‘Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo (i romanì) fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente’
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VI ASPETTIAMO DALLE 16 PER I LABORATORI E DALLE 19 PER CENA DI MEMORIE E RESISTENZE ROM E SINTI
Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):
“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appell-platz (spazio ove venivano concentrati e conteggiati ogni mattina e sera i prigionieri dei campi o dei lager; la mattina poi ogni kapò organizzava le squadre di prigionieri per i lavori di ogni genere forzati ) e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”
Seranotte in memoria attiva della rivolta dei Rom e di Sinti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau avvenuta il 16 maggio 1944.
“Il 16 maggio 2010 solo in Francia e per la prima volta si è celebrata questa ricorrenza: tutto è nato da Raymond Guerené, rom-kalè sopravvissuto allo sterminio, che ha dato vita ad uno spettacolo con la canzone che le sue sorelle gli avevano dedicato mentre erano nel lager, con l’aiuto poi dell’associazione La Voix de Rom.
Il 16 maggio 1944 i quattromila Rom internati ad Auschwitz decisero di opporsi ai loro aguzzini, che secondo programma erano venuti a prelevarli, per condurli nelle camere a gas. Non furono solo gli uomini a decidere di non piegare il capo, ma anche le donne e i bambini: tutti raccolsero pietre, spranghe e altre armi rudimentali e si scagliarono contro le SS che dovettero indietreggiare, lasciando diversi morti sul campo. Solo il 2 agosto dello stesso anno, dopo aver ridotto alla fame la comunità rom di Auschwitz, i nazisti riuscirono ad uccidere 2897 Rom nella stessa notte.
Gli stermini di non ebrei dei Lager sono stati per decenni dimenticati, e solo negli ultimi anni si è cominciato a ricordare che c’erano anche altre vittime dei campi di concentramento nazisti, tra cui appunto rom e sinti, che chiamano il loro sterminio Porrajmos (divoramento) . Anche in Francia ci sono stati negli ultimi anni degli episodi di intolleranza verso le popolazioni nomadi, soprattutto in zone dove sono maggioritari i movimenti di estrema destra: ‘gli zingari’ francesi hanno però la possibilità ogni anno di far conoscere la propria cultura e le proprie tradizioni nella festa di Saintes Maries de la Mer, evento in Camargue che attira numerosi turisti anche non appartenenti ai cosiddetti popoli del vento”. (Tratto da un articolo di Elena Romanello dal blog: www.nuovasocieta.it )
TESTIMONIANZE
“Sapevamo che ci stavano portando a morire nelle camere a gas e abbiamo preso la decisione migliore. Piuttosto che obbedire agli ordini dei carnefici nazisti avremmo sfidato la morte, lottando con onore e dignità”.
Raymond Guerenè faceva parte di quel gruppo e ricorda il coraggioso episodio, di quasi 70 anni prima, durante la celebrazione in memoria dello sterminio nazisti nei confronti delle popolazioni Rom e sinti, tenutasi in Francia il 16 maggio 2010, prima prima volta in assoluto in un paese europeo.
L’odio dei nazionalsocialisti verso i popoli del vento risale alla metà degli anni trenta, quando viene istituito l‘ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara e attraverso il quale si cerca di sostenere la teoria scientifica della razza impura, degenerata e geneticamente criminale. Seguiranno le leggi di sterilizzazione forzata, verrà praticata su 30000 donne, gli “studi” del dottor Mengele sui gemelli e sui bambini e le deportazioni nei lager. La notizia della presenza di campi di internamento anche in Italia, a Bolzano, Campobasso, in Sicilia e Sardegna, verrà resa pubblica solo a metà degli anni 90.
Il 16 maggio 1944 al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau arriva l’ordine segreto, nome in codice nacht und nebel (notte e nebbia), di eliminare gli oltre 4000 detenuti appartenenti alle popolazioni nomadi. Per gli aguzzini nazisti si tratta di normale routine, sono numerose le volte che hanno accompagnato a morire nelle camere a gas oppositori politici, ebrei, gay e disabili. La sorpresa deve essere stata enorme quando si sono trovati di fronte il folto gruppo che, armato di bastoni e pietre, li ha fatti retrocedere. Nei tumulti moriranno 11 SS e altre verranno ferite. Ne seguirà una rivolta che durerà tre mesi. Il 2 agosto 1944, pochi mesi prima della chiusura del tristemente noto campo di concentramento, la vendetta nazista sarà atroce. In una sola notte riusciranno ad uccidere 2897 persone di etnia Rom e Sinti.
Durante il processo di Norimberga non verrà ammessa la costituzione di parte civile dei superstiti di etnia nomade e la questione rom avrà poca visibilità, sarà citata in alcuni passi dal procuratore Usa Wheeler e nulla più. Nel 1953 dalla Legge sugli indennizzi, un risarcimento concesso ai perseguitati per motivi politici, di razza e religione, Sinti e Rom saranno esclusi.
Il Porrajmos (divoramento), termine usato per descrivere la persecuzione subita dalle minoranze Sinti e Rom, solo nel 1994 verrà ufficialmente riconosciuto dalla US Holocaust Memorial Museum di Washington.
Dopo la guerra il massacro dei gitani, si parla di 500 mila persone in totale, sarà ricordato attraverso sporadiche testimonianze di ex deportati. Ebrei italiani trasferiti dal campo di Fossoli di Carpi ad Auschwitz raccontano di come questo gruppo fosse l’unico, con i loro canti e suoni, a tenere su il morale in un luogo così opprimente.
MIGLIA E MIGLIA DI PRIGIONIERI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZI-FASCISTI PARALIZZATI ED INIBITI NELL’AGIRE, IN UNA CONDIZIONE AMBIVALENTE E TREMENDA DI SOGGEZIONE AL TERRORE DI ESSERE ANNIENTATI LORO E I LORO CARI E D’ATTESA SPERANZA SEPPUR LONTANA DI RIABBRACCIARE UN GIORNO I PROPRI AFFETTI.
Su questo coraggioso e disperato episodio di rivolta dei Rom e Sinti all’interno di un capo di sterminio nazi-fascista: Auschwitz-Birkenau(16 maggio 1944), per alcuni tratti straordinario nella sua unicità ma anche nella ritrovata azione di sovvertimento seppur eccezionale , dei rapporti di forza o di terrore tra i kapò, le ss naziste e i prigionieri. Per comprendere tale avvenimento ma soprattutto il perché le altre migliaia non l’hanno fatto, vorrei partire da alcune riflessioni sulla condizione psico-fisico in cui erano i detenuti-prigionieri di Piotr M.A.Cywinski ,dell’attuale direttore del ‘museo della memoria di Auschwitz’, le quali possono aiutarci a diradare le ombre della notte e la nebbia fitta in cui erano avvolti e posti indistintamente sotto scacco i milioni di deportati e schiavizzati nei lager nazisti. Piotr ci parla da un lato di uno scacco mortale prodotto da un permanente terrore paralizzante e di soggezione indotto dagli aguzzini nazisti, ma dall’altra di una alimentata illusoria speranza di poter un giorno riabbracciare quelli affetti da cui ci si era involontariamente separati. Non era mai accaduto nella storia moderna che dei presunti oppositori o nemici di qualsiasi ‘razza’,genere, fede o ideologia fossero catturati e ridotti in uno stato di schiavitù, non singolarmente per quanto presunto di delittuoso, ma con la loro intera famiglia, e poi una volta giunti in una destinazione sconosciuta separati gli uni dagli altri, perfino le madri dai loro figli o figlie e tenuti in un permanente stato di totale disinformazione delle condizioni dell’uni e degli altri. E’ ormai cosa certa che i detentori, manipolatori e torturatori di quella immensa nuda vita fossero consapevoli (e non sempliciesecutori di un comando superiore) che qualsiasi essere umano tenuto in un’eccezionale stato di prigionia, in quanto prigionieri con altri affetti a loro cari, avrebbe nutrito da un lato un’incrollabile ‘speranza’, l’ultima si dice ‘a morire’, di ritrovarli un giorno vivi e di riabbracciarli,e d’altra quel desiderio di fuga e di rivolta che nutre ogni detenuto– prigioniero sarebbe stato anch’esso messo sotto scacco non dal semplice terrore di morire, ma che questo ‘estremo gesto di libertà’ avrebbe trascinato con sé tutti i loro familiari, ritenuti presenti e vivi in qualche altro settore del campo lì accanto. Seppur il numero dei Kapò e delle SS fosse relativamente esiguo rispetto alla massa dei prigionieri, e l’episodio dei Rom e Sinti è lì a dimostrare che sarebbe stato possibile rovesciare quel sistema di controllo e di soggezione, ma malgrado tutto questo, nessuno ha osato mai ribellarsi. Ma perché è accaduto tutto questo? E anche qualcosa di peggio, cioè di generare una malvagia complicità tra prigionieri ed aguzzini nazisti. Quali erano allora le occulte strategie psico-sociali che invischiavano ed impedivano sul nascere ogni possibile gesto di fuga o di rivolta. Qualche parziale risposta a tale inquietanti domande si possono trarre da quanto il direttore ci rivela nella sua opera ‘non c’è una fine’. Non era mai accaduto, come dicevamo sopra, nella storia moderna che s’ imprigionasse e si deportasse l’intero nucleo famigliare, e nello stesso tempo s’alimentasse un’ambivalente sentimento di terrore, da un lato che chiunque avesse osato ribellarsi sarebbe stato sterminato, e questo non era comune in altre esperienze di concentrazione, ma che in questo rischio mortale sarebbe finito non solo lui o lei, ma l’intera famiglia, e dall’altro si facesse intravvedere una sadica speranza (in quanto era certa la soluzione finale per ognuno di loro)che prima o dopo,cioè finito quel terrore e quella guerra, si sarebbero potuto finalmente ricongiungere alle mogli, ai genitori, ai figli, ai fratelli e alle sorelle che stavano nella loro stessa condizione, o altrove ma nella speranza ulteriore di trovarli vivi. Una combinazione perversa tra terrore e speranza. L’unica cosa che invece accadeva spesso era la fuga-suicidio dei prigionieri. E questo è un altro segno di quello scacco mortale.
DOCUMENTI
Il Decreto Notte e Nebbia, emanato da Adolf Hitler il 7 dicembre 1941 a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, era un eufemismo tratto dall’opera L’oro del Reno di Richard Wagner dove Alberich, indossato l’elmo magico, si trasformava in colonna di fumo e spariva cantando “Nacht und Nebel, niemand gleich” cioè “Notte e Nebbia, (non c’è) più nessuno“.
Il decreto, intitolato Richtlinien für die Verfolgung von Straftaten gegen das Reich oder die Besatzungsmacht in den besetzten Gebieten (Direttive per la persecuzione delle infrazioni commesse contro il Reich o contro le forze di occupazione nei territori occupati), fu dichiarato criminale al Processo di Norimberga perché contrario alle convenzioni di Ginevra, recava la firma del generale tedesco Wilhelm Keitel ed era un passo decisivo nelle imputazioni contro il regime nazista, secondo in importanza solo alla Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 con la pianificazione della soluzione finale.
Il testo fu ricostruito dal Tribunale di Norimberga in 40 pagine di istruzioni operative dettagliate. Gli ordini del Fuhrer erano che “gli atti di resistenza della popolazione civile nei paesi occupati verranno giudicati da una corte marziale quando:
- • si abbia la certezza di poter applicare la pena di morte e
- • quando la sentenza si pronuncia entro gli otto giorni dall’arresto.”
Il resto degli oppositori dovevano essere fermati e fatti scomparire “nella notte e nella nebbia”, diceva testualmente Hitler, segretamente arrestati in Germania senza dare altro tipo di informazione sulla detenzione.
NOTTE E NEBBIA
(Nuit et bruillard, Francia/1956) di Alain Resnais (32′)
Jean Cayrol, scrittore, editore, reduce da Mauthausen, aveva affidato ai suoi Poèmes de la nuit et du brouillard il compito di descrivere l’orrore dei campi di concentramento. Resnais gli chiese di scrivere il testo del suo film, e lo avrebbe di nuovo chiamato nel 1963 per Muriel. Il film fu boicottato sia dalla Francia che dalla Germania, tanto che Cayrol scrisse: “La Francia, strappando bruscamente le pagine della storia che non le piacciono, si fa complice dell’orrore”. (Sandro Toni
1942
Selvaggia dimora dell’aurora
passi di ciechi nel giardino
fedeltà mano che dorme
sopra un’ombra che torna
Aurora dalle dita fumanti armi
che cadete come foglie secche
l’uccellino delle mie lacrime
viene a bussare alla tua porta.
Jean Cayrol – Notte e nebbia – Nonostante Edizioni
Presentazione del libro di poesia NOTTE E NEBBIA
In collaborazione con la Fondazione Gramsci Emilia – Romagna e in occasione della Giornata della Memoria presentazione del libro di poesie NOTTE E NEBBIA di Jean Cayrol (Microgrammi). Intervengono Giovanni Pilastro e Giacomo Manzoli. Il traduttore Nicola Muschitiello leggerà alcune poesie.
Notte e nebbia, dal tedesco Nacht und Nebel. Così erano chiamati i prigionieri politici all’interno dei campi di concentramento nazisti. Portavano scritte sulla schiena, come un destino, due grandi “N”, che stavano a significare, come scrive Boris Pahor in postfazione, «che la loro morte sarebbe stata un viaggio notturno nella nebbia per finire nei camini del crematorio». Erano «i più disgraziati tra i disgraziati», condannati all’eliminazione segreta: non dovevano essere nominati, dovevano sparire senza lasciare traccia. Da qui il nome del decreto emanato da Hitler nel dicembre del 1941, voluto riferimento al Tarnhelm wagneriano, l’elmo magico che fa scomparire Alberich in una nube di fumo, al canto di Nacht und Nebel, niemand gleich. Il testo qui pubblicato, che Cayrol scrisse – reduce dall’esperienza concentrazionaria nel campo di Mauthausen – per l’omonimo documentario di Alain Resnais del 1955, è il tentativo di rendere, come egli stesso dichiarò in un articolo apparso l’anno successivo su Les Lettres Françaises, «la testimonianza vivente, incredibile, delle manifestazioni estreme dell’oppressione e della forza messa al servizio di un sistema che non ha avuto rispetto dei diritti elementari di ciascuno, nella sua singolarità e nella sua specificità».
scrive ancora Pahor, «fu uno di questi disgraziati che riuscì a salvarsi», a ritornare dalla Necropoli.
Nuit et brouillard
français).
Ils étaient vingt et cent, ils étaient des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiraient la nuit de leurs ongles battants,
Ils étaient des milliers, ils étaient vingt et cent.
Ils se croyaient des hommes, n’étaient plus que des nombres:
Depuis longtemps leurs dés avaient été jetés.
Dès que la main retombe il ne reste qu’une ombre,
Ils ne devaient jamais plus revoir un été
La fuite monotone et sans hâte du temps,
Survivre encore un jour, une heure, obstinément
Combien de tours de roues, d’arrêts et de départs
Qui n’en finissent pas de distiller l’espoir.
Ils s’appelaient Jean-Pierre, Natacha ou Samuel,
Certains priaient Jésus, Jéhovah ou Vichnou,
D’autres ne priaient pas, mais qu’importe le ciel,
Ils voulaient simplement ne plus vivre à genoux.
Ils n’arrivaient pas tous à la fin du voyage;
Ceux qui sont revenus peuvent-ils être heureux?
Ils essaient d’oublier, étonnés qu’à leur âge
Les veines de leurs bras soient devenus si bleues.
Les Allemands guettaient du haut des miradors,
La lune se taisait comme vous vous taisiez,
En regardant au loin, en regardant dehors,
Votre chair était tendre à leurs chiens policiers.
On me dit à présent que ces mots n’ont plus cours,
Qu’il vaut mieux ne chanter que des chansons d’amour,
Que le sang sèche vite en entrant dans l’histoire,
Et qu’il ne sert à rien de prendre une guitare.
Mais qui donc est de taille à pouvoir m’arrêter?
L’ombre s’est faite humaine, aujourd’hui c’est l’été,
Je twisterais les mots s’il fallait les twister,
Pour qu’un jour les enfants sachent qui vous étiez.
Vous étiez vingt et cent, vous étiez des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiriez la nuit de vos ongles battants,
Vous étiez des milliers, vous étiez vingt et cent.
confronta con l’originale
Lingua: Italiano
Versione italiana di Riccardo Venturi
NOTTE E NEBBIA
Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.
Si credevano uomini, non eran più che dei numeri:
Da lungo tempo ormai i loro dadi eran stati tratti.
Quando la mano ricade, non resta che un’ombra,
Non avrebbero mai piu’ riveduta un’estate.
Lo scorrer monotono e senza fretta del tempo,
Sopravvivere un giorno o un’ora in piu’, ostinatamente
Quanti giri di ruota, fermate e partenze
Che non cessano di distillare la speranza.
Si chiamavano Jean-Pierre, Natascia o Samuel,
Qualcuno pregava Dio, qualcuno Yahvè o Visnù,
Altri non pregavano affatto, ma che importa al cielo,
Volevan soltanto non vivere piu’ in ginocchio.
Non arrivavano tutti alla fine del viaggio,
Quelli che son tornati, potevano esser felici?
Provano a dimenticare, stupiti che alla loro età
Le vene delle braccia gli sian diventate tanto blu.
I tedeschi gurdavan da sopra le altane,
La luna taceva proprio come tacete voi,
Guardando lontano, guardando fuori,
La vostra carne era tenera per i loro cani poliziotto.
Mi dicono adesso che queste parole non son più alla moda,
Che val meglio la pena cantar solo canzoni d’amore,
Che il sangue secca presto quando entra nella storia
E che non serve a nulla impugnare una chitarra.
Ma chi avrà il coraggio di fermarmi?
L’ombra s’è fatta umana, oggi è estate,
Twisterei le parole se occorresse twistarle
Perché un giorno i bambini sappiano chi eravate.
Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.
Le parole con cui si chiude il film “Nuit e Brouillard” (testo di Jean Cayrol):
“Mentre vi parlo, l’acqua fredda delle paludi riempie le fosse dei carnai, un’acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L’erba ha ricoperto l’Appel-platz e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di minacce.
Il forno crematorio è fuori uso. Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi ci avverte dell’arrivo di nuovi boia? Hanno davvero un volto diverso dal nostro?
Tra di noi ci sono kapò fortunati e accusatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano o che ci credevano raramente.
Noi guardiamo le rovine come se il mostro fosse morto. Fingiamo di ritrovare la speranza, davanti a questa immagine, come se si guarisse dalla peste dei campi di concentramento.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese, e non pensiamo a guardarci attorno e non sentiamo che si grida senza fine.”
ROM E SINTI NELLA RESISTENZA
Bella Ciao in Sinto piemontese:
Šukar Čaj (*)
Je trasárla me sgandžadóm ma
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Je trasárla me sgandžadóm ma
Le kasténgere ís-le koj
Oj čirikló, indžár ma vek
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Oj čirikló, indžár ma vek
Ke šunáva te meráu
Se me meráva sar čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Se me meráva sar čirikló
Indžarén mro trúpo dur
Čivén les koj aprén le bérge
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Čivén les koj aprén le bérge
Telé da ne tíni blúma
Ta sa kolá ke nakén koj
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Ta sa kolá ke nakén koj
Ta penéna ke si šukar
Kajá si i blúma do čirikló
Oj šukár čaj šukár čaj šukár čaj čaj čaj
Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén
Kajá si i blúma do čirikló
Ke mujás-lo par jamén
mi ha colpito una nota all’ultimo verso: …ke mujás-lo par jamén = lett. “che e’ morto per noi”. In sinto non esiste un termine per indicare il concetto astratto della liberta’.
Manca il termine. A me è venuto in mente che per i sinti piemontesi la libertà esiste solo come cosa pratica palpabile. Sarà prosaico ma loro vanno oltre, non può esistere come sogno e non ha senso come utopia. O c’è o non c’è. In molte lingue o dialetti mancano parole per esprimere concetti e per altri ci sono più parole con significato diverso per esprimere ciò che altri identificano con una sola parola. Non è certo un caso.
ARLATI A., “Gli zingari e la Resistenza”, in Calendario del popolo, 1997, n^ 606, p. 35.
la Resistenza degli ‘zingari’ di Angelo Arlati
“Anche se non hanno una patria che li ama, scrive Giuseppe Pederiali, gli zingari hanno dato il loro contributo a liberare l’Europa dalla vergogna nazista”. È questa un’altra pagina sconosciuta ma eroica della storia di questo popolo pacifico, i cui figli non hanno esitato a farsi partigiani durante l’ultima guerra e a imbracciare le armi in difesa della libertà dei popoli. Non si trattò di casi isolati o sporadici, ma in quasi tutte le nazioni in cui divampò la lotta armata contro l’oppressione nazista gli Zingari militarono numerosi nei movimenti di resistenza locali o nazionali.
In Jugoslavia gli Zingari presero parte attiva alla lotta di liberazione nazionale condotta dal partito comunista iugoslavo con a capo Tito. Al di là delle differenze nazionali, essi si unirono ai serbi e ai croati nella lotta contro il comune nemico tedesco. Anche negli altri paesi dell’Est europeo gli Zingari non furono da meno: in Bulgaria parteciparono attivamente alla lotta partigiana e all’insurrezione del 1944 contro il governo fascista.
In Albania molti si unirono alle bande partigiane che agivano nel territorio, come pure in Polonia, dove si ricorda la partecipazione alla lotta antinazista della poeta zingara Bronislava Wais detta Papus (Bambola).
In Slovacchia, specialmente nell’ultima fase della guerra, molti Zingari entrarono nelle organizzazioni partigiane: il comandante Tomas Farkas svolse un ruolo di primo piano durante l’insurrezione nazionale dell’estate del 1944, bloccando con i suoi zingari il contrattacco tedesco a Banska Bystrica.
Contro i nazisti combatterono anche in Francia. Il comandante partigiano Armand Stenegry (decorato per i suoi atti di valore) con un reparto di gitani coadiuvò gli sforzi dei maquis prima dello sbarco in Normandia nel 1944. Pure i fratelli Beaumarie aiutarono i maquis e uno di loro fu catturato e impiccato.
Anche in Italia dopo l’8 settembre 1943 alcuni giovani si unirono ai partigiani, che nella loro lingua chiamavano “ciriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, partecipando alla lotta di liberazione contro i fascisti, molto realisticamente definiti “Kas tengeri”’, ossia quelli del manganello.
Di alcuni di loro conosciamo i nomi e le imprese: l’istriano Giuseppe Levakovich detto Tzigari, che militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del comandante Lupo; il piemontese Amilcare Debar, che fu staffetta partigiana nei dintorni di cuneo col nome di battaglia di corsaro Nero, catturato, sfuggì alla fucilazione per la sua giovane età Rubino Bonora che combatté in Friuli nella divisione Nannetti Walter Catter, eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e suo cugino Giuseppe morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle montagne della Liguria presso Lovegno e decorato al valor militare.
Fonti
ROM E SINTI NELLA RESISTENZA
Da Franco Marchi – Dal sito dell’ANPI e da altre fonti
Prendo da un blog un pezzo in cui elenca alcuni, fra i tanti, Rom e Sinti impegnati nella resistenza. C’è una ricostruzione anche per come venivano chiamati e come chiamavano i fascisti.
E sapete come questi giovani chiamavano nella loro lingua i Partigiani? Li chiamavano “čriklé” (uccelli, passeri) in quanto costretti alla macchia, mentre i fascisti venivano da loro definiti “Kaš tengeri” ossia, quelli del manganello.
Definizioni molto semplici ma altrettanto appropriate
Lo dobbiamo anche a loro, se oggi (almeno per ora) siamo liberi
C’è stata una sorta di rimozione sulla partecipazione di Rom e Sinti al movimento partigiano. Ogni tanto qualche squarcio. Fu normale e naturale che in Nord Italia anche gli ‘zingari’, specialmente giovani, parteciparono come molti loro coetanei ad una guerra per scelta o per costrizione in quanto l’alternativa era, se andava bene, l’arresto per renitenza alla leva e se andava male un viaggio spesso di sola andata verso la Germania.
Franco Marchi segnala
Walter Catter, eroe partigiano, impiccato a Vicenza l’11 novembre 1944 e a suo cugino Giuseppe Catter morto in combattimento a 20 anni in una azione di guerra sulle montagne della Liguria presso Lovegno.
Di Giuseppe Catter ci sono due tracce su internet. Morì a 20 o 21 anni e la divisione partigiana a cui apparteneva prese il suo nome. Era pertanto un appartenente giovane ma di punta se da caduto gli intitolarono la divisione. Una traccia è di Francesco Biga, direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Imperia che ricorda che anche tra i partigiani ci furono anche molti ‘zingari’, fra questi un imperiese “Morto all’età di ventun anni, Giuseppe Catter, il partigiano Tarzan, era uno ‘zingaro’. Ci furono altri Sinti e Rom che combatterono per restituire libertà al nostro Paese. Peccato che nessuno lo sappia.” Questa citazione è nel libro di Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”, vedremo poi anche la storia di Walter il suo cugino di Vicenza.
Su tutti le storie dei fratelli Catter, qui vengono definiti fratelli e non cugini come in altre fonti, morti separatamente e lontano. Delle loro vicende se ne parla in un libro scritto da Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”. È intenzione da parte di molti ricostruire questa parte della resistenza. Bisogna fare in fretta, chi era bambino allora sta invecchiando. Fra Rom e Sinti si trovano una decina di partigiani su fonti ufficiali o quasi. Dovrebbero essere molti di più. Credo che la stima corretta sia in centinaia. Questo per la particolare situazione di Sinti e Rom che se venivano catturati potevano finire direttamente nei campi di sterminio. Avevano le stesse motivazioni di altri giovani italiani renitenti alla leva della nazi-fascista Repubblica Sociale di Salò dove la cattura poteva portare all’esecuzione da parte dei repubblichini.
Mi ha colpito il destino parallelo di due cugini, i Catter, due Sinti. Il primo di Vicenza fu fucilato l’11 novembre 1944 assieme ad altri partigiani di cui quattro erano Sinti, uno dei quattro lo era di adozione essendo un gagè sposato ad una sinta, che per scelta entrò nella loro comunità. Il secondo Giuseppe Catter fu ucciso ventenne in Liguria e fu intitolata a suo nome una brigata partigiana(fucilato dai brigatisti neri nell’Imperiese).
Su internet pochi racconti centrati di più sui morti combattenti e meno anche su figure che poi si batterono per l’integrazione ed il riscatto.
A pagina 30 del libro The Gypsies during the Second World War, Volume 2 Di Karola Fings/Donald Kenrick ho trovato traccia di un partigiano Sinto mai citato, o almeno mai trovato da parte mia, dalle fonti in lingua italiana.
Si tratta di Giacomo Sacco un Sinto genovese.
In una sua testimonianza dichiara:(traduco in parte)
“Mi catturarono con altre 17 persone mentre andavo a “manghel”. Al passo del Turchino ci liberarono i partigiani. Decisi di rimanere con i partigiani, per partecipare alla liberazione di Genova e lottare contro i fascisti e nazisti, condividendo gli ideali dei partigiani. Fui l’unico Sinto della brigata e fui usato come staffetta. Venni a conoscenza di un altro Sinto combattente che era un capo visto che guidava gli attacchi.” Che sia Catter o un altro? Sacco morì nel 1988. La memoria orale si perderà in pochi anni. Se qualcuno ha contatti con Sinti genovesi potrebbe scoprire qualcosa di più di Giacomo Sacco e del secondo Sinto.
Franco Marchi
Di Giuseppe Levakovic, assieme a Taro Debar, ci sono più tracce. Forse è il destino di essere sopravvissuto ed aver militato anche dopo la guerra. Ha anche scritto un libro a quattro mani dal titolo Tzigari che era il suo “nick” (i partigiani avevano un soprannome per celare la propria identità, a volte il nome vero era conosciuto da pochi per sicurezza), da partigiano. Militò nella brigata Osoppo. Lui era un Rom istriano sloveno e la sua famiglia fu internata in un campo italiano (mi sembra a Ferramonti, vado a memoria). La moglie Wilma fu poi trasferita a Ravensbrück e poi a Dachau dove morì.
Amilcare Debar – Nato a Frossasco (Torino) il 16 giugno 1927, zingaro. È il solo italiano ancora vivente tra i tanti Sinti e Rom che hanno partecipato alla Resistenza. Una sua scheda è compresa nella “Banca dati del partigianato piemontese”. Qualche notizia su Debar si trova su un volantino distribuito a Milano, durante le celebrazioni per il sessantatreesimo della Liberazione, dall’Associazione “Aven Amentza”. Nel foglietto si ricorda che il giovanissimo Debar militò in Piemonte, al comando di Pompeo Colajanni, nel battaglione “Dante di Nanni” delle Brigate garibaldine e che, “dopo la guerra, fu rappresentante del suo popolo Rom alle Nazioni Unite”.
Nel volantino si ricordano anche:
il rom istriano Giuseppe Levakovic, che combatté nella “Osoppo”;
il Rom Rubino Bonora, partigiano della Divisione “Nannetti” in Friuli;
del rom istriano Giuseppe Levakovic detto Tzigari, si dice che militò nella brigata “Osoppo” agli ordini del Comandante Lupo;
del Sinto piemontese Amilcare De Bar si sostiene che fu staffetta partigiana nei dintorni di Cuneo col nome di battaglia di Corsaro Nero;
Nel volantino si ricorda anche che, insieme agli ebrei, durante la Seconda guerra mondiale, i rom furono sterminati dai nazisti.
Dei 6.000 Rom/Sinti (su una popolazione di 35.000 individui) che vennero internati nei campi di concentramento sparsi in tutta Italia, ne perirono un migliaio a causa delle angherie, della fame, del freddo e delle malattie.
Molti altri Sinti, molti altri Rom, molti altri zingari si unirono alle brigate partigiane in Italia e in Europa.
Hemingway in “Per chi suona la campana?” raccontava dei Gitani attivi nella guerra di Spagna dalla parte repubblicana, antifascista. Nell’Est europeo e nei Balcani è documentata l’attività partigiana di raggruppamenti zingari che si guadagnarono anche decorazioni al valore, mentre in Francia i Rom dettero un contributo importante all’avanzata angloamericana infiltrandosi oltre le linee nemiche e facilitando le comunicazioni. Testo ricerca storico-cultu rale a cura di Pino de March
PROGRAMMA DETTAGLIATO DEL 12 MAGGIO 2018DALLE 16 ALLE 19LABORATORI POMERIDIANI1-FAVOLE RACCONTI LEGGENDE ROM E SINTI2-SULLE CONDIZIONI ESISTENZIALI SOCIALI E CULTURALI DELLE COMUNITA’ URBANE ROM E SINTI NELLE NOSTRE PERIFERIE coordina pino de march,brunella guida e milan jovanocic
DALLE 19
CENA AUTOFINANZIAMENTO ATTIVITA’ INTERCULTURALI E RELAZIONALI DI AMIRS E COMUNIMAPPE
MEMORIE ATTIVE: ROM E SINTI NELLA RESISTENZA EUROPEA E NELLA CORAGGIOSA RIVOLTA DI AUSCHWITZ DEL 16 MAGGIO 1944
POESIE
DANZA
FILM DOCUMENTAZIONI E MOSTRE FOTOGRAFICHE
PER INFORMAZIONI EVENTO DETTAGLIATE
Blog: comunimappe.blogspot.com
per prenotazione cena di autofinanziamenti attività ricerc-azione-cambiamento
info: comunimappe@gmail.com
RINVENTARE SITUAZIONI NON ALIENATE E NUOVE RELAZIONI E LEGAMI ECO-SOCIALI 2018-19ATTIVITA’ RICERC-AZIONE-CAMBIAMENTO1- AMIRS – ASSOCIAZIONI MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTI
LABORATORI INTERCULTURALI
per nuove interazioni tra minoranze linguistiche e culturali Rom, Sinti, straniere e gagè
nelle scuole e territorio
2 -COMUNIMAPPE-LIBERA COMUNE UNIVERSITA’ PLURIVERSITA’ BOLOGNINA
PROGETTO LABIRINTO -RITROVARE FILO D’ARIANNA PER USCIRE DALLA CRISI ESISTENZIALE, CULTURALE, SOCIALE, TECNOLOGICA ED ECOLOGICA O DELLE MOLTEPLICI ECOLOGIE
LABORATORI RELAZIONALI sui ‘dis-agi civiltà:Il malessere diffuso tra gli adolescenti e le loro categorizzazione-psicologizzazIone nella scuola nel quadro diagnostico dei cosiddetti- bes-bisogni educativi speciali (codificati come iperattivi passando per le difficoltà d’attenzione fino a giugere alla fobia scolastica) come altre manifestazioni di sofferenza esistenziale tra gli adolescenti fuori dalla scuola, sono da considerare a tutti gli effetti disagi bio-sociali e bio-politici-economici contemporanei,e sintomi trans-psichici conclamati di patologie neo-liberiste economico-sociali e familiari presenti nel mondo di vita e di crescita delle nuove generazioni); i disagi gli uni esistenziali-sociali e gli altri virtuali-digitali delle nuove generazioni sono le retroazioni di un mondo di legami esploso e liquefatto in quello che un tempo si chiamava ‘la società dello spettacolo e oggi la società tecnologicamente aumentata e umanamente diminuita.CRISI, PERICOLI E POSSIBILITÀ PARTIREMO DALL’ANALISI DELLA LIQUIDITA’ SOCIALE IN SENSO LATO PRIMARIO E SECONDARIO E DAI CONFLITTI DEVASTANTI ESISTENZIALI, SOCIALI, INTER-GENERAZIONALI E INTERCULTURALI, PASSANDO ALLA PROGETTAZIONE DI SITUAZIONI E ALLA REINVENTARE DI NUOVI LEGAMI E DI NUOVE RELAZIONI UMANE SU BASE CRITICA INTER-SEZIONALE(CHE DECOSTRUISCA LE DISCRIMINAZIONI DI CLASSE, GENERE E CULTURA)EED INFINE ATTIVANDOSI ALLA COSTRUZIONE DI SOCIETA’ APERTE, SOLIDALI E E DIVERGENTI) E NEO-UMANE (TRA UMANI -MACCHINE ED ALTRI ESSERI VIVENTI).PROMUOVE CONTRADA SOLIDALE ROM,SINTI E GAGIIN COOPERAZIONE CON AMIRS – ASSOCIAZIONE MEDIATORI INTERCULTURALI ROM E SINTICESP-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA ANPI -LAME ZONA ORTIVA VIA ERBOSACONCIBO’BAUM ANPI – LAME COALIZIONE CIVICA – NAVILEED ALTR@vedi informazioni dettagliatehpp//: comunimappe.blogspot.com Accorda Pino de March