiuto razziale e alla sua marginalizzazione ‘Rukeli’ fu deportato ed assassinato in un campo di concentramento, e là sottoposto ad umiliazione e a lavori forzati.

Dall’aprile del 2017 abbiamo dato vita con sapori, balli, musica, pensieri, poesia,danze e balli
all’annuale FESTA METROPOLITANA DI CONVIVIALITÀ ROMSINTAGAGIANA , sotto il tendone verde della Zona Ortiva, ad esclusione del 2020 (per covid 19) e poi del 2022, anno di memoria significativa’ per i Rom e Sinti italiani e non solo, in quanto il 18 luglio del 2022 ricorreva il ‘seicentesimo’ anniversario (1422-2022)
della presenza documentata in città dalle cronache bolognesi ‘La Varignana e la Rampona’ di una nutrita comunità errante ‘egiziana’, che trovò ospitalità delle autorità comunali – a quel tempo del Legato Pontificio,visto che il Senato cittadino era stato sospeso a seguito di un’ennesima rivolta popolare contro l’ingerenza e la supposta supremazia sul popolo del potere temporale ecclesiastico-, conclusosi con l’abbattimento della Rocca Pontificia);

ospitati’ seppur nelle note condizioni di marginalità da sempre loro riservate, nell’area adiacente a Porta Galliera , tra le rovine della Rocca Pontificia;
le cronache narrano anche della nascita in quei giorni di permanenza in città di un/a bambino/a ‘egiziana’ in Campo Grande ora denominata Piazza 8 Agosto.
In quel tardo medioevo europeo e bolognese ‘I Rom e i Sinti’ erano ancora considerati un popolo di erranti (Errones) o di egiziani pellegrini, in quanto le tradizionali fonti religiose li consideravano una tribù dispersa e maledetta d’Israele, e ritenuti erroneamente figli di Cush, della tribù di Cam uno dei figli di Noa, figlio accusato dal padre di averlo deriso nella sua nudità ed ubriachezza, e proprio per questa mancanza di rispetto cacciato di casa e maledetto, lui e tutta la sua stirpe.
Tutto questo secondo interpretazioni mitiche delle genti antiche tratte dalle mappe antropologiche bibliche tenute in grande considerazione in quel tempo, considerati anche per il loro colore bruno genti ‘egiziane’, però riconosciuti solo tardivamente da un linguista e ziganologo (o romanologo) slovacco Samuel Agustini ab Hortis (1729-1792) come popolazioni romanì (Rom e Sinta) provenienti non dall’Egitto ma dall’India del Nord parlanti volgari dialetti ‘pracriti’ di derivazione ‘sanscrita’.
La nascita di quel bambino o bambina romanì (Rom o sinta) a Bologna rappresenta la prima documentata nascita in Europa di queste nuove minoranze europee di ascendenza indiana, seppur ibridati nelle loro lunghe migrazioni.
E proprio in quella mattina del 18.7.2022 con la Vicesindaca del Comune di Bologna Emily Clancy (Coalizione Civica) in presenza dei rappresentanti delle Comunità Rom e Sinte dell’Emilia-Romagna,del Movimento politico e culturale -Rom e Sinto Kethanè (insieme) del Mirs-Mediatori interculturali Rom e Sinti (area metropolitana bolognese) e della Libera Comune Università pluriversità bolognina è stata posta sotto l’arco di Porta Galliera (Porta principale della città ove furono accolti dal legato pontificio in quel lontano tempo) un targa in memoria che evidenzia questa presenza plurisecolare dei romanì (Rom e Sinti) ed anche si segnala in quella targa che quella nascita in Campo Grande rappresenta la primogenitura di una componente ormai plurisecolare, non di nativi, ma italiani ed europei di ascendenza indiana.
Vogliamo ricordare l’impegno dedicato e la generosa cooperazione tecnica e culturale dell’architetta Federica Legnani responsabile del Patrimonio urbanistico del Comune di Bologna, nel seguire e darci tutte le informazioni necessarie per approdare all’autorizzazione della Sovrintendenza alle Belle Arti e del Comune di Bologna per la collocazione della targa-memoria di presenza plurisecolare in città di queste nuove e derivate ‘comunità europee di ascendenza indiana’, Rom e Sinte.

ROMANZO STORICO-CULTURALE DI COMUNITÀ E DI RESISTENZA
‘PRIMA DI APRIRE GLI OCCHI’ DI MORENA PEDRIANI ERRANI

A Presentazione dell’Editore indipendente Giulio Perrone
“Nelle notti di vedetta, illuminate dalla brace di una cicca, Jezebel sa che le risposte possono arrivare solo dal vento. La forza, l’intensità del soffio, sono messaggi degli antenati, indicazioni per comprendere come muoversi tra ingiustizie, violenza, soprusi ma anche gioie quotidiane, sogni, ambizioni. Nel pieno del ventennio fasci sta la ragazza scopre fin da giovane quanto sia difficile sopravvivere: anche se in quei luoghi è nata, anche se lì sono cresciuti i suoi antenati, non mancano abusi e vessazioni; su tutti, quello di chiamare alle armi, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli uomini sinti per farne carne da battaglia. In questo contesto Jezebel decide di unirsi alla lotta partigiana, per difendere la sua gente, nella speranza di far parte di un gruppo che possa mettere fine all’orrore della guerra. La storia di Jezebel è il canto di un popolo inascoltato, tenuto ai margini, su cui mai si volge lo sguardo. Una sola richiesta ci viene fatta dalla ragazza nelle prime pagine, da subito, e per l’ennesima volta, di non voltarci dall’altra parte, di non chiudere nuovamente gli occhi. ”
B
Intervista a Morena Pedriali Errani con l’editor o il curatore Antonio Esposito in Giudittalegge.it

‘Prima che chiudiate gli occhi ‘segna l’esordio, pieno e maturo, di Morena Pedriali Errani nella narrativa. Racconta la storia, ancora troppo misconosciuta, del contributo alla Resistenza italiana e alla lotta per la libertà del popolo sinti. Nello stesso tempo assolve a un compito importante: dare voce al popolo sinti italiano perché possa raccontare direttamente la storia di cui è protagonista.
Quando il testo è arrivato in casa editrice, – chiedo ad Antonio Esposito, editor o curatore per Giulio Perrone Editore, cosa è successo?
A: In realtà il manoscritto di Pedriali Errani era atteso in redazione. Pochi mesi prima mi era capitato di leggere sulla rivista letteraria ‘Narrandom’ un suo racconto dal titolo Alla cenere, in quel testo breve c’erano temi legati alla leggenda, la memoria, il tempo, il rapporto con la famiglia che mi avevano incuriosito e spinto a mettermi in contatto con l’autrice. Quando mi sono presentato e le ho parlato del nostro progetto narrativo Morena mi ha raccontato la storia che stava scrivendo, mi ha inviato delle pagine ed è andata avanti con la stesura. Poi per qualche mese non ci siamo sentiti, fino a quando non si è rifatta viva con il manoscritto definitivo. L’ho letto, insieme abbiamo discusso le possibili modifiche, e poi ho presentato la storia a Giulio, l’editore, che subito si è mostrato entusiasta.
E quando Morena Pedriali Errani è arrivata in casa editrice cosa ha provato e cosa si aspettava?
M: Ho provato subito un senso di accoglienza: è raro, per i temi che il romanzo tratta, che dall’altra parte ci sia disponibilità di ascolto, prima ancora che di confronto. Per me, è stato, quindi, estremamente prezioso trovare questa disponibilità prima nell’editor e poi in tutta la casa editrice. In realtà, non so cosa mi aspettavo, ma so cosa desideravo con tutto il cuore, ossia che la storia di mia nonna e dei partigiani rom e sinti italiani venisse, finalmente, ascoltata. La gridiamo da quasi cent’anni, ma ancora non è riconosciuta (prima ancora che conosciuta). Per me era fondamentale il messaggio, il valore familiare e collettivo, che il romanzo voleva portare e ho, quindi, accettato volentieri le modifiche proposte da Antonio, perché questo messaggio avesse una forma più potente e chiara.
La narrazione è in prima persona, affidata alla protagonista del romanzo, e si muove come un’altalena spinta dal vento avanti e indietro nel tempo, dal ventennio fascista alla Resistenza scattata all’indomani dell’8 settembre 1943. Una voce lirica, poetica e potente. Una dichiarazione d’amore incondizionata da parte di Morena Pedriali Errani alla propria gente, ai loro sacrifici, alle loro tradizioni e valori. Perché se la prima immagine della protagonista che ci accoglie è nel freddo di un nascondiglio partigiano nel 1944, poi si torna indietro al 1936, quando era fanciulla in un campo in fibrillazione nel momento in cui le carovane si preparano a partire sulla scia del destino e di nuove scoperte.
Dove e come nasce, Morena, una prima persona così matura e consapevole, di magistrale tenuta fino alla conclusione del romanzo?
M: La prima bozza del romanzo nasce dalla necessità di attraversare un lutto, la perdita di nonna Fiamma, che è stata per me fonte di ispirazione e figura fondamentale di formazione e crescita. Attraverso il suo esempio ho potuto vedere il mondo con i miei primi occhi, respirarlo così come faceva lei, senza filtri e a testa alta, nonostante tutto. C’è stata la necessità di camminare dentro questo dolore, di elaborarlo, di parlarci. Così sono nate le prime pagine, scrivevo spesso tenendo una sua foto di fianco al quaderno e quando mi fermavo e la guardavo era come se fosse lei a suggerirmi le parole. C’è stato anche il luogo da dove vengo, il circo e le mie origini etniche. La storia delle persecuzioni imbevute nell’oro delle nostre lacrime, nelle risposte che abbiamo dato all’antiziganismo nei secoli. Una cosa che amo e rispetto profondamente del popolo al quale appartengo è l’umanità che è riuscito a conservare nonostante tutto, la cura dell’altro, il ritrovarsi continuo. Il sapere, anche senza parlare, come si vede il mondo comune, la vita. Non credo che sia la mia personale voce ad essere matura, ma tutte le voci che mi hanno portato dove sono ora e quelle degli antenati che mi stanno sulle spalle, le donne e gli uomini sinti che ancora oggi resistono, nonostante tutto. 
Come si comporta l’editor, di fronte a una voce così intima, introspettiva e accorata? Qual è il ruolo di supporto che il suo sguardo esterno può offrire alla scrittura?
A: In casi come questo, compito dell’editor è predisporsi all’ascolto, cercare di comprendere la voce e le intenzioni della storia. Più volte, durante il lavoro sul testo, mi è capitato di dover chiedere supporto a Morena per evitare fraintendimenti o di innescare con i miei interventi qualche sorta di fraintendimento. Ad esempio, tutta la riflessione sulla sezione “Canta vento gelido” è stata accompagnata dallo studio di alcuni testi del filologo Heinrich von Wlislocki, utili a comprendere il senso di certi simboli e aspetti della tradizione orale romanì. In due parole: ascolto e studio hanno permesso che l’editing avvenisse nel pieno rispetto dei temi, della voce e degli obiettivi che Morena si era data.
Canta vento gelido è un racconto che scorre parallelo e intrecciato al racconto principale, e segna un momento poetico e lirico più intenso rispetto al resto della narrazione, che pure fa dell’equilibrio sapiente tra narrazione e liricità una caratteristica del proprio tratto. A quelle pagine, in corsivo nel libro a sottolinearne maggiormente l’intimità, è affidato lo svelamento delle origini di Jezebel. Ma come indicava Antonio sono anche i momenti in cui i simboli, le tradizioni, i racconti e i miti del popolo romanì risaltano con maggiore incisione.
Prima che chiudiate gli occhi, Morena, è anche una dichiarazione d’amore alla tua gente? E se Antonio, come ci raccontava, si è affidato al filologo Heinrich von Wlislocki, tu, Morena, di quale guida hai avuto bisogno per raccontare non solo la vicenda della partigiana Jezebel insieme ai suoi compagni, ma anche a tracciare la storia e le tradizioni del popolo romanì?
M: Non è soltanto un canto d’amore per il mio popolo (sentimento certamente presente in ogni riga che scrivo), è un canto di rabbia e dolore collettivo a cui cerco di dare voce. Ci tengo molto che passino anche questi due sentimenti, non certamente facili, perché vanno validati e percorsi insieme a noi.
Per quanto riguarda le fonti, la principale è stata la mia famiglia. In secondo luogo, le voci dei sinti sopravvissuti all’Olocausto, ho studiato a lungo le loro interviste, mi sono confrontata con i nipoti o i discendenti, volevo che la storia fosse anche loro. A livello storico, mi ha aiutato molto Luca Bravi, storico pratese che da anni lavora insieme a noi al riconoscimento della Memoria rom e sinti e Michele Andreola, guida di Auschwitz.
Quali sono i motivi dell’editor, invece, che hanno spinto a pubblicare questa storia e a essere parte integrante della diffusione di queste voci così incisive e importanti da conoscere per capire che il popolo italiano non è un’identità unica e omogenea, ma per fortuna molto più sfaccettata e molteplice?
A: I motivi della scelta sono tutti nel testo. La narrativa degli ultimi anni tende sempre più al racconto delle storie vere, mette l’accento sul suo valore testimoniale e spesso mette al centro della vicenda romanzesca il singolo, l’io. Il tipo di testimonianza proposta da Pedriali Errani, invece, si sviluppa intorno al noi, attraverso le figure di Jezebel e del vento; dove il vento è metafora del noi, di una comunità che agisce nella Storia facendo leva sul proprio bagaglio culturale e esperienzale. Questo è forse ciò che più ci ha colpito della scrittura di Morena, insieme alla sua capacità di portare in prosa aspetti e simboli che solitamente era abituata a utilizzare per le composizioni poetiche.
All’interno del rapporto tra Jezebel e la comunità romanì, ricco e fecondo di implicazioni, rimandi e suggestioni, che tu, Morena, descrivi con grande ricchezza di dettagli e particolari, creando figure incisive e memorabili, consistente e tenace, ricco di pathos e di emotività è anche il rapporto che lega Jezabel al padre, a ricalcare un concetto importante di eredità, che non è quello patrimoniale ma valoriale ed etico.
Cosa lega e cosa separa Jezebel e il padre?
M: Nel rapporto tra Jezebel e il padre volevo trasporre quello reale tra me e mio padre. È così profondo proprio perché formato dalle difficoltà affrontate insieme. Quando la ferocia dell’antiziganismo copre ogni aspetto della tua vita, tramandare la cultura ai tuoi figli non è solo un atto di resistenza, ma, io penso anche di profondo amore. Mio padre è riuscito a rimanere umano, nonostante tutto e volevo rendergli omaggio a modo mio. 
Se c’è tanto che lega Jezebel e il padre, come la necessità di difendere e tramandare la cultura e la resistenza sinti, a dividerli c’è l’età e con questa un approccio diverso a traumi comuni. Se Nehat si rifugia in una calma follia, che però alla fine si scopre saggezza, e trasforma la rabbia in arte, Jezebel invece ha bisogno di agire e trasforma la rabbia in lotta armata. Allo stesso tempo credo che siano due personaggi che non potrebbero esistere l’uno senza l’altro, non ho pensato a Nehat come a una figura di sfondo o, comunque, solo funzionale a Jezebel, li ho pensati come entrambi protagonisti, in modo diverso. È davvero toccante per me vedere come tante persone che hanno letto il libro, abbiano colto l’intensità di questo legame.
Qual è stato per l’editor il personaggio più facile e quale quello più difficile da gestire in fase di editing?
A: È una storia che non ha personaggi facili, questa. Ce ne sono alcuni che in fase di editing non sono stati toccati: fedeli alle azioni, i gesti e le parole della prima versione. Altri hanno nel tempo trovato un equilibrio e una definizione maggiore di revisione in revisione. Eppure ognuno doveva sottostare alle logiche di una storia che, per temi, si pone al di sopra delle scelte stilistiche e formali dell’autrice. 
Giunti all’ultima domanda, con profonda gratitudine per la generosità e ricchezza delle risposte, torno all’inizio: al bellissimo titolo, tanto quanto la copertina.
Prima che chiudiate gli occhi: a chi la scrittrice si rivolge con il titolo, e a chi l’editor?
A: Potrebbe sembrare retorico ma: l’editor rivolge il titolo a sé stesso e a chi come lui – per pregiudizio o ignoranza – non conosce o non ha mai provato ad approfondire le istanze di un mondo così vicino e ignorato.
M: Con il titolo mi rivolgo proprio ai lettori. È una richiesta e insieme un monito. Ricorda come gli occhi siano stati chiusi fino ad ora ma chiede di non chiuderli più, di tenerli aperti su ogni ingiustizia del presente per evitare che il passato bussi ancora alla porta (e, nel caso di rom e sinti, per scrivere da capo un presente più inclusivo perché questo passato per noi vive ancora oggi). 
Dedica: a te, Marilena, che sei specchio della mia anima e riflesso brillante del mio sentire, perché insieme tenendoci per mano stiamo cercando di dare voce a chi crede di non averla.
C
Presentazione di Bettina Delia del testo ‘Prima che chiudiate gli occhi’ di Morena Pedriali Errani in universoletterario.it

“ll grido silenzioso di una giovane donna
Jezebel è una giovane donna che la sera ama perdere lo sguardo nel fuoco. Lì trova la sua forza, a volte le sue risposte. È semplice immedesimarsi in una ragazza che vuole essere libera: desidera soprattutto proteggere il suo popolo.
Il periodo storico lo conosciamo bene: il ventennio fascista e lo scoppio della seconda Guerra mondiale. Le barbarie dettate dalla sete di conquista cancellano la serenità di chi vorrebbe solo crescere. Il punto di vista è del tutto innovativo: una fetta di società ai margini.
Chiedo aiuto al vento.
Non basta morire: devo raccontare, prima che la morte venga a prendersi tutto,
prima che il plotone esegua l’ordine, prima che voi chiudiate gli occhi.
E li chiuderete, vi prometto che li chiuderete.
Ogni parola è carica di rabbia, di paura, di veleno. Ecco che il lettore è immerso nel mondo colorato e spigoloso dei sinti, un popolo mai ascoltato e tenuto in disparte, spesso disprezzato.
Uno stile potente.
Il romanzo si fa leggere con il fiato sospeso, quasi un singhiozzo dentro la storia. Uomini e donne saltellano da una fune all’altra, guardandosi negli occhi e cercandosi nella paura. La scrittura è raffinata, ricercata e spesso poetica: porta con sé la potenza della rivolta.
1 Il fascismo
In questo periodo difficile i luoghi sicuri come la propria casa vengono messi in discussione. I sinti continuano a raccogliersi intorno al fuoco e a tenerlo vivo con la speranza, la grinta, la rabbia. Respirano insieme all’eterna illusione che quella sia casa, iniziano ad avere paura e nasce in tutti una frattura. “Canta il canto dei suoi antenati” Jezebel, e a volte è senza voce.
Mentre gli uomini sinti sono chiamati a combattere per diventare carne da macello, lei decide di unirsi alla lotta partigiana per dare un contributo. Vuole proteggere se stessa e soprattutto dare nuova forza al grido straziato del suo popolo. È un’eroina senza schemi, in bilico tra il mondo in battaglia e il suo popolo incompreso. Lo sguardo dell’autrice è sincero, lei stessa oggi è attivista e in prima linea per i problemi del suo popolo.
Così è la storia dei piccoli e dei grandi diavoli, molti dei quali non sono diavoli ma umani e camminano tra noi, sulle spalle della nostra diaspora e di questi lunghi secoli.
Così è la storia di come noi sinti alziamo la testa e insieme, tutti, pur nelle fiamme, cantiamo.
2 Spazio alla tenerezza: ripararsi allo scoppiettare del fuoco
È quasi una coccola: trovare il personaggio che porta gioia e disegna con chiarezza un cerchio all’interno del quale seminare e proteggere la tenerezza. Questo cerchio è quasi visibile al lettore.
È l’idea di ragazzini e bambini seduti intorno al fuoco con gli occhi pieni di sogni e voglia di sapere. La curiosità li fa piccoli, hanno tanta voglia di crescere, così tanta che non trova posto in un cerchio fatto di manine che si cercano e aspettano una storia. Il papà di Jezebel è la voce di queste storie e ha coraggio: un personaggio forte che fa innamorare.
Fuori la Guerra ribolle, pronta a scoppiare, e lui scende in campo, la Tenerezza è la sua arma più forte. Ecco, oggi come durante il fascismo, la tenerezza può salvare dalla tristezza del mondo: è bello quando un libro ce lo ricorda.
Questo libro la fa provare sulla pelle: non esiste regalo più bello.
Sono terrorizzata.
So che mio padre vede oltre le cose, ma non voglio entrare in quello che vede. Prometto e basta, sperando sia soltanto una premura inutile, una manciata di parole pronte a sfumare nella notte. “Nulla muore quando è amato”.
3 Conclusioni
La storia di Jezebel, una ragazza che si affida al vento per avere risposte, è anche la storia di tutto il popolo sinti. Il tempo è un’illusione, il contorno è celebre: il punto di vista dell’autrice è unico. Pesca in fondo al pozzo delle sue emozioni, di ciò che per lei è giusto.
Testo elaborato da Pino de March come co-fondatore, ricer-attivista ed accordatore di Comunimappe o della Libera Comune Università pluriversità Bolognina
PER INFO: COMUNIMAPPE.ORG
PER CONTATTI: COMUNIMAPPE@GMAIL.COM
Nella email indicate le vostre desiderate: onivore,vegetariane o vegane o per altre informazioni sulla festa o su altro.

LA CONTRADA SOLIDALE ROM,SINTA E GAGE’ DI VIA ERBOSA ORGANIZZA INCONTRO CON CANDIDATI-E DI CORAGGIOSA

Coraggiosa, ecologista, progressista, femminista: così vogliamo l’Emilia-Romagna, che ha già dimostrato di avere coraggio in altri momenti storici, e oggi deve ritrovarlo per affrontare nuove sfide epocali come l’emergenza climatica e la crescita delle diseguaglianze.

Riconosciamo e tuteliamo le differenze, contrastando le discriminazioni razziste, di genere e per orientamento sessuale. Sosteniamo la buona accoglienza diffusa e rispettosa dei diritti. Cultura e formazione sono prioritarie per costruire comunità inclusive.

LA CONTRADA SOLIDALE ROM,SINTA E GAGE’ DI VIA ERBOSA ORGANIZZA INCONTRO CON CANDIDATI-E DI CORAGGIOSA

SABATO 18 GENNAIO 2020                                          

DALLE 16 ALLE 19

IN ZONA ORTIVA – VIA ERBOSA 17 -BOLOGNINA(per arrivare imboccare via F.lli Cervi una traversa di Arcoveggio,arrivati in fondo si va a dx in via Erbosa, e passato il cavalcavia ferroviario dopo aver costeggiato il campo sosta della comunità urbana Rom-SINTA ci troverete e sarete accolti nella casetta degli orti).

“QUALE FUTURO SOCIO-CULTURALE ED ECONOMICO-SOCIALE PER LE NUOVE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTE NELLA NOSTRA REGIONE EMILIA-ROMAGNA”

Presenta l’iniziativa Pino de March della Libera Comune Università Pluriveristà Bolognina

Relazionano per Emilia-Romagna Coraggiosa i candidati-e:

Donatella Ascari, segretaria e attivista dell’associazione Thèm Romanó Onlus di Reggio Emilia, impegnata a promuovere la cultura romanì e a combattere il razzismo e la discriminazione verso questo popolo“.

JORA MATO, nata a Tirana (Albania) e vive a Bologna da oltre venti anni, ha tre figli. Si occupa di mediazione interculturale in ambito sociale e sanitario. Nel 1998, la sua prima esperienza nell’accoglienza dei profughi kosovari arrivati a Bologna: da allora segue diversi progetti lavorando sull’antidiscriminazione e la garanzia dei diritti. L’anno successivo, insieme a un gruppo di donne straniere, fonda l’associazione AMISS di cui è presidente, che si occupa di mediazione, animazione sociale, progettazione, diritti e antidiscriminazione. Dal 2010 con AMISS, insieme a Piazza Grande e le Cucine Popolari organizza l’evento cittadino “Indovina chi viene a pranzo”. Negli anni lavora per diverse associazioni e cooperative locali come Senlima Soc. Coop. di cui è stata presidente dal 2010 al 2016, e Trama di Terre, di cui è stata responsabile del coordinamento area accoglienza e membro del consiglio direttivo dal 2014 al giugno 2016.“

Sergio Caserta. È stato dirigente d’impresa e di associazioni di categoria, nella Lega delle cooperative nei settori distribuzione, finanza, editoria. Da sempre impegnato nel mondo dell’ambientalismo e dei movimenti in difesa della pace e dei diritti sociali e attivo nella comunicazione politica, ha una lunga storia politica. È stato consigliere provinciale a Bologna. Proveniente dal PCI, non ha aderito al PD e sostiene la difficile causa di una sinistra unita e unitaria.

INTERLOQUISCE: TOMAS FULLI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE -MIRS:MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI

PROMUOVE L’INIZIATIVE COMUNIMAPPE-LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA

ADERISCE MIRS -MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI E I DSC(1,3) DIEM 25-BOLOGNA           

PER CONTATTI:COMUNIMAPPE@GMAIL.COM

PER INFORMAZIONI:

 www.comunimappe.org

www.coraggiosa.it

terza festa zigana alla Bolognina

 LA TERZA FESTA ZIGANA (8 GIUGNO 2019)

La festa è promossa dalla contrada solidale dell’Unione Rom, Sinti e Gagè che nasce da una pluriennale cooperazione culturale e sociale tra Amirs ,ora Mirs-Mediatori interculturali Rom e Sinti, Cesp-Centro studi per la scuola pubblica(area cobas-scuola), Comunimappe-Libera comune università pluriversità bolognina

La festa si dà in primis come momento conviviale per ricreare legami umani, culturali e sociali  tra gli appartenenti alle comunità territoriali romanì (Rom, Sinti ed altri gruppi minori) e i gagè, o i non rom (europei, italiani e migranti)residenti nella nostra città , in secondo come benefit (raccolta fondi)per sostenere le disparate attività comuni quali: laboratori interculturali nelle scuole, memorie di stermini dimenticati –porrajmos e di altre minoranze, conoscenza delle variegate culture romanes, intermediazione e relazione tra giovani,donne ed adulti romanì e con le istituzioni pubbliche e il mondo associativo solidale dei gagè) promosse dalla nuova associazione MIRS(Mediatori interculturali Rom e Sinti)che raccoglie l’esperienza di AMIRS

.Ed in terza istanza per sostenere le attività di ricerc-azione  sugli emergenti paradigmi trans-individuali e trans-educazionali di comunimappe – libera comune università pluriversità bolognina(vedi nostra trama attiva e progettuale in fondo a queste pagine.

DALLE ORE 15                                                                                                                             PARAMICIA: laboratori per bambini-e e ragazzi-e Rom,Sinti e Gagè autogestiti da DADA LUPE – CANTASTORIE

SI PARTE DA LETTURE DI RACCONTI E FAVOLE ROMANES E POI IN PICCOLI GRUPPI, PARTENDO DA QUESTE TRACCE SE NE RINVENTANO DI NUOVE. E SI PROSEGUE CON DEI GIOCHI.                                                 

PARAMICIE ROMANES: Sono l’insieme di storie e di narrazioni, racconti affabulanti di vita vissuta dal clan ( o famiglia allargata uniti da vincoli di parentela,solidarietà e mestiere), di sfide, di viaggi, d’amore, di natura,di animali, di fortuna e di sfortuna e di resilienza ecc., con contenuti ed espliciti intenti di generare coraggio, non come semplice non paura, ma come pervicace non sottomissione, raccontati dagli anziani ai bambin-i-e e ragazz-i-e romanì, per rafforzare i valori fondanti ed importanti della loro comunità. Forme d’educazione mitica ed emozionale. Per infondere autostima nell’affrontare la vita, che non è sempre così facile e liscia per un romanì, soprattutto al fine di accrescerla là ove quotidianamente viene demolita dall’ostilità e dalle difficoltà che incontra nell’inserirsi in una società dei gagia che nonostante le dichiarazioni d’inclusione resta fredda, indifferente o diffidente. Ora nelle comunità aperte urbane si sperimenta e si reinventa una romanipè ,cioè una capacità di trasformazione dei fondamentali romanì (mantenimento dei vincoli di solidarietà ma anche trasformazione di alcuni aspetti tradizionalisti e patriarcali -già in atto in molte famiglie urbanizzate che si manifesta apertamente (non più come “fughina”) ma come libertà di scelta dei giovani e delle donne di affermazione di una autonoma vita dentro e fuori la propria comunità nativa ).

DALLE 18 ALLE 22

ALLA SALA INTERNA DELLA CASETTA AGLI ORTI: MOSTRA SUL PORRAJMOS O STERMINIO DIMENTICATO DEI ROMANI’ (Rom, Sinti ed altri gruppi minori) DALLE 18 ALLE 20

TOMAS FULLI PER MIRS: APERTURA FESTA

BREVE  RACCONTO DELLE ATTIVITA’ INTERCULTURALI NELLE SCUOLE E NELLA CITTA’ CONTRO STIGMI E PREGIUDIZI ANTIZIGANI E DI MEMORIA ATTIVA SVOLTE IN COOPERAZIONE CON  LA CONTRADA SOLIDALE DELL’UNIONE ROM, SINTI E GAGE’

RAFFAELE PETRONE E MATTEO VESCOVI DEL CESP:BREVE STORIA SULLA RICERCA DELLE FONTI PER RENDERE LA MOSTRA DOCUMENTO STORICO-CULTURALE FOTOGRAFICO SUL PORRAJMOS

PINO DE MARCH DI COMUNIMAPPE: 16 MAGGIO 1944: RIVOLTA DEI ROMANI’ AD AUSCHWITZ

ALLE ORE 20: Presentazione di Fabio Bassetti                                       DEL FILM: LIBERTE’                                                   Segue  quella del portavoce del GRUPPO MUSICALE DJANGO GYPSY JAZZ

DALLE ORE 20:                                            MUSICA E CENA ZIGANA (ONNIVORA, VEGETARIANA E VEGANA)

DALLE 22 ALLE 24: AGHIRAN CON MAESTRIA ANIMA DANZE E BALLI ZIGANI               

“LIBERTE’”, Film sulla libertà di Tony Gatlif

Gli zingari durante la seconda guerra mondiale

(in Romani e in francese, + sottotitoli in francese) Il film, della durata di 1 ora e 45 minuti,

camp montreuil.jpg

2016 – dopo molti anni si è deciso di costruire un monumento alla memoria dei caduti Rom e Sinti   a Montreuil – Bellay (F)

Una scheda sintetica del film “Liberté” di Tony Gatlif che riflette il destino degli zingari in Francia durante la seconda guerra mondiale.

PREMESSA:

Per via di una ricognizione topografica per la costruzione di un asse stradale ad ampia circolazione, si scopre in un vasto campo erboso, delle basi di cemento volte a sostenere dei grandi capannoni, e una specie di cella semi-interrata con delle feritoie orizzontali ad altezza del suolo, non volte alla difesa e troppo sottili per passarci. Fortunatamente, prima dell’inizio dei lavori della strada che avrebbe definitivamente sepolto questo reperto, si diffondono le voci e qualcuno si ricorda ancora della previa esistenza di un grande campo di concentramento per Rom e Sinti ed altri gruppo romanì durante la seconda guerra mondiale, tenuto dalle zelanti autorità francesi anti-zigane e fasciste del governo di Vichy, governo collaborazionista con l’occupante nazi hitleriano. Oltre alla sede in cemento dove poggiavano i capannoni in legno, si scopre che la “trappola” semi-interrata serviva a racchiudere i bambini e le bambine più piccoli, per fare in modo che gli adulti non avessero più voglia di tentare le evasioni.

Viene rapidamente avvertito Tony Gatlif che assieme ad altri illustri umanisti francesi, organizzano in gran pompa magna una conferenza stampa e poi una cerimonia per evitare che venga cancellato questo scomodo reperto della recente storia xenofoba francese, riuscendo a far deviare il percorso originario della strada in costruzione..

Il 29 ottobre 2016, il Presidente della Repubblica, François Hollande, ha inaugurato un memoriale in onore degli Zingari internato nel campo di concentramento di Montreuil-Bellay, nel Maine-et-Loire, durante la seconda guerra mondiale. 

IL FILM:
Il regista, Tony Gatlif, si è ispirato alla storia di Toloche, uno zingaro internato in questo campo di Montreuil-Bellay, per renderlo il personaggio principale del suo film “Liberté” nel 2010. Il film evoca anche il ruolo dei Giusti e della Resistenza come Yvette Lundy la cui lotta partigiana ha ispirato il personagio. dell’impiegata del piccolo comune ed insegnante nel film.

Il riassunto del film
Nel 1943, Theodore, veterinario e sindaco di un micro villaggio nella zona occupata, raccolse un orfano P’tit Claude, arrivato assieme ad una famiglia di zingari che ciclicamente passa annualmente a vendere i suoi servizi al villaggio. Il sindaco e l’impiegata Miss Lundi, umanista e repubblicana, convincono inizialmente gli zingari a fermarsi sul terreno di questo villaggio, per via della repressione delle leggi francesi che non permettono più l’esistenza di ambulanti sulle strade e nelle campagne. Con la buona accoglienza dimostrata, i due impiegati comunali convincono anche gli adulti a mandare i loro figli a scuola. Con loro, si unisce anche Taloche, un quarantenne di Boemia con l’anima di un bambino

Taloche rappresenta “lo spirito libero dei viandanti” che appartengono in modo profondamente esistenziale alla terra e agli elementi che attraversano nei viaggi. A differenza della cultura cartesiana occidentale che si ostina a pensare ad una terra che gli “appartiene”…e che ha il diritto anche di rovinare.


Purtroppo la repressione di Vichy continua ad intensificarsi contro gli Zingari che un giorno decidono di riprendere comunque la loro strada di sempre, pur sapendo i rischi che corrono.

Questo film, a differenza di altri film di Tony Gatlif, non fu distribuito nelle sale italiane

Buona visione

Fabien Bassetti per gli amici gadgi

Fabinath Sapera per gli amici zingari rajasthani

https://www.pedagogie.ac-nantes.fr/medias/photo/sigot-j-noms-d-internes-dans-le-monument-2-_1478420932718-jpg


473 nomi di zingari internati sono incisi sul memoriale, incluso quello di Toloche. 
Foto di Jacques Sigot.
).

MEMORIE DI STERMINI E RIVOLTE ZIGANE (OGGI ROMANI’) DIMENTICATE

Era il 16 aprile 2015 e per la prima volta in Italia e a Bologna con una partecipata manifestazione nazionale dei Rom e dei Sinti si ricordava : il 16 maggio 1944 – giornata in memoria della rivolta dei Rom e Sinti nel lager di Birkenau – Auschwitz contro i nazisti che li detenevano come schiavi-prigionieri.

Tra gli invitati la Presidente della Camera Laura Boldrini, il giornalista Gad Lerner , gli artisti Moni Ovadia e Alessandro Bergonzoni, l’attore Ivano Marescotti. Presenti anche i senatori Sergio lo Giudice e il senatore Luigi Manconi (del PD),Presidente quest’ultimo della Commissione straordinaria per i diritti umani. Sergio del Giudice invece, senatore e presidente dell’ARCI-GAY e attivista per i diritti delle persone LGBT.

Quel giorno un folto corteo di Rom, Sinti e Gagè è partito da via Gobetti del Quartiere Navile, luogo dell’eccidio dei due Sinti (la notte del 1990- Rodolfo Bellinati e Patrizia della Santina, di 30 e e 34 anni, vennero trucidati, cono loro ferite gravemente una bimba sinta di 6 anni e una rom slava)da parte di nazi-poliziotti (i fratelli Savi) della A1 Bianca (la band dell’A-Uno bianca seminò una lunga scia di sangue e crimini tra il 1987 e il 1994, terrorizzando Bologna, la Romagna e le Marche, lasciando dietro di sé 24 morti ed oltre un centinaio di feriti); la meta di quel lungo corteo fu Piazza XX settembre.

Ed in quel giorno e in quella piazza (per la nostra città piazza della laicità, per via di quel XX settembre 1870, data che ricorda la breccia sulle mura di Porta Pia, la sconfitta dei soldati pontifici, la presa di Roma e la fine del potere temporale della Chiesa),il Presidente Davide Casadio della “Federazione nazionale Rom e Sinti insieme”, a sorpresa propose agli amministratori della città di “far diventare Bologna la capitale dei Rom e dei Sinti                                         (perché proprio a Bologna si documenta per la prima volta,fin dal 1422, la presenza di genti nomadi in Italia accampati alla Montagnola, presentati quelle genti  sconosciuti alle cronache del tempo come un gruppo di origine egiziana), ed inoltre  di costruire un museo della cultura Rom e Sinti,per far conoscere la cultura  e la storia delle nostre comunità,( ormai da  secoli italo-europee, sicuramente i più europeizzati tra gli europei per quel loro lungo viaggiare tra molte città e villaggi europei).

Casadio poi aggiunge che “anche noi abbiamo una cultura  ed essa assieme alle altre aiuteranno a sconfiggere la paura”.

Gli scopi della manifestazione erano quelli di sensibilizzare la città sul tema delle minoranze dimenticate e non riconosciute al pari di altre minoranze presenti in Italia (slovena, tedesca, francese ecc.),perché a dire delle maggioranze parlamentari succedute nel tempo, trattasi di minoranze prive di territorio, per via del loro prolungato nomadismo, ma soprattutto per una interpretazione restrittiva costituzionale, che ne impedirebbe riconoscimento e tutela istituzionale, che consisterebbe nell’istituzione di centri di cultura per promuovere e tutelare la cultura e la lingua romanes (trattasi di v1arianti linguistiche neo-indiane arricchite di lessici europei)nei luoghi di maggiore densità abitativa e residenziale(solo gruppi politici della sinistra parlamentare -sinistra italiana, rifondazione comunista ne sostengono questo riconoscimento non solo di generici diritto civili e sociali ma anche culturali ); seppur da decenni territorializzate nella nostra città, come in altre, vivono come invisibili e confinati o in campi sosta o in case popolari delle periferie.

Non mancarono in quel memorabile 16 maggio 2105 la solidarietà attiva dei centri sociali della città (TPO,LABAS,XM24,VAG61), di Coalizione Civica,  Sel- Sinistra ecologia e libertà(la sinistra unita),  dei sindacati di base (cobas o comitatidi base), ma anche della Cgil congiunta con Cisl ed Uil; per il portavoce di Sel e dei centri sociali: “la discesa  in piazza va considerata come affermazione dei diritti all’esistenza di queste minoranze e per protestare contro l’ondata di odio indiscriminato che li riguarda, per ricordare le vittime della banda bolognese della “Uno Bianca” e per celebrare la rivolta degli internati Sinti e Rom nei campi nazisti.” Altre forze democratiche – istituzionali del campo progressista  hanno aderito e partecipato alla manifestazione, il Sindaco Merola ha giustificato la sua  non presenza per impegni istituzionali. Merola anticipatamente in un’intervista dichiara:”ci sono troppe chiacchiere infondate messe in giro in modo strumentale; non viene dato nessun regalo a queste persone. Sento parlare di 30 euro al giorno o corbellerie simili. Quello che bisogna evitare è di fare di ogni erba un fascio e di additare i “nomadi” come etnie che per forza ci fanno del male, è una cosa a cui bisogna stare molto attenti.”

Non mancarono in quel memorabile giorno anche indegne provocazione di  Bologna sociale- Forza  Nuova (neo-fascisti ), sostenuti da Fratelli d’Italia, Forza  Italia e Lega;  tra loro ci furono chi contro-manifestò (Forza Italia e Fratelli d’Italia), ma  tutti chiesero il divieto di corteo contro ‘il degrado”;  quello che è più grave è la disumanità di  questa ignobile espressione d’accomunare i Rom e Sinti ad “esseri degradati o causa di degrado delle città’.(solo i nazisti nel corso della storia europea considerarono gli ebrei e la loro cultura  come degenerata; le due figure  “degenerata e degradata”  con cui si rappresentano le due comunità, ieri quella ebrea ed oggi quella rom-sinta , non si allontana di molto l’una dall’altra.  La posizione del M5 è stata a dir poco complice, lasciando trapelare che anche loro non erano favorevoli al corteo, però … cercando un escamotage ‘civile o lavandosi le mani” attraverso le ambigue parole di Bugani: i colleghi della politica  locale che intendono opporsi al corteo dovrebbero “sfruttare i luoghi istituzionali per dare forza alle proprie idee  e non scendere alla bassezza delle contro-manifestazioni”. (come se impedire un corteo di una minoranza fosse da considerare un’idea  da sostenere(come l’altra ‘idea’ cioè il fascismo) e non un crimine contro i diritti costituzionalmente riconosciuti a qualunque persona o minoranza, per di più resa invisibile, marginalizzata da secolari pregiudizi, storici stermini e perduranti discriminazioni).

Manifestazione 16 Maggio (Memoria Dimenticata 1944 – “rivolta dei gitani”) Sinti e Rom in Europa in Italia

(Memoria Dimenticata 1944 – “rivolta dei gitani”)  Sinti e Rom in Europa in Italia.
La manifestazione del 16 maggio a Bologna  ricorda  e si ribella (All’odio e al razzismo).
Il 16 maggio del 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz andava in scena la dimenticata “rivolta dei gitani”. Ogni anno si ricordano le atrocità del nazifascismo, ma in pochi ricordano quei 500.000 tra Sinti e Rom massacrati dal Terzo Reich.    (Memoria Dimenticata –  “rivolta dei gitani”)

1-«Non vi daremo i nostri piccoli, perché li facciate uscire dai vostri camini. I vostri medici ne hanno già straziati tanti, sperimentando la loro scienza mostruosa su di loro. Le loro urla salivano fino al cielo, più in alto ancora del fumo denso che usciva dai crematori, più in alto ancora delle nostre preghiere.

 2 -Non lasceremo alle vostre mani rapaci, ai vostri cuori tenebrosi, al vostro odio disumano la bellezza delle nostre vite, la santità dell’amore che unisce le nostre famiglie in un popolo povero, ma fiero».  formata da nugoli di bambini pelle e ossa, donne e capifamiglia scalzi – ove si trovava la più potente e organizzata macchina di oppressione morte di tutti i tempi.

3- Le mamme stringevano al petto i bimbi più piccoli, mentre combattevano; i ragazzini difendevano lo zigene-lager finché il sangue non li copriva, rendendoli simili agli spiriti della vendetta delle leggende; braccia scure brandivano armi rudimentali in un impeto instancabile, finché le SS si ritirarono, esterrefatte davanti a quell’eroismo, a quel coraggio sovrumano che affrontava le pallottole e le baionette con la carne nuda.

Era il 16 maggio 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz quando le SS decisero di farla finita con il campo adibito alle famiglie zingare. Uno sterminio patito da Sinti e Rom, che in molti preferiscono dimenticare, o meglio far finta che non sia mai avvenuto. Quel giorno le SS ricevettero l’ordine di smantellare il campo, ovvero di eliminare tutti gli internati. Nessuno si sarebbe mai aspettato di assistere a una rivolta dei gitani reclusi che, quel 16 maggio, uscirono dalle loro baracche in oltre quattromila, decisi però a non farsi massacrare senza combattere. In teoria dovevano uscire e seguire i nazisti fino alle camere a gas, ma quel giorno decisero di ribellarsi raccogliendo pietre e spranghe e lanciandosi contro le SS. I nazisti poi gliela fecero pagare riducendo alla fame il campo e uccidendo ben 2897 Sinti e  Rom , pochi mesi dopo nella stessa notte, il 2 agosto dello stesso anno. E’ questa la triste storia dei massacri commessi dai nazisti ai danni anche di non ebrei, dimenticati per decenni e solo negli ultimi anni riscoperti anche grazie al lavoro di storici e minoranze etniche. Secondo le ultime ricostruzioni si presume con un margine minimo d’incertezza che i nazisti abbiano trucidato qualcosa come 500.000 tra Rom, Sinti e Manush, ed è opportuno ricordare qui come durante il processo di Norimberga i superstiti (romanì )non siano nemmeno stati ammessi come parte civile.

 Tutti Sinti e Rom  e altri gruppi minori, in numero di

4.000 Rom internati nello zigeuner-lager di Auschwitz decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Di fronte a un’umanità ridotta in condizioni pietose – formata da nugoli di bambini pelle e ossa, donne e capifamiglia scalzi – si trovava la più potente e organizzata macchina di oppressione morte di tutti i tempi. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo di fronte ai carnefici in divisa; anche le manine ossute dei bimbi e delle donne raccolsero pietre, mattoni, spranghe, rudimentali lame e tutti insieme i Sinti e Rom di Auschwitz dissero: «No!».
«Non vi daremo i nostri piccoli, perché li facciate uscire dai vostri camini. I vostri medici ne hanno già straziati tanti, sperimentando la loro scienza mostruosa su di loro. Le loro urla salivano fino al cielo, più in alto ancora del fumo denso che usciva dai crematori, più in alto ancora delle nostre preghiere. Non annienterete le nostre famiglie, cui avete già tolto i doni preziosi della libertà e della dignità. Non lasceremo alle vostre mani rapaci, ai vostri cuori tenebrosi, al vostro odio disumano la bellezza delle nostre vite, la santità dell’amore che unisce le nostre famiglie in un popolo povero, ma fiero».
Le mamme stringevano al petto i bimbi più piccoli, mentre combattevano; i ragazzini difendevano lo zigeuner-lager finché il sangue non li copriva, rendendoli simili agli spiriti della vendetta delle leggende; braccia scure brandivano armi rudimentali in un impeto instancabile, finché le SS si ritirarono, esterrefatte davanti a quell’eroismo, a quel coraggio sovrumano che affrontava le pallottole e le baionette con la carne nuda. Le SS si ritirarono, portando con sé molti cadaveri tedeschi. Solo il 2 agosto 1944 i nazisti – dopo aver ridotto in fin di vita la popolazione Sinti e  Rom prigioniera della «fabbrica della morte», limitando al minimo il suo sostentamento alimentare – riuscirono a liquidare lo zigeuner-lager. 2.897 eroi Rom furono assassinati in una sola notte nelle camere a gas di Birkenau.
Davide Casadio Presidente Federazione Rom e sinti insieme in Italia

In terza istanza la ricerc-azione  di comunimappe –libera comune università pluriversità bolognina sui mutati paradigmi educativi e relazionali quali: trans-educazioni, educazione diffusa ed incidentale e  sulle articolazioni culturali e sociali di tali paradigmi:

  1. trans-individuale come approccio epistemologico-filosofico elaborato dal filosofo Simondon che considera ogni essere umano come una trama complessa e non scindibile tra individuale,culturale,sociale, naturale e macchinico. Significa anche rimettere in discussione sia l’individualismo proprietario capitalista che il collettivismo proprietario statalista, e ripensare ad una forma di economia e di socialità di un Comune agire tran-individuale che non può prescindere da una visione olistica  (una forma comunalista o municipalista (M.Bookchin)di ecologia sociale  che trami per sostenere la natura,una società dei liberi e degli uguali, la cultura con le sue molteplici espressioni e l’eco-nomia come auto-gestione politica ed economica dei diversi contesti intrecciati tra tra loro. Gli stessi padri costituenti americani mettevano in guardia sulle diseguaglianze che rappresentano grande un grande pericolo per la democrazia.
  2.  trans-cultura le che riguarda le relazioni in divenire  tra le variegate culture presenti nei territori (interazioni tra differenti specie umane native in Africa come in Asia ed Europa da almeno 300.000 anni per migrazioni di persone o per narrazioni (o passaparola)hanno permesso all’homo sapiens di generare un universo simbolico comune che riguarda tutti gli umani sulla terra seppur declinato in molteplici forme linguistiche culturali);                    a cui s’accompagna il contrasto educativo agli stigmi,pregiudizi, rom-fobie, trans-omo-fobie, xeno-fobie  ecc.)nelle istituzioni educative e nella società.
  3.  trans-umano o neo-umano consiste nelle relazioni tra umani, ambienti naturali ed artificiali e nuove tecnologie ;      nuovi ambient tecno-culturali e sociali non sempre appaganti ed agiati, ingenerano disagi esistenziali e sociali tra le nuove generazioni, categorizzati nelle nostre scuole come BES – o persone che abbisognano di ulteriori – Bisogni educativi speciali; disagi che nascono da una pluralità di fattori: processi migratori, marginalizzazioni economiche e sociali delle famiglie, relazione alterate per esposizioni eccessive al digitale o ai social (“cervello aumentato e umano diminuito”, così il filosofo – psicoanalista Benasayag descrive tale condizione esistenziale );non vanno trascurate come cause di malessere il prevalere nelle scuole negli ultimi decenni d’approccio riduttivo (semplificato paragonabile ad un puro addestramento al fare attraverso didattiche modulari delle competenze), funzionale e competizionale (che come centralità competizione e competenze)                                              sull’apprendimento cooperativo volto ad una visione complessa del ricercare,conoscere e vivere, con metodologie interdisciplinari e olistiche delle conoscenze miranti ad uno sviluppo umano completo; solo nuovi ambient educativi ove si sviluppano una cooperazione educativa circolare e non frontale,  esperienze di ricerca e curiosità , attività singolari e condivise, pensieri critici, divergenti e creativi, educazioni risonanti all’affettività possono generare persone esperte, affettive e solidali con una notevole autonomia e capacità di relazionarsi agli altri, ed aspirare da trans-individui trans-educati alla realizzazione d’attività umane che ingenerano progresso comune,culturale,naturale. individuale e sociale, cura dei mondi di vita e delle dimensioni esistenziali.
  4.   – trans-femminismo come vissuti di lotta e di vita per l’affermazione  e la comprensione consapevole dei nuovi paradigmi relazionali di genere e di orientamento ad un’aperta sessualità e a relazioni affettive complesse; per contrastare l’ideologia conservatrice – no gender – che genera sospetti  e menzogne tra gli educatori parentali, con accuse menzognere di manipolazione delle nuove generazioni da parte di una “inesistente teoria gender”che li spingerebbe alla depravazione dei generi e della sessualità “naturale”;     il malinteso ‘gender’ trattasi  invece di un’espressione che raggruppa gli studi di genere, studi che analizzano criticamente le oppressioni-repressioni che una visione etero-normativa  per secoli ha imposto  “con la forza coercitiva di ordine e legge ” nel nome dei padri”una spietata violenza macista e sessista” alla società, in primis alle donne e agli altri comparati mondi subalterni(“femminei”)di vita affettiva e sessuale (quello che oggi emerge in libertà come lgbtqi); il “no gender” forme queste, sì, ideologiche ed imperative di relazioni di genere ed affettive compresse in una dimensione riduttiva biologista e binaria di – maschile e femminile; secoli di negazione di un’assenza -sofferta o di un mondo sommerso che oggi si rivela nella sua libertà di viva ed autonoma espressione (di forme di vita e di vita )come una costellazione di pluralità maschili(omo), femminili(lesbo) ma anche di fluidità d’orientamento affettivo e sessuale(lgbtqi). Dall’ultimo nostro convivio sulle trans-educazioni emerge che a contrastare un’educazione aperta nelle scuole di educazione alla sessualità e all’affettività compresa nella sua pluralità divergente, i “i tradizionalisti no gender” per fare leva contro queste nuove educazioni  alla conoscenza e ad un’affettività e sessualità consapevole non mobilitano solo le fasce tradizionaliste dei genitori ed educatori, ma si avvalgono anche di un ‘complice silenzio”, di chi concepisce la sessualità in termini puramente d’emancipazione sessuale binaria economica e giuridica, e non come processo di liberazione dal patriarcato e dal sessismo eterosessuale ben denunciato-praticato-espresso dai movimenti femministi o da altre filosofie o politiche critiche del binarismo sessuale ( l’unico binarismo concepibile è quello informatico). Per questo è importante agire sulle aree adulte progressiste per sottrarli alla passiva complicità con i  negazionisti-tradizionalisti che negano,occultano e mistificano l’esistenza di singolari e plurime  forme di vita con cui s’esprime la sessualità e l’affettività umana.
  5.  Trans-ecologie intendendo con essa le varie ecologie che non possono riguardare solo gli aspetti della sostenibilità seppur importante di fronte ai nuovi cambiamenti climatici,ma anche le altre ecologie umane,culturali , sociali e mentali (vari mondi di vita in cui siamo immersi e che determinano il nostro comune ben-essere trans-individuale).
  6.  Le relazioni umane  in questa nostra visione trans-individuale si danno come  non violente,empatiche e critiche non solo contro riproposti autoritarismi, sessismi, razzismi, classismi e militarismi, ma anche  contro residuali istituzioni totali e pratiche coatte biologiche-psichiatriche (pubbliche e private)e loro  strumentazioni coatte quali il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) che sono vere e proprie forme di tortura e di pratica distruttiva verso le persone che ne subiscono l’atto o gli atti.
  7. Nostra pratica utopica e concreta consiste nel rilanciare la  cooperazione amicale culturale, educativa, politica, sociale,economica ecc. come attività costituente del Comune e delle relazioni aperte ed sintonia con i molteplici mondi di vita per contrastare la frammentazione sociale e culturale, il diffondersi della competizione e dell’inimicizia, dell’odio contro le persone e le comunità di prossimità o di lontananza,che non sono altro  che arcaiche modalità violente, narcisiste, predatorie del  Comune esistenziale e sociale BEN-ESSERE .

Pino de March ricercatore ed accordatore delle attività della comune ricerc-azione e cooperazione politica e culturale di comunimappe

INFO:

     www.comunimappe.org

     comunimappe@gmail.com

2 FESTA ZIGANA DI PRIMAVERA: E SARA’ RIVOLTA E DANZA DI CORPI NELLA NOTTE E NELLA NEBBIA

‘Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo (i romanì) fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente’

 SEGUE CENA PER TUTT@ VEDI SOTTO MENU’ 
MENU INTRIGANTE GAGIO-ZIGANESCO

PRIMI
COUS COUS ALLE VERDURE  (VEG-ETARIANO)
GNOCCHI SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
RISO AL TASTASAL SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
PASTA CON VERDURA (VEG-ETARIANO)

SECONDI           
 SALSICCIA  GRIGLIATA -SECONDO TRADIZIONE ROM (NO VEG)
SPEZZATINO DI SEITAN ACCOMPAGNATO CON PISELLI SGRANATI E POMODORINI MARINATI (VEG VEG)

CONTORNI    
PATATE AL FORNO   (VEG-ETARIANO)
INSALATA DI POMOORO CON ORIGANO (VEG-ETARIANO)

DOLCI
BISCOTTI SECONDO TRADIZIONE SINTA (NO VEG)
DOLCI DI FRUTTA FRESCA (SECONDO TRADIZIONE SINTA-NO VEG)
TRE TORTE DI DOLCI (VEG VEG)

MENU’  AFFOGATO IN VINI BIANCO URUPIA E ROSSO COLLINARE E BIRRA MORETTI
MUSICHE BALCANICHE DAL VIVO
FOTOGRAFIA E DOCUMENTAZIONE
VI ASPETTIAMO DALLE 16 PER I LABORATORI E DALLE 19 PER CENA DI MEMORIE E  RESISTENZE ROM E SINTI

Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):
“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appell-platz (spazio ove venivano concentrati e conteggiati ogni mattina e sera i prigionieri dei campi o dei lager;  la mattina poi ogni  kapò organizzava  le squadre di prigionieri per i lavori di ogni genere forzati ) e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”

Seranotte in memoria attiva della rivolta dei Rom e di Sinti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau avvenuta il 16 maggio 1944.
“Il 16 maggio 2010 solo in Francia e per la prima volta si è celebrata questa ricorrenza: tutto è nato da Raymond Guerené, rom-kalè sopravvissuto allo sterminio, che ha dato vita ad uno spettacolo con la canzone che le sue sorelle gli avevano dedicato mentre erano nel lager, con l’aiuto poi dell’associazione La Voix de Rom.
Il 16 maggio 1944 i quattromila Rom internati ad Auschwitz decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo  programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo, ma anche le donne e i bambini: tutti raccolsero pietre, spranghe e altre armi rudimentali e si scagliarono contro le SS che dovettero indietreggiare, lasciando diversi morti sul campo. Solo il 2 agosto dello stesso anno, dopo aver ridotto alla fame la comunità rom di Auschwitz, i nazisti riuscirono ad uccidere 2897 Rom nella stessa notte.
Gli stermini di non ebrei dei Lager sono stati per decenni dimenticati, e solo negli ultimi anni si è cominciato a ricordare che c’erano anche altre vittime dei campi di concentramento nazisti, tra cui appunto rom e sinti, che chiamano il loro sterminio Porrajmos (divoramento) . Anche in Francia ci sono stati negli ultimi anni degli episodi di intolleranza verso le popolazioni nomadi, soprattutto in zone dove sono maggioritari i movimenti di estrema destra: ‘gli zingari’ francesi hanno però la possibilità ogni anno di far conoscere la propria cultura e le proprie tradizioni nella festa di Saintes Maries de la Mer, evento in Camargue che attira numerosi turisti anche non appartenenti ai cosiddetti popoli del vento”.                                                             (Tratto da un articolo di Elena Romanello dal blog: www.nuovasocieta.it )
TESTIMONIANZE
“Sapevamo che ci stavano portando a morire nelle camere a gas e abbiamo preso la decisione migliore. Piuttosto che obbedire agli ordini dei carnefici  nazisti avremmo sfidato la morte, lottando con onore e dignità”. 
Raymond Guerenè faceva parte di quel gruppo e ricorda il coraggioso episodio, di quasi 70 anni prima, durante la celebrazione in memoria dello sterminio nazisti nei confronti delle popolazioni  Romsinti, tenutasi in Francia il 16 maggio 2010, prima prima volta in assoluto in un paese europeo. 
L’odio dei nazionalsocialisti verso i popoli del vento risale alla metà degli anni trenta, quando viene istituito l‘ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara e attraverso il quale si cerca di sostenere la teoria scientifica della razza impura, degenerata e geneticamente criminale. Seguiranno le leggi di sterilizzazione forzata, verrà praticata su 30000 donne, gli “studi” del dottor Mengele sui gemelli e sui bambini e le deportazioni nei lager. La notizia della presenza di campi di internamento anche in Italia, a Bolzano, Campobasso, in Sicilia e Sardegna, verrà resa pubblica solo a metà degli anni 90. 
Il 16 maggio 1944 al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau arriva l’ordine segreto, nome in codice nacht und nebel (notte e nebbia), di eliminare gli oltre 4000 detenuti appartenenti alle popolazioni nomadi. Per gli aguzzini nazisti si tratta di normale routine, sono numerose le volte che hanno accompagnato a morire nelle camere a gas oppositori politici, ebrei, gay e disabili. La sorpresa deve essere stata enorme quando si sono trovati di fronte il folto gruppo che, armato di bastoni e pietre, li ha fatti retrocedere. Nei tumulti moriranno 11 SS e altre verranno ferite. Ne seguirà una rivolta che durerà tre mesi. Il 2 agosto 1944, pochi mesi prima della chiusura del tristemente noto campo di concentramento, la vendetta nazista sarà atroce. In una sola notte riusciranno ad uccidere 2897 persone di etnia Rom e Sinti. 
Durante il processo di Norimberga non verrà ammessa la costituzione di parte civile dei superstiti di etnia nomade e la questione rom avrà poca visibilità, sarà citata in alcuni passi dal procuratore Usa Wheeler e nulla più. Nel 1953 dalla Legge sugli indennizzi, un risarcimento concesso ai perseguitati per motivi politici, di razza e religione, Sinti e Rom saranno esclusi. 
Il Porrajmos (divoramento), termine usato per descrivere la persecuzione subita dalle minoranze Sinti e Rom, solo nel 1994 verrà ufficialmente riconosciuto dalla US Holocaust Memorial Museum di Washington. 
Dopo la guerra il massacro dei gitani, si parla di 500 mila persone in totale, sarà ricordato attraverso sporadiche testimonianze di ex deportati. Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente.


MIGLIA E MIGLIA DI PRIGIONIERI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZI-FASCISTI PARALIZZATI ED INIBITI NELLAGIRE, IN UNA  CONDIZIONE AMBIVALENTE  E TREMENDA DI SOGGEZIONE AL  TERRORE DI ESSERE ANNIENTATI  LORO E I LORO CARI  E  DATTESA SPERANZA SEPPUR LONTANA  DI RIABBRACCIARE UN GIORNO I PROPRI AFFETTI.
 Su questo coraggioso e disperato episodio di rivolta dei  Rom e Sinti all’interno di un capo di sterminio nazi-fascista:  Auschwitz-Birkenau(16 maggio 1944), per alcuni tratti  straordinario nella sua unicità ma anche  nella ritrovata azione  di sovvertimento seppur eccezionale , dei rapporti di forza o di terrore  tra i kapò, le ss naziste e i prigionieri.  Per comprendere tale avvenimento ma soprattutto il perché le altre migliaia non lhanno fatto, vorrei partire da alcune riflessioni sulla condizione psico-fisico in cui erano i detenuti-prigionieri di Piotr M.A.Cywinski ,dell’attuale direttore del museo della memoria di Auschwitz, le quali possono aiutarci a diradare le ombre della notte e la nebbia fitta in cui erano  avvolti e posti indistintamente sotto scacco i milioni di deportati e schiavizzati nei lager nazisti.  Piotr ci parla da un lato di uno scacco mortale prodotto da un permanente  terrore  paralizzante e di soggezione indotto dagli aguzzini nazisti, ma dallaltra di una alimentata  illusoria speranza di poter un giorno riabbracciare quelli affetti da cui ci si era involontariamente separati.  Non era mai accaduto nella storia moderna che dei presunti oppositori o nemici di qualsiasi razza,genere, fede o ideologia fossero catturati e ridotti in uno stato di schiavitù, non singolarmente per quanto presunto di delittuoso, ma con la loro intera famiglia, e poi una volta giunti in una destinazione sconosciuta separati gli uni dagli altri, perfino le madri dai loro figli o figlie e tenuti in un permanente stato di totale disinformazione delle condizioni delluni e degli altri. E ormai cosa certa che i detentori, manipolatori e torturatori di quella immensa nuda vita fossero  consapevoli (e non sempliciesecutori  di un comando superiore) che qualsiasi essere umano tenuto in uneccezionale  stato di prigionia, in quanto prigionieri con altri affetti a loro cari,  avrebbe nutrito da un lato unincrollabile speranza, lultima si dice a morire, di ritrovarli un giorno vivi e di riabbracciarli,e daltra quel desiderio di fuga e di rivolta che nutre ogni detenuto prigioniero sarebbe stato anch’esso messo sotto scacco non dal semplice terrore di morire, ma che  questo ‘estremo gesto di libertà’ avrebbe trascinato con sé tutti i loro familiari,  ritenuti presenti e vivi in qualche altro settore del campo lì accanto.  Seppur il numero dei Kapò e delle SS  fosse relativamente esiguo rispetto alla massa dei prigionieri, e l’episodio dei Rom e Sinti  è lì a dimostrare che sarebbe stato possibile rovesciare quel sistema di controllo e di soggezione, ma malgrado tutto questo, nessuno ha osato mai  ribellarsi. Ma perché è accaduto tutto questo? E anche qualcosa di peggio, cioè  di generare una malvagia complicità tra prigionieri ed aguzzini nazisti. Quali erano allora le occulte strategie psico-sociali che invischiavano ed impedivano sul nascere ogni possibile gesto di fuga o di rivolta. Qualche  parziale risposta a tale inquietanti domande si possono trarre da quanto il direttore ci rivela nella sua opera ‘non c’è una fine’. Non era mai accaduto, come dicevamo sopra, nella storia moderna che s’ imprigionasse e si deportasse l’intero nucleo famigliare, e nello stesso tempo s’alimentasse  un’ambivalente sentimento di terrore,  da un lato che chiunque avesse osato ribellarsi sarebbe stato sterminato, e  questo non era comune in altre esperienze di concentrazione, ma che in questo  rischio mortale sarebbe finito non solo lui o lei, ma l’intera famiglia, e  dall’altro si facesse intravvedere una sadica speranza (in quanto era certa la soluzione finale per ognuno di loro)che prima o dopo,cioè finito quel terrore e quella guerra,  si sarebbero potuto finalmente ricongiungere alle mogli, ai genitori, ai figli, ai fratelli e alle sorelle che stavano nella loro stessa condizione, o altrove ma nella speranza ulteriore di trovarli  vivi. Una combinazione perversa tra terrore e speranza. L’unica cosa che invece accadeva spesso era la fuga-suicidio dei prigionieri. E questo è un altro segno di quello scacco mortale.


DOCUMENTI 
Il Decreto Notte e Nebbia, emanato da Adolf Hitler il 7 dicembre 1941 a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, era un eufemismo tratto dall’opera L’oro del Reno di Richard Wagner dove Alberich, indossato l’elmo magico, si trasformava in colonna di fumo e spariva cantando “Nacht und Nebel, niemand gleich” cioè “Notte e Nebbia, (non c’è) più nessuno“. 
Il decreto, intitolato Richtlinien für die Verfolgung von Straftaten gegen das Reich oder die Besatzungsmacht in den besetzten Gebieten (Direttive per la persecuzione delle infrazioni commesse contro il Reich o contro le forze di occupazione nei territori occupati), fu dichiarato criminale al Processo di Norimberga perché contrario alle convenzioni di Ginevra, recava la firma del generale tedesco Wilhelm Keitel ed era un passo decisivo nelle imputazioni contro il regime nazista, secondo in importanza solo alla Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 con la pianificazione della soluzione finale
Il testo fu ricostruito dal Tribunale di Norimberga in 40 pagine di istruzioni operative dettagliate. Gli ordini del Fuhrer erano che “gli atti di resistenza della popolazione civile nei paesi occupati verranno giudicati da una corte marziale quando: 
  • si abbia la certezza di poter applicare la pena di morte e
  • quando la sentenza si pronuncia entro gli otto giorni dall’arresto.”
Il resto degli oppositori dovevano essere fermati e fatti scomparire “nella notte e nella nebbia”, diceva testualmente Hitler, segretamente arrestati in Germania senza dare altro tipo di informazione sulla detenzione.
NOTTE E NEBBIA
(Nuit et bruillard, Francia/1956) di Alain Resnais (32′)

Jean Cayrol, scrittore, editore, reduce da Mauthausen, aveva affidato ai suoi Poèmes de la nuit et du brouillard il compito di descrivere l’orrore dei campi di concentramento. Resnais gli chiese di scrivere il testo del suo film, e lo avrebbe di nuovo chiamato nel 1963 per Muriel. Il film fu boicottato sia dalla Francia che dalla Germania, tanto che Cayrol scrisse: “La Francia, strappando bruscamente le pagine della storia che non le piacciono, si fa complice dell’orrore”. (Sandro Toni
1942
Selvaggia dimora dell’aurora
passi di ciechi nel giardino
fedeltà mano che dorme
sopra un’ombra che torna
Aurora dalle dita fumanti armi
che cadete come foglie secche
l’uccellino delle mie lacrime
viene a bussare alla tua porta.
Jean Cayrol – Notte e nebbia – Nonostante Edizioni
Presentazione del libro di poesia NOTTE E NEBBIA
In collaborazione con la Fondazione Gramsci Emilia – Romagna e in occasione della Giornata della Memoria presentazione del libro di poesie NOTTE E NEBBIA di Jean Cayrol (Microgrammi). Intervengono Giovanni Pilastro e Giacomo Manzoli. Il traduttore Nicola Muschitiello leggerà alcune poesie.
Notte e nebbia, dal tedesco Nacht und Nebel. Così erano chiamati i prigionieri politici all’interno dei campi di concentramento nazisti. Portavano scritte sulla schiena, come un destino, due grandi “N”, che stavano a significare, come scrive Boris Pahor in postfazione, «che la loro morte sarebbe stata un viaggio notturno nella nebbia per finire nei camini del crematorio». Erano «i più disgraziati tra i disgraziati», condannati all’eliminazione segreta: non dovevano essere nominati, dovevano sparire senza lasciare traccia. Da qui il nome del decreto emanato da Hitler nel dicembre del 1941, voluto riferimento al Tarnhelm wagneriano, l’elmo magico che fa scomparire Alberich in una nube di fumo, al canto di Nacht und Nebel, niemand gleich. Il testo qui pubblicato, che Cayrol scrisse – reduce dall’esperienza concentrazionaria nel campo di Mauthausen – per l’omonimo documentario di Alain Resnais del 1955, è il tentativo di rendere, come egli stesso dichiarò in un articolo apparso l’anno successivo su Les Lettres Françaises, «la testimonianza vivente, incredibile, delle manifestazioni estreme dell’oppressione e della forza messa al servizio di un sistema che non ha avuto rispetto dei diritti elementari di ciascuno, nella sua singolarità e nella sua specificità». 
scrive ancora Pahor, «fu uno di questi disgraziati che riuscì a salvarsi», a ritornare dalla Necropoli.
 Nuit et brouillard
français).
Ils étaient vingt et cent, ils étaient des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiraient la nuit de leurs ongles battants,
Ils étaient des milliers, ils étaient vingt et cent.
Ils se croyaient des hommes, n’étaient plus que des nombres:
Depuis longtemps leurs dés avaient été jetés.
Dès que la main retombe il ne reste qu’une ombre,
Ils ne devaient jamais plus revoir un été

La fuite monotone et sans hâte du temps,
Survivre encore un jour, une heure, obstinément
Combien de tours de roues, d’arrêts et de départs
Qui n’en finissent pas de distiller l’espoir.
Ils s’appelaient Jean-Pierre, Natacha ou Samuel,
Certains priaient Jésus, Jéhovah ou Vichnou,
D’autres ne priaient pas, mais qu’importe le ciel,
Ils voulaient simplement ne plus vivre à genoux.

Ils n’arrivaient pas tous à la fin du voyage;
Ceux qui sont revenus peuvent-ils être heureux?
Ils essaient d’oublier, étonnés qu’à leur âge
Les veines de leurs bras soient devenus si bleues.
Les Allemands guettaient du haut des miradors,
La lune se taisait comme vous vous taisiez,
En regardant au loin, en regardant dehors,
Votre chair était tendre à leurs chiens policiers.

On me dit à présent que ces mots n’ont plus cours,
Qu’il vaut mieux ne chanter que des chansons d’amour,
Que le sang sèche vite en entrant dans l’histoire,
Et qu’il ne sert à rien de prendre une guitare.
Mais qui donc est de taille à pouvoir m’arrêter?
L’ombre s’est faite humaine, aujourd’hui c’est l’été,
Je twisterais les mots s’il fallait les twister,
Pour qu’un jour les enfants sachent qui vous étiez.

Vous étiez vingt et cent, vous étiez des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiriez la nuit de vos ongles battants,
Vous étiez des milliers, vous étiez vingt et cent.
confronta con l’originale

Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
NOTTE E NEBBIA

Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.
Si credevano uomini, non eran più che dei numeri:
Da lungo tempo ormai i loro dadi eran stati tratti.
Quando la mano ricade, non resta che un’ombra,
Non avrebbero mai piu’ riveduta un’estate.

Lo scorrer monotono e senza fretta del tempo,
Sopravvivere un giorno o un’ora in piu’, ostinatamente
Quanti giri di ruota, fermate e partenze
Che non cessano di distillare la speranza.
Si chiamavano Jean-Pierre, Natascia o Samuel,
Qualcuno pregava Dio, qualcuno Yahvè o Visnù,
Altri non pregavano affatto, ma che importa al cielo,
Volevan soltanto non vivere piu’ in ginocchio.

Non arrivavano tutti alla fine del viaggio,
Quelli che son tornati, potevano esser felici?
Provano a dimenticare, stupiti che alla loro età
Le vene delle braccia gli sian diventate tanto blu.
I tedeschi gurdavan da sopra le altane,
La luna taceva proprio come tacete voi,
Guardando lontano, guardando fuori,
La vostra carne era tenera per i loro cani poliziotto.

Mi dicono adesso che queste parole non son più alla moda,
Che val meglio la pena cantar solo canzoni d’amore,
Che il sangue secca presto quando entra nella storia
E che non serve a nulla impugnare una chitarra.
Ma chi avrà il coraggio di fermarmi?
L’ombra s’è fatta umana, oggi è estate,
Twisterei le parole se occorresse twistarle
Perché un giorno i bambini sappiano chi eravate.

Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.

Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):

“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appel-platz e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”


ROM E SINTI NELLA RESISTENZA 
Bella Ciao in Sinto piemontese:
Šukar Čaj (*)

Je trasárla me sgandžadóm ma
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Je trasárla me sgandžadóm ma
Le kasténgere ís-le koj

Oj čirikló, indžár ma vek
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Oj čirikló, indžár ma vek
Ke šunáva te meráu

Se me meráva sar čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Se me meráva sar čirikló
Indžarén mro trúpo dur

Čivén les koj aprén le bérge
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Čivén les koj aprén le bérge
Telé da ne tíni blúma

Ta sa kolá ke nakén koj
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Ta sa kolá ke nakén koj
Ta penéna ke si šukar

Kajá si i blúma do čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén

Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén

mi ha colpito una nota all’ultimo verso: …ke mujás-lo par jamén = lett. “che e’ morto per noi”. In sinto non esiste un termine per indicare il concetto astratto della liberta’.
Manca il termine. A me è venuto in mente che per i sinti piemontesi la libertà esiste solo come cosa pratica palpabile. Sarà prosaico ma loro vanno oltre, non può esistere come sogno e non ha senso come utopia. O c’è o non c’è. In molte lingue o dialetti mancano parole per esprimere concetti e per altri ci sono più parole con significato diverso per esprimere ciò che altri identificano con una sola parola. Non è certo un caso.



ARLATI A., “Gli zingari e la Resistenza”, in Calendario del popolo, 1997, n^ 606, p. 35. 
la Resistenza degli ‘zingari’ di Angelo Arlati
“Anche se non hanno una patria che li ama, scrive Giuseppe Pederiali, gli zingari hanno dato  il  loro  contributo  a  liberare  l’Europa  dalla  vergogna  nazista”.  È  questa  un’altra  pagina sconosciuta ma eroica della storia di questo popolo pacifico, i cui figli non hanno esitato a farsi  partigiani durante l’ultima guerra e a imbracciare le armi in difesa della libertà dei popoli. Non  si  trattò  di  casi  isolati  o  sporadici,  ma  in  quasi  tutte  le  nazioni  in  cui  divampò  la  lotta armata contro l’oppressione nazista gli Zingari militarono numerosi nei movimenti di resistenza locali o nazionali. 
In  Jugoslavia  gli  Zingari  presero  parte  attiva  alla lotta  di  liberazione  nazionale  condotta  dal  partito comunista iugoslavo con a capo Tito. Al di là delle differenze nazionali, essi si unirono ai serbi e ai croati nella lotta contro il comune nemico tedesco.                                                                                                                              Anche  negli  altri  paesi  dell’Est  europeo  gli  Zingari  non  furono  da  meno:  in  Bulgaria parteciparono  attivamente  alla  lotta  partigiana  e  all’insurrezione  del  1944  contro  il  governo fascista. 
In  Albania  molti  si  unirono  alle  bande  partigiane  che  agivano  nel  territorio,  come  pure  in Polonia,  dove  si  ricorda  la  partecipazione  alla  lotta  antinazista  della  poeta  zingara Bronislava Wais detta Papus (Bambola). 
In  Slovacchia,  specialmente  nell’ultima  fase  della guerra,  molti  Zingari entrarono  nelle organizzazioni partigiane: il comandante Tomas Farkas svolse un ruolo di primo piano durante l’insurrezione  nazionale  dell’estate  del  1944,  bloccando  con  i  suoi  zingari  il  contrattacco tedesco a Banska Bystrica. 
Contro  i  nazisti  combatterono  anche  in  Francia.  Il comandante  partigiano Armand  Stenegry (decorato per i suoi atti di valore) con un reparto di gitani coadiuvò gli sforzi dei maquis prima dello sbarco in Normandia nel 1944. Pure i fratelli Beaumarie aiutarono i maquis e uno di loro fu catturato e impiccato. 
Anche in Italia dopo l’8 settembre 1943 alcuni giovani si unirono ai  partigiani, che nella  loro lingua chiamavano “ciriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, partecipando alla lotta di liberazione contro i fascisti, molto realisticamente definiti “Kas tengeri”’, ossia quelli del manganello. 
Di  alcuni  di  loro  conosciamo  i  nomi  e  le  imprese:  l’istriano  Giuseppe Levakovich  detto  Tzigari,  che militò  nella  brigata  “Osoppo”  agli  ordini  del  comandante  Lupo;  il  piemontese  Amilcare  Debar,  che  fu staffetta  partigiana  nei  dintorni  di  cuneo  col  nome di  battaglia  di  corsaro  Nero,  catturato,  sfuggì  alla fucilazione per la sua giovane età Rubino Bonora che combatté in Friuli nella divisione Nannetti Walter Catter,  eroe  partigiano,  impiccato  a  Vicenza  l’11  novembre  1944  e  suo  cugino  Giuseppe  morto  in combattimento  a  20  anni  in  una  azione  di  guerra  sulle  montagne  della  Liguria  presso  Lovegno  e decorato al valor militare.
Fonti 
ROM E SINTI NELLA RESISTENZA 
Da Franco Marchi  – Dal sito dell’ANPI e da altre fonti 
Prendo da un blog un pezzo in cui elenca alcuni, fra i tanti, Rom e Sinti impegnati nella resistenza. C’è una ricostruzione anche per come venivano chiamati e come chiamavano i fascisti. 
 E sapete come questi giovani chiamavano nella loro lingua i Partigiani? Li chiamavano “čriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, mentre i fascisti venivano da loro definiti “Kaš tengeri” ossia, quelli del manganello.
Definizioni molto semplici ma altrettanto appropriate 
Lo dobbiamo anche a loro, se oggi (almeno per ora) siamo liberi 
C’è stata una sorta di rimozione sulla partecipazione di Rom e Sinti al movimento partigiano. Ogni tanto qualche squarcio. Fu normale e naturale che in Nord Italia anche gli ‘zingari’, specialmente giovani, parteciparono come molti loro coetanei ad una guerra per scelta o per costrizione in quanto l’alternativa era, se andava bene, l’arresto per renitenza alla leva e se andava male un viaggio spesso di sola andata verso la Germania.
Franco Marchi segnala 
Walter Catter, eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e a suo cugino Giuseppe Catter morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle montagne della Liguria presso Lovegno. 
Di Giuseppe Catter ci sono due tracce su internet. Morì a 20 o 21 anni e la divisione partigiana a cui apparteneva prese il suo nome. Era pertanto un appartenente giovane ma di punta se da caduto gli intitolarono la divisione. Una traccia è di Francesco Biga, direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Imperia che ricorda che anche tra i partigiani ci furono anche molti ‘zingari’, fra questi un imperiese “Morto all’età di ventun anni, Giuseppe Catter, il partigiano Tarzan, era uno ‘zingaro’. Ci furono altri Sinti e Rom che combatterono per restituire libertà al nostro Paese. Peccato che nessuno lo sappia.” Questa citazione è nel libro di Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”, vedremo poi anche la storia di Walter il suo cugino di Vicenza.
 Su tutti le storie dei fratelli Catter, qui vengono definiti fratelli e non cugini come in altre fonti, morti separatamente e lontano. Delle loro vicende se ne parla in un libro scritto da Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”. È intenzione da parte di molti ricostruire questa parte della resistenza. Bisogna fare in fretta, chi era bambino allora sta invecchiando. Fra Rom e Sinti si trovano una decina di partigiani su fonti ufficiali o quasi. Dovrebbero essere molti di più. Credo che la stima corretta sia in centinaia. Questo per la particolare situazione di Sinti e Rom che se venivano catturati potevano finire direttamente nei campi di sterminio. Avevano le stesse motivazioni di altri giovani italiani renitenti alla leva della nazi-fascista Repubblica Sociale di Salò dove la cattura poteva portare all’esecuzione da parte dei repubblichini.
Mi ha colpito il destino parallelo di due cugini, i Catter, due Sinti. Il primo di Vicenza fu fucilato l’11 novembre 1944 assieme ad altri partigiani di cui quattro erano Sinti, uno dei quattro lo era di adozione essendo un gagè sposato ad una sinta, che per scelta entrò nella loro comunità. Il secondo Giuseppe Catter fu ucciso ventenne in Liguria e fu intitolata a suo nome una brigata partigiana(fucilato dai brigatisti neri nell’Imperiese). 
Su internet pochi racconti centrati di più sui morti combattenti e meno anche su figure che poi si batterono per l’integrazione ed il riscatto. 
A pagina 30 del libro The Gypsies during the Second World War, Volume 2 Di Karola Fings/Donald Kenrick ho trovato traccia di un partigiano Sinto mai citato, o almeno mai trovato da parte mia, dalle fonti in lingua italiana.
Si tratta di Giacomo Sacco un Sinto genovese.
In una sua testimonianza dichiara:(traduco in parte)
“Mi catturarono con altre 17 persone mentre andavo a “manghel”. Al passo del Turchino ci liberarono i partigiani. Decisi di rimanere con i partigiani, per partecipare alla liberazione di Genova e lottare contro i fascisti e nazisti, condividendo gli ideali dei partigiani. Fui l’unico Sinto della brigata e fui usato come staffetta. Venni a conoscenza di un altro Sinto combattente che era un capo visto che guidava gli attacchi.” Che sia Catter o un altro? Sacco morì nel 1988. La memoria orale si perderà in pochi anni. Se qualcuno ha contatti con Sinti genovesi potrebbe scoprire qualcosa di più di Giacomo Sacco e del secondo Sinto.
Franco Marchi
 Di Giuseppe Levakovic, assieme a Taro Debar, ci sono più tracce. Forse è il destino di essere sopravvissuto ed aver militato anche dopo la guerra. Ha anche scritto un libro a quattro mani dal titolo Tzigari che era il suo “nick” (i partigiani avevano un soprannome per celare la propria identità, a volte il nome vero era conosciuto da pochi per sicurezza), da partigiano. Militò nella brigata Osoppo. Lui era un Rom istriano sloveno e la sua famiglia fu internata in un campo italiano (mi sembra a Ferramonti, vado a memoria). La moglie Wilma fu poi trasferita a Ravensbrück e poi a Dachau dove morì.
Amilcare Debar – Nato a Frossasco (Torino) il 16 giugno 1927, zingaro.           È il solo italiano ancora vivente tra i tanti Sinti e Rom che hanno partecipato alla Resistenza. Una sua scheda è compresa nella “Banca dati del partigianato piemontese”. Qualche notizia su Debar si trova su un volantino distribuito a Milano, durante le celebrazioni per il sessantatreesimo della Liberazione, dall’Associazione “Aven Amentza”. Nel foglietto si ricorda che il giovanissimo Debar militò in Piemonte, al comando di Pompeo Colajanni, nel battaglione “Dante di Nanni” delle Brigate garibaldine e che, “dopo la guerra, fu rappresentante del suo popolo Rom alle Nazioni Unite”.
Nel volantino si ricordano anche:
 il rom istriano Giuseppe Levakovic, che combatté nella “Osoppo”; 
il Rom Rubino Bonora, partigiano della Divisione “Nannetti” in Friuli;
del rom istriano Giuseppe Levakovic detto Tzigari, si dice che militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del Comandante Lupo; 
del Sinto piemontese Amilcare De Bar si sostiene che fu staffetta partigiana nei dintorni di Cuneo col nome di battaglia di Corsaro Nero; 

Nel volantino si ricorda anche che, insieme agli ebrei, durante la Seconda guerra mondiale, i rom furono sterminati dai nazisti.

Dei 6.000 Rom/Sinti (su una popolazione di 35.000 individui) che vennero internati nei campi di concentramento sparsi in tutta Italia, ne perirono un migliaio a causa delle angherie, della fame, del freddo e delle malattie.
Molti altri Sinti, molti altri Rom, molti altri zingari si unirono alle brigate partigiane in Italia e in Europa.
   Hemingway in “Per chi suona la campana?” raccontava dei Gitani attivi nella guerra di Spagna dalla parte repubblicana, antifascista. Nell’Est europeo e nei Balcani è documentata l’attività partigiana di raggruppamenti zingari che si guadagnarono anche decorazioni al valore, mentre in Francia i Rom dettero un contributo importante all’avanzata angloamericana infiltrandosi oltre le linee nemiche e facilitando le comunicazioni. Testo ricerca storico-cultu rale a cura di Pino de March
PROGRAMMA DETTAGLIATO DEL 12 MAGGIO 2018
DALLE 16 ALLE 19
LABORATORI POMERIDIANI
1-FAVOLE RACCONTI LEGGENDE ROM E SINTI
2-SULLE CONDIZIONI ESISTENZIALI SOCIALI E CULTURALI DELLE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTI NELLE NOSTRE PERIFERIE
coordina pino de march,brunella guida e milan jovanocic
DALLE 19
CENA AUTOFINANZIAMENTO ATTIVITA’ INTERCULTURALI E RELAZIONALI DI AMIRS E COMUNIMAPPE
MEMORIE ATTIVE: ROM E SINTI NELLA RESISTENZA EUROPEA E NELLA CORAGGIOSA RIVOLTA DI AUSCHWITZ DEL 16 MAGGIO 1944
POESIE
DANZA
FILM DOCUMENTAZIONI E MOSTRE FOTOGRAFICHE
PER INFORMAZIONI EVENTO DETTAGLIATE
Blog: comunimappe.blogspot.com
per prenotazione cena di autofinanziamenti attività ricerc-azione-cambiamento
info: comunimappe@gmail.com

RINVENTARE SITUAZIONI NON ALIENATE E NUOVE RELAZIONI E LEGAMI ECO-SOCIALI
2018-19
ATTIVITA’ RICERC-AZIONE-CAMBIAMENTO
1- AMIRS – ASSOCIAZIONI MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI
LABORATORI INTERCULTURALI
per nuove interazioni tra minoranze linguistiche e culturali Rom, Sinti, straniere e gagè
nelle scuole e territorio
2 -COMUNIMAPPE-LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA
PROGETTO LABIRINTO -RITROVARE FILO D’ARIANNA PER USCIRE DALLA CRISI ESISTENZIALE, CULTURALE, SOCIALE, TECNOLOGICA ED ECOLOGICA O DELLE MOLTEPLICI ECOLOGIE
LABORATORI RELAZIONALI sui ‘dis-agi civiltà:

Il malessere diffuso tra gli adolescenti e le loro categorizzazione-psicologizzazIone  nella scuola nel  quadro diagnostico  dei cosiddetti- bes-bisogni educativi speciali (codificati come iperattivi passando per le difficoltà d’attenzione fino a giugere alla fobia scolastica) come altre manifestazioni di sofferenza esistenziale tra gli adolescenti  fuori dalla scuola, sono da considerare a tutti gli effetti disagi bio-sociali e bio-politici-economici contemporanei,
e sintomi trans-psichici conclamati di patologie neo-liberiste economico-sociali e familiari presenti nel mondo di vita e di crescita delle nuove generazioni); i disagi gli uni esistenziali-sociali e gli altri virtuali-digitali delle nuove generazioni sono le retroazioni di un mondo di legami esploso e liquefatto in quello che un tempo si chiamava ‘la società dello spettacolo e oggi la società tecnologicamente aumentata e umanamente diminuita.
CRISI,  PERICOLI E POSSIBILITÀ
PARTIREMO 
DALL’ANALISI DELLA LIQUIDITA’ SOCIALE IN SENSO LATO PRIMARIO E SECONDARIO E DAI CONFLITTI DEVASTANTI ESISTENZIALI, SOCIALI,  INTER-GENERAZIONALI E INTERCULTURALI,
 PASSANDO
 ALLA PROGETTAZIONE DI SITUAZIONI E ALLA REINVENTARE DI NUOVI LEGAMI E DI NUOVE RELAZIONI UMANE SU BASE CRITICA INTER-SEZIONALE(CHE DECOSTRUISCA LE DISCRIMINAZIONI DI CLASSE, GENERE E CULTURA)
EED INFINE  ATTIVANDOSI ALLA COSTRUZIONE DI SOCIETA’ APERTE, SOLIDALI E E DIVERGENTI) E NEO-UMANE (TRA UMANI -MACCHINE ED ALTRI ESSERI VIVENTI).
PROMUOVE CONTRADA SOLIDALE ROM,SINTI E GAGI
IN COOPERAZIONE CON
AMIRS – ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI
CESP-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA
ANPI -LAME
ZONA ORTIVA VIA ERBOSA
CONCIBO’
BAUM
ANPI – LAME
COALIZIONE CIVICA – NAVILE
ED ALTR@
vedi informazioni dettagliate
hpp//: comunimappe.blogspot.com
Accorda Pino de March

Festa di primavera tra rom, sinti e gagè aperta a tutte le genti della citta’

 Festa di primavera tra rom, sinti e gagè aperta a tutte le genti della citta’

Djurdjevdan o giorno di Giorgio nelle tradizioni cristiane, di Hizir in quelle musulmane e per tutti e tutte avvento di primavera che rinasce dalla lotta vitale con il morente inverno.
 

sabato 13 maggio 2017
giornata di attività conviviale e festosa
agli orti di via Erbosa 17 – zona ortiva – Bolognina
(s’arriva da via Arcoveggio proseguendo per via Fratelli Cervi ed in fondo a destra per via Erbosa costeggiando il campo ‘nomadi’).


Programma
Dalle 15 alle 17                                                                            Gioco dei pregiudizi, dei prodigi e delle magie sugli ‘zingari’.

Laboratorio aperto con i bambini-ragazzi del quartiere e della città: da quando siamo piccoli, sentiamo dire che gli ‘zingari’ rubano i bambini, che rubano per strada e nelle case, che non vogliono mandare i loro figli a scuola, che mendicano anche se sono pieni di soldi’ e che sono esperti di magia, che si vogliono divertire e non vogliono lavorare, che non si vogliono integrare, ecc., proviamo con il gioco a spezzare questi pregiudizi.

Dalle 17 alle 18                                                                            momento di presentazione e riflessione a termine del corso “Culture romanes”
Un’occasione per riflettere su come costruire insieme una società coesa ed inclusiva, a partire dalla cittadinanza attiva e dalla scuola della Costituzione, democratica e aperta a tutti.
Interverranno: Pino De March e i mediatori culturali rom e sinti: Tomas Fulli, Aghiran, Raducan Jonel,
a seguire
Sessione poetica aperta: letture di testi di poeti e poete rom e sintiMostra fotografica “Viaggio in Karnataka” di Fabien Bassetti
Un viaggio in India tra quelle comunità nomadi che sono considerate antenati dei nostri rom e sinti europei.

Dalla 19 alle 24 cena con cibi ‘zigani’ e musicisti rom e sinti

Si mangia, si beve, si canta, si danza alla ‘romanes’                          
costo della cena 15 euro (esclusi i minori). 
12 per copie
Il ricavato, dopo aver fatto fronte alle spese, andrà per metà all’autofinanziamento della nascente associazione di mediatori culturali rom e sinti (AMIRS) e per metà per coprire parte delle spese del corso semestrale sulle “culture romanes” organizzato da Comunimappe, Cesp e MCE.
Per permettere di organizzare la cucina è necessario prenotarsi a comunimappe@gmail.com

Con la collaborazione di: Comunimappe, libera comune università- pluriversità  bolognina, Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica) e l’MCE (Movimento di Cooperazione Educativa)

FESTA ACCOGLIENTE E CONVIVIALE DI PRIMAVERA TRA ROM, SINTI E GAGI APERTA A TUTTE LE GENTI DELLA CITTA’ COMUNE METROPOLITANA DI BOLOGNA


 FESTA ACCOGLIENTE E CONVIVIALE  DI PRIMAVERA TRA ROM SINTI E GAGE’
APERTA A TUTTE LE GENTI DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI BOLOGNA


TRA LA META’ DEL MESE DI APRILE E QUELLA DI MAGGIO LE GENTI ROM E SINTI D’EUROPA FESTGGIANO

IL DJURDJEVDAN o IL GIORNO DI SAN GIORGIO NELLE TRADIZIONI DEI NOMADI CRISTIANI 
O DEL PROFETA HIZIR IN QUELLE DEI NOMADI MUSSULMANI,
MA TUTTE LE GENTI IN QUESTO TEMPO TURBOLENTO E VITALE DI PASSAGGIO, L’AVVENTO  DELLA FIORENTE PRIMAVERA.  
PRIMAVERA CHE RINASCE DA UNA LOTTA VITALE CON  IL MORENTE E RIGIDO INVERNO.

SABATO 13 MAGGIO 2017
ZONA ORTIVA IN VIA ERBOSA 17-ACCANTO CAPO NOMADI SINTI
DALLE ORE 15 
LABORATORI CON BAMBINI SULLE EMOZIONI  
 SUSCITATE DAL CONTATTO CON ‘GLI ZINGARI’
DALLE 1
SIMPOSIO SULLE CONDIZIONI ESISTENZIALI DELLE  GENTI ROM E SINTI IN CITTA’
 INTERVALLATO DA POETI E POETE ROMANI’ 
DALLE 19 
CENA ZIGANA(15 EURO)
DALLE 20 ALLE 24   
MUSICA, CANTI, DANZA, BALLI ALLA ROMANES 

Una leggenda antica ci narra di un cavaliere errante Giorgio che salva una nobile nord-africana, Silene dalle fauci di un drago feroce ed affamato che ogni sera si  levava dalle acque di un lago vicino alla città di Selem per cercare pasto di agnelli  e capretti, e quando non c’erano più capri sacrificali animali, indifferentemente pretendeva venissero offerti i giovani del villaggio come pasto per nutrirsi. La dura ferita inferta del drago dal giovane cavaliere Giorgio porta con sé non solo la salvezza della figlia del re ma libera tutta la città di Selem dal terrore suscitato da tempo ormai immemorabile questo feroce drago in quella lontana città libica. I Rom di tradizione cristiana, con il culto dei santi, identificano ormai da secoli nel cavaliere errante Giorgio un loro simile che protegge le popolazioni nomadi dal rigido freddo d’inverno, stagione che da sempre mite moltissime vittime tra loro,vecchi o bambini che siano, drago feroce  l’inverno per ogni nomade o Rom; ed è per questo che non si dimenticano mai di  festeggiarlo  tra aprile e maggio,  questo divenuto santo cavaliere nomade, che con la morte da lui inferta al drago-inverno favorisce la salvezza-rinascita della giovane primavera -Silene- e la liberazione dal drago-inverno che da sempre infonde loro terrore gelido seminando morti spesso per fuoco di stufette elettriche o gas.

Giorgio però non si limitò a salvare la principessa e la città dal terrore seminato dal drago ma in cambio pretese la conversione di tutto il popolo di Selem al cristianesimo.

Dopo questa conversione dal paganesimo al cristianesimo del popolo di Selem, indotta non solo dalle sue gesta ma da un terribile ricatto, che sarebbe consistito nel liberare di nuovo il drago ferito ma non morto se non fosse seguita una conversione di tutto il popolo di Selem, i funzionari romani venuti a conoscenza di tale mutamento religioso nel popolo,  per ordine dell’imperatore Diocleziano nel 303 dell’era nuova, ordinarono ai soldati di catturare Giorgio per aver convinto, ma per loro obbligato il popolo a seguire una religione contraria all’ impero romano. Il corpo di Giorgio fu tagliato con una ruota chiodata in due parti,  però accade una cosa sorprendente che per tre volte il corpo reciso si ricomponesse e resuscitasse compiendo diversi miracoli.  Questa storia è tratta da una leggenda aurea scritta da Jacopo de Varagine nel XIII sec.
Per secoli Giorgio è onorato da tutte le chiese cristiane, che ammettono il culto dei santi, ed è onorato anche dai mussulmani come profeta. Ci sono molte chiese dedicate al suo culto nel Nord africa, in particolare in Egittoed in  Libia. San Giorgio è’ menzionato nel calendario giuliano il 23 aprile, mentre le chiese cristiane slave ortodosse lo festeggiano il 6 di maggio.
( il calendario giuliano ,è il calendario solare basato sul ciclo delle stagioni, elaborato dall’astronomo greco Sosigene d’Alessandria, vissuto nel 1 sec. dell’era antica).
I Rom hanno scelto San Giorgio come loro protettore per essere come loro sempre in continua peregrinazione;  i Rom dei Balcani lo festeggiano il 6 di maggio come DUREDEVAN O giorno di Giorgio.
La leggenda metaforizza – l’equinozio  di primavera – cioè  la sconfitta del rigido inverno (o la morte del drago feroce che nelle rigide notti d’inverno miete molte vittime tra i rom ).
I Rom dei Balcani chiamano questa festa anche ERDERLEZ – dal turco HIDIRELLEZ.
La notte tra il 5 ed il 6 maggio le chiese cristiane ortodosse festeggiano San Giorgio mentre ed il 6 di maggio nelle moschee si festeggia Hizir  (Al-Kadhir) uomo saggio ed errante.
Hizir che placa la turbolenza delle acque e  dei temporali nell’irrompente primavera
I due profeti – Giorgio e Hizir- per i Rom mussulmani s’incontrano sulla terra per rinforzare i nuovi germogli, però soprattutto per proteggere le popolazioni nomadi dagli ultimi colpi di coda del gelido inverno e dalle rinascenti turbolenze  della  risvegliata primavera;
potenze naturali  agite da ILYAS antica divinità dell’acqua pagana e persiana, che i Rom hanno appreso a conoscere nelle loro lunghe peregrinazioni da tra  ed occidente.  IlYAS antica dea dell’acqua, dei temporali e della germogliazione che i zoroastriani chiamavano ANAHITA, che sono entrambe per lo spirito sincretistico Rom la simbolizzazione dell’antica divinità indiana VISNU,che nell’antica religione vedica aveva caratteri cosmici e solari, ed dell’evoluzione dell’esistenza tutta del vivente.  Queste antiche divinità pre-monoteistiche raggruppano il sé le ambivalenti potenze della natura, mentre successivamente con l’affermarsi delle religioni monoteiste si tese alla separazione e alla contrapposizione tra opposte potenze naturali o spirituali, definite a aprioristicamente del bene o del male,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           la primavera buona e l’inverno cattivo, il santo ed il profeta da lato buono ed il drago e le potenze naturali matrigne e crudeli . Si contrappongono potenze avverse, si demonizza e si spiritualizza, e si non si sa più cogliere gli aspetti controversi ma vitali che compongono le diverse nature, umane e non umane.                      Per i mussulmani il profeta Hizir come Giorgio vagano sulla terra, soprattutto in primavera, e aiutano le genti nomadi nella vulnerabilità della loro esistenza e nell’arrischiata vita errante sempre esposta alle turbolenze delle potenze naturali in tende o roulotte in ogni stagione. Hizir è considerato dai mussulmani fonte di bontà e portatore di nuova vita e di salute. Hizir come Giorgio, rappresenta la potenze sovra-naturali,  capaci di  proteggere le genti nomadi esposte alle vitali potenze naturali che si scatenano in questo tempo di rigenerazione, e l’inverno simboleggia in questa lotta naturale la morte bianca e la primavera la rosa-verde vita.  Il primo giorno di primavera corrisponde al giorno in cui s’incontrano sulla terra HIZIR santo profeta protettore degli umani nomadi  mussulmani ed ILYAS la crudele persiana divinità naturale dell’acqua e dei temporali suscitatrice di vitalità germogliante.
In questo giorno di festa DI EDERLEZI O DI DUREDEVAN le donne Rom confezionano ghirlande di fiori, puliscono le case e nella notte chiara e stellata si beve, si mangia, si canta e si sta insieme pacificamente e spensieratamente ed è quello che ai Rom piace della vita.
La vita del giorno per un Rom è dura, pesante e inquieta ancora oggi, simile per alcuni aspetti  alla vita dei proletari o delle genti della terra prima della rivoluzione francese, condizioni esistenziali e sociali brillantemente narrate  da uno storico francese come Jean Michelet in una delle sue opere maestose e poetiche, la strega, in cui questi esseri ridotti a miserabili nelle vite  diurne, ritrovavano nella notte il momento più importante della loro esistenza ,ove potevano rivivere insieme libertà perdute nel giorno, e nello stesso tempo sentivano  come una minaccia il giungere dell’alba, nera che li avrebbe riportati  di nuovo in quello stato di sottomissione,e servile vita di sopravvivenza; nelle loro notti festose sobrie, comuni e gioiose  aspiravano ad una loro alba rossa ove libertà, giustizia sociale e fratellanza li avrebbe riconsegnato quella dignità sperata, ed abbondanza sognata nella notte.a Anche per i Rom la notte è ritrovata gioia,spensieratezza, leggerezza seppur sobria dimenticanza delle difficili condizioni materiali posti dal giorno alla loro sopravvivenza.                                                                                                                                                                                   
Conversazioni con Aghiran all’XM 24 per ritrovare i contenuti per il 13 maggio 2017
Parliamo dei contenuti che non devono che toccare lateralmente gli aspetti religiosi ma piuttosto ricercare sotto di essi, le perdute dimensione simboliche antiche che riguardano tutti gli umani,rom o non rom, per ritrovare in questa festa comune di Rom, Sinti e gagi di Primavera, la convivialità e lo spirito onirico e poetico delle notti Rom, incontri comunitari che sempre si svolgevano nella notte attorno ai fuochi e sotto cieli stellati illuminati spesso dalla luna e rallegrati da canti, musiche di violini, fisarmoniche, chitarre ed altri strumenti inventati.
La  notte per i Rom ha rappresentato sempre  un momento importante di sospensione dello stress del loro difficile vivere o sopravvivere quotidiano in una società spesso ostile.
In queste occasioni di incontri notturni comunitari – familiari si beve, si mangia, si canta si balla, si danza alla romanes insieme quello che piace ai rom della vita.
Per noi Gagi dico ad Aghiran anche momento per rafforzare legami di ospitalità ed accoglienza con queste minoranze culturali spesso stigmatizzate e marginalizzate alle periferie delle nostre sempre più dilatate e devastate città-metropolitane.
Con Aghiran parlo anche dell’ospitalità antica per noi Gagi mediterranei.
 Ospite deriva hospes-itis ….hostipotis o signore dello straniero
Colui che sa  comportarsi in modo signorile con lo straniero o forestiero

Ospite da un punto di vista linguistico la parola ’ospite’ è una paroma enatiosemica(enatìos, gr. contrario,sema,gr. segno ), cioè sono quelle parole che hanno significati opposti, cioè indica sia chi ospita, sia chi è ospitato.

Edward Pocock (1604-1691)teologo orientalista inglese rilevava che in diverse lingue antiche –ebraico, aramaico e arabo – sono presenti forme di enatiosemia;  In italiano es. ci sono altre parole enatiosemiche oltre a ospite anche laico che indca sia religioso non consacrato sia non religioso.



Ospite per me figura singolare, che unisce in modo inscindibile l’ospitato dall’ospitante.

Ospite sostantivo che indica in questa sua unicità significante, l’inseparabilità dell’ospitato e dell’ospitante, e costituente una comune origine relazionale.

Ospite è una figura anche etica oltre che relazionale, delle nostre genti mediterranee suggerisco ai miei interlocutori.

Perfino il symballein o il simbolo costituente la nostra dimensione culturale e di riconoscimento reciproco, trasmesso dagli antichi greci nasce da questa capacità che ha un oggetto o un sintagma, considerato di volta in volta come simbolo di rappresentare significati per entrambi i locutori o parlanti o scambianti.  Per esemplificare si prendeva un oggetto materiale, lo si divideva in due parti uguali,  ad ognuno veniva data una parte in modo che le persone incontrandosi dopo anche molto tempo potevano immediatamente riconoscersi amici in quell’oggetto spezzato, semplicemente unendo le parti , potevano ritrovare immediatamente i significanti di un antico patto d’amicizia , ma poteva essere anche di altra natura.

In quanto all’ospitalità Goethe, filosofo naturalista germanico e cosmopolita,  sosteneva in una sua lirica dedicata, ad una minoranza tedesca cacciata da Strasburgo divenuta territorio francese negli anni successivi alla rivoluzione 1789 e nella stessa ad un’altra minoranza protestante cacciata nell’epoca della Riforma dai regnanti cattolici austriaci di Salisburgo,  che noi siamo tutti anche se insediati in un territorio, eterni ospiti sulla terra simile a coloro che devono errare per , qualche ragione o torto, ed è per questo che dobbiamo riconoscere nell’erranza la nostra perdurante umanità.
ELABORATO da Pino de March
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