OSSERVATORIO SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATA

Tra i progetti della Comune Accademia vi è anche quello di dar vita ad un Osservatorio che si propone di monitorare i comportamenti degli attori politici in quegli atti riconducibili al tema della democrazia partecipata. 
Lo scenario di queste ultime settimane, già manifestatosi in forme diffuse (dalle primarie alle quirinalie), ha dato vita a scampoli di democrazia specificatamente caratterizzati dalla partecipazione tramite votazioni on line e nel diffuso opinionismo della rete, oltre che nell’appuntamento elettorale di febbraio.
Alcuni contributi al dibattito, proposti dall’Osservatorio, sono presenti nel sito e percorrono il periodo tra le elezioni di febbraio e oggi.
Di questo e altro si parlerà venerdì 10 maggio h.20 

presso HUB – via Serra, Bologna, Bolognina.
Dibattito – Invito / aperto a tutti i comunardi e loro vicinato – 
Pino De March – commenta Simon Weil, 
dal testo “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”

Simon Weil, con il suo manifesto per la soppressione dei partiti  politici (intendendo con essi tutte le istituzioni  reificanti ed alienanti le forme della vita  del Novecento) proponeva la creazione “di spazi condivisi di  ricerca ed azione che dovrebbero essere mantenuti sempre in uno stato costituente di fluidità “(mantenere una lingua e una prassi attiva ispirata semanticamente al participio presente – o del partecipare presente – mai  farsi catturare dalle paura nei partecipi passati). 
Animano il dibattito
Paolo Bosco – su democrazia partecipata e partecipazione alle scelte.
Marco Trotta – su democrazia partecipata e alfabetizzazione dei movimenti nella società digitale. 
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A seguire appunti per approfondire:
Il Concetto di Democrazia Partecipata preso nella sua più ampia accezione indica tutte le democrazie possibili, in tutte le diverse forme, non tanto per rappresentarle in contrapposizione le une con le altre, ma in cooperazione.  Partecipare significa esserci e la democrazia non può esimersi dal sollecitare ad esserci, a partecipare. Vista da questa prospettiva la democrazia partecipata comprende quella rappresentativa, infatti con l’andare a votare si partecipa ad una scelta. Ed una delle critiche più accese contro la democrazia rappresentativa è proprio quella di chiamare ad una partecipazione sporadica e distante nel tempo, tanto da non creare un legame tra eletto ed elettore tale da garantire una continuità, una vera partecipazione. 
Forme di democrazia tendenti ad ampliare il grado di partecipazione si sono avuti per tutto il Novecento. Anzi si può dire che nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una varietà infinita di forme di democrazia; valutare queste forme  significa inserirle in una scala di merito che misuri il grado di partecipazione che realizzano. A seconda della frequenza con cui si viene chiamati ad esprimersi, si definisce l’efficacia delle forme di partecipazione e si può parlare di democrazia partecipata riuscita.
Per una sintesi generale della questione Democrazia Partecipata si potrebbe ripercorrere la storia della democrazia nata nel XX° Sec. come un cammino nelle varie architetture istituzionali e delle forme democratiche abbozzate. La sintesi di tutto il processo è riducibile ai due estremi della questione (massimo e minimo di partecipazione) con le forme del Presidenzialismo e del Parlamentarismo. Nella prima forma si elegge il capo a cui si demanda di fare tutto (o quasi). Nel parlamentarismo si è obbligati a trovare delle maggioranze (che poi siano variabili o fisse cambia parte del contesto ma non lo stravolge nel suo principio). 
Anche nella lotta tra Napolitano e Rodotà si può intravedere questo binomio e le aree politiche e sociali che le due figure rappresentavano.
Frammenti dal manifesto di Simon Weil

“La democrazia, il potere della maggioranza, non sono un bene, sono mezzi in vista di un bene.”

“… per Rousseau la ragione sceglie sempre la giustizia, la passione  sta all’origine di qualunque crimine. Inoltre la ragione si ripropone negli individui in maniera uguale, le passioni differiscono da persona a persona. L’unione degli individui di una comunità (nazione, popolo) se basata sulla ragione può creare una unità (forza, potere) che faccia trionfare verità e giustizia, se basata sulle passioni (si intende quelle collettive) non darà che ingiustizia e falsità. Un volere ingiusto, anche se sottoscritto da una maggioranza, rimane un volere ingiusto. 

“… a determinate condizioni il volere del popolo [ha] maggiori possibilità di qualsiasi altro volere di essere conforme alla giustizia.”

– “Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti.”
– “Si deve ammettere che il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia.”
– “Ne è risultata, dopo un certo intervallo, la nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.” 
[senza partiti] “Gli elettori si assocerebbero e si dissocerebbero secondo il gioco naturale e mobile delle affinità” 
– “Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun ambito, se non prendendo posizione pro o contro un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino.”

I LABORATORI DELLA COMUNE ACCADEMIA

Presentiamo i primi due laboratori della Comune Accademia

Claudio de Marco tratta di personalità e si propone di stimolarla con una soggettiva ricerca (ma di gruppo) nel doppio binario dell’interiore e dell’esteriore.

Salvatore Di Cara  (maestro di musica e operaio) si occupa tra l’altro di fotografia, un’ esperienza maturata negli anni che mette a disposizione degli interessati.



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Laboratorio sulla personalità – condotto da Claudio De Marco (psicologo)

“L’integrazione delle tre personalità interne”

Il bambino, l’adulto, il genitore (per raggiungere la personalità del Budda interiore)

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Il laboratorio ha come obiettivo la condivisione di un particolare metodo di lettura dei comportamenti. Tutti noi agiamo con modi determinati nella vita quotidiana e nei vari contesti in cui siamo inseriti.

Metodologia: Laboratorio di gruppo

Teoria: La psicologia Transazionale di E. Berne
Nel laboratorio non si faranno lezioni sulla Teoria ma  si procederà direttamente alla costruzione di un gruppo di riflessione partendo dalla lettura di un testo specificatamente scellto.
Il testo scelto è di facile lettura e d’immediata comprensione. Nel gruppo verrà così stimolato un confronto reciproco, uno scambio di opinioni e di esperienze sul tema della Personalità.
Il laboratorio procederà passo dopo passo partendo dalla lettura del testo o di alcune sue parti; l’approdo sarà l’analisi dei comportamenti realmente tenuti dai partecipanti: all’interno della coppia, all’interno del gruppo amicale, all’interno del luogo di lavoro o eventualmente, pensando al divenire, da dover affrontare in un immediato futuro. Esempi possono essere: “Devo andare a parlare con la prof di mio figlio … “Devo parlare con il mio capo… “Devo riparlare con il mio compagno dopo una lite… ” etc.
Per meglio capire questa teoria chi lo vorrà, attraverso il gioco di ruoli e con l’ausilio del conduttore, potrà rappresentare uno specifico episodio, una situazione vissuta, con l’obiettivo di comprendere il funzionamento e l’adeguatezza dei comportamenti tenuti dal soggetto o eventualmente da far agire in una situazione futura
Il laboratorio avrà cadenza settimanale e una durata di 2 ore ad incontro (preferibilmente dalle 19,30 alle 21,30 – anche se l’orario potrà essere concordato una volta formato il gruppo).
Le lezioni si terranno presso HUB, in via Serra 2/G
– Il laboratorio avrà la durata di circa 10 incontri e prenderà l’avvio quando si raggiungeranno le adesioni adeguate allo scopo (da un minimo di 4 persone ed un massimo di 10).
PER PARTECIPARE: Il laboratorio nello spirito di Comuni mappe è interamente gratuito, si chiederà solo un contributo totale di 10 euro per le spese di utilizzo degli spazi (è possibile rateizzare il contributo).
Si possono iscrivere gli aderenti alla Banca del tempo MOMO (nel numero di due per ogni laboratorio) con l’accredito di due ore in favore dell’associazione Comunimappe.
Per eventuali informazioni ed iscrizioni  potete contattare il 349 67 77 156 o scrivere all’indirizzo: claudio.demarco@email.it


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Laboratorio di fotografia  di Salvatore Di Cara


                                                                                foto di Nadia Maccari

“Focus” 
Il laboratorio si rivolge a principianti e a chiunque voglia confrontarsi e migliorare le proprie conoscenze. L’obiettivo è di illustrare i principi e gli elementi base della fotografia, dei suoi strumenti e delle principali tecniche fotografiche.
Programma 
Verranno trattati i seguenti argomenti
Principi base: luce – composizione – macchine fotografiche.
Come utilizzare al meglio la fotocamera: attrezzatura e manutenzione; funzioni delle fotocamere e  tipologie di obiettivi. Trucchi e consigli.
Bianco e nero – colore: cosa scegliere e perché.
Le vie della fotografia: Ritratti – Paesaggi – Architetture – Fotogiornalismo – Progetti fotografici e location
Metodo
Sarà adottato un metodo applicativo e pratico, ricco di esempi concreti analizzati in classe ed esercitazioni che verranno svolte con uscite di gruppo.
Il laboratorio si dividerà in quattro lezioni che si terranno il sabato pomeriggio a partire dal mese di Maggio, con date e orario da concordare. Le lezioni avranno una durata di circa due ore – escluse domande e richieste di chiarimenti.
Aula e requisiti per i partecipanti
Le lezioni si terranno presso HUB, in via Serra 2/G
Il corso sarà operativo con un minimo di cinque iscritti ed un massimo di dieci.
Bisogna essere muniti di fotocamera digitale o reflex.
Docente
Salvatore Di Cara
Contributo di partecipazione

– Il laboratorio nello spirito di Comuni mappe è interamente gratuito, si chiederà solo un contributo totale di 10 euro per le spese di utilizzo degli spazi (è possibile rateizzare il contributo).

Sono per il momento chiuse le iscrizioni.

Contatti

comunimappe@gmail.com

salvatoredicara2011@hotmail.it




IL PASSATO CHE RITORNA COME FARSA

Stefano Rodotà è stato l’estensore del referendum sull’acqua. Senza la necessità di fare troppi passaggi logici si può dire che 26 milioni di italiani hanno approvato l’enunciato da lui elaborato per esprimere un’opinione di rilevante valore politico. Meglio di così per dare inizio ad un’esperienza democratica partecipata non si poteva avere. Da presidente della Repubblica, senza aspettarsi svolte rivoluzionarie, avrebbe probabilmente dato vita ad una nuova stagione democratica sensibile a istanze decisionali dirette. (Anche lo statuto della nostra associazione si ispira a suggestioni giuridiche di tutela dei beni comuni stilate da Rodotà per il teatro valle occupato.) Oggi, con la riconferma di Napolitano, questa schiarita istituzionale apparsa per un attimo lascia spazio ad una tetra e grigia nuvolosità diffusa.  

Tanti sono i modi di intendere la democrazia; che non è, sia chiaro, un bene in sé. La democrazia semmai, parafrasando le parole di Simon Weil, può essere un veicolo verso il bene comune, a certe condizioni. Vi sono democrazie che fanno cose immonde (vedi in Palestina), che non per questo diventano accettabili. La democrazia che avrebbe fatto seguito ad una presidenza Rodotà sarebbe indubbiamente stata in grado di stimolare un riavvicinamento dei movimenti, delle opinioni sociali più rappresentative, alla vita politica. Quello che succederà da domani in Italia avrà poco di condiviso con una vastissima opinione pubblica. Ipocritamente si tornerà a parlare di “riavvicinare la gente alla politica”, magari mobilitando i pifferai magici che si spacciano per giornalisti o con provvedimenti di facciata. 

La memoria di quanto successo in questi giorni, destinata a cancellarsi col tempo (questo sperano gli asserragliati nel palazzo – ed ancora saranno chiamati i pifferai a provvedere), bisognerà tenerla viva e farne ricorso per non dimenticare la plastica immagine del terrore transitato nel volto di tutti quei figuri, dirigenti partitici, che si sono per un attimo visti perduti se fosse collassato il pd. Tutto il sistema dei patiti li avrebbe seguiti a ruota, evidenziando dunque che il sistema si regge vicendevolmente: senza il pd non avrebbe retto il pdl, così senza il pdl non esisterebbe il pd (di conseguenza anche monti e lega sarebbero finiti nel tritacarne). Bruciando anche Prodi il pd ha gettato la mascherina: una parte dei deputati (i famosi cento) non potevano accettare nemmeno la figura dell’anti-berlusconi in salsa moderata, figuriamoci Rodotà. Il pd è un partito di ingegneri disegnatori di strategie, travestiti da riformatori, posizionati nelle retroguardie e incaricati di entrare in azione ogni qual volta il sistema va in crisi. Per loro l’ambientalismo, la dignità di chi fatica a campare, la democrazia diretta, i beni comuni, sono opzioni da usare al massimo quando serve (per i grillini Bersani pensava ad un mix di belle intenzioni, magari da buttare sul tappeto e poi lasciarle sciogliere come neve al sole). Anche le primarie le hanno considerate un momento fine a se stesso: mica dopo si prevedeva il persistere di un legame tra elettori ed eletti. Anche lo slogan “Italia bene comune” non era altro che uno schizzo propagandistico, volutamente confuso, di nazionalismo e comunitarismo. 

Ieri, 20 aprile, mentre ri-eleggevano Napolitano, un violento acquazzone con tuoni e fulmini si è abbattuto su Bologna. L’aria adesso si sta schiarendo, i contorni della realtà si definiscono meglio di prima. I grilli canteranno monotoni, rimuginando sugli errori (enormi) commessi.
Le scuole popolari hanno tanto lavoro dinanzi per costruire sapere critico e una nuova schiera di intellettualità diffusa. 

Comune Accademia – Osservatorio sulla democrazia diretta e di base.

RESISTENZA E INDIGNAZIONE



Libera Comune Università Pluriversità Bolognina


PRESENTA:

MERCOLEDI 24 APRILE 2013
DALLE ORE 18,00  ALLE 23,45

HUB – VIA SERRA 2/G – Bologna Bolognina


sera-notte di resistenza

come memoria attiva dei processi di liberazione 
sera-notte di indignazione 
come affermazione di dignità 

PROGRAMMA:
DALLE 18 ALLE 20 
LABORATORIO POETICO E FILOSOFICO 
CONVERSAZIONE CON IL POETA CARLO BORDINI:
RESISTERE ED INDIGNARSI  IERI OGGI E DOMANI
“…e se una cosa Carlo Bordini non prevede, questa è la sua scrittura; non ne calcola i benefici istituzionali. E’ il sentirsi scritto (sono scritto). 
esso si coniuga con una irresistibile pulsione autobiografica; i poemetti di Bordini hanno infatti un avvio ed un decorso autobiografico fino al rischio del dolore.
bordini ha sempre cercato dentro ed intorno a sé ..come un moralista, uno spietato  ..cronista del vero.”   
 F. Pontorno 
“un poeta ed un intellettuale che trovi sempre a fianco a te nell’indignazione nell’affermazione delle dignità delle minoranze come delle moltitudini nelle strade e nella reti” . 
P. de March

…a seguire lettura dal poemetto “ma noi mangiamo carne”
Con i Poet*
Pino de March ed Antonella Laterza
(Libera Comune università pluriversità bolognina)
con le poete e i poeti:

Loredana Magazzeni
Serenella Gatti Linares 
Vincenzo Bagnoli
Michela Tura
Anna Zolli 
Leila Falà
per il Gruppo donne e poesia ’98
ed altri/altre 
DALLE 20 ALLE 22 
MUSICA – CIBI AUTO-PRODOTTI – VINI BIOLOGICI 
con STELLA CAPELLINI (musicista e poeta) CANTI POPOLARI E DI RESISTENZA 
DALLE 22 ALLE 23, 45 
BAGLIORI DI RESISTENZA  –  CON POETI POETE E MUSICISTI PARTECIPANTI 
(Se possibile nella piazzetta difronte al teatro Testoni)
PAOLO BOSCO 
– RACCONTO STORICO DELL’ASSALTO DEI FASCISTI A PALAZZO D’ACCURSIO (21 NOVEMBRE 1920)
PINO DE MARCH 
– BIOGRAFIE ANTIFASCISTE: I FRATELLI ROSSELLI
LOREDANA MAGAZZENI 
– AMELIA ROSSELLI, POESIE
MARINELLA AFRICANO 
– LETTERE DELLA RESISTENZA 
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contributi:


Una storia sulle origini del fascismo
Il termine “fascio” aveva un significato importante nel mondo agricolo a cavallo tra otto e novecento, rappresentava una immagine plastica e facilmente intelligibile per le masse contadine analfabete nell’Italia monarchica e liberale. Fascio richiama ad un insieme di steli che proprio nel loro raggruppamento trovano forza e resistenza. L’esempio che veniva proposto nei comizi e nelle adunanze contadine era il seguente: “Prendete un giunco, da solo è debole e si flette facilmente, ma in fascio nessuno può spezzarlo”. Un modo efficace per dire che l’unità fa la forza. Per primi i contadini siciliani ne fecero uso intorno al 1890 in quello che è conosciuto come Il movimento dei fasci siciliani, un movimento di occupazione dei feudi e di mutuo soccorso finalizzato a riscattare millenni di sfruttamento e ingiustizie, in uno spirito genuinamente solidaristico e di ispirazione socialista. I capi del movimento incitavano alla lotta con il detto: “Se divisi siam canaglia stretti in fascio siam potenti.”
Il fascio del 1919/20 ha invece le caratteristiche di una organizzazione militare finalizzata alla difesa degli interessi dei grandi proprietari agricoli del nord Italia. Nasce perché l’aristocrazia proprietaria temeva lo sbilanciamento dello stato verso le rivendicazioni popolari e operaie particolarmente pressanti subito dopo la prima guerra mondiale. In quegli anni la forza proletaria si esprimeva con l’occupazione delle fabbriche e con le agitazioni scaturite dal ritorno dei soldati dal fronte. Il fascismo era dunque già costituito in piccoli nuclei fra i proprietari agrari dell’Alta Italia, che con tale formazione intendevano difendere le loro proprietà dall’invasione dei contadini. Alcuni elementi ex militari, che vedevano con simpatia il costituirsi in fasci delle forze conservatrici, davano volentieri il loro appoggio. Il movimento fascista aveva dunque carattere puramente militare e locale. Erano squadre di aristocratici, di giovani proprietari spinti dall’odio per le masse, timorosi dell’azione del governo che, a loro parere, era incline alla democrazia parlamentare; essi cercavano di avere una forza a propria disposizione da usare contro gli espropri proletari. 
E’ a questo punto che nella grande scena nazionale entra Mussolini.  Agli occhi della borghesia possedeva già un biglietto da visita di tutto rispetto: con il suo giornale aveva appoggiato l’intervento dell’Italia nella guerra, inoltre era stato il protagonista dell’incendio dell’Avanti del 1919. Era nemico dei principali personaggi del movimento socialista, per odio e per febbre di predominio. Nel periodo che precede le elezioni amministrative del 1920 Mussolini e molti rinnegati si orientano decisamente verso la reazione, anzi ne prendono audacemente la direzione politica. Intuiscono che col fascismo avrebbero compiuto la loro ascensione fino ad impossessarsi dello stato. Concepirono il progetto di allargare le basi del fascismo fino a farne una forza politica. Irrobustirono lo squadrismo con l’assoldare elementi violenti anche per specifiche spedizioni, si garantirono l’ascesa con la corruzione e la penetrazione dentro la burocrazia, nei corpi armati, nella giustizia. La borghesia urbana e industriale fu coinvolta nella necessità di organizzare le forze reazionarie e cominciò la tassazione di grosse somme per mettere capitali ingenti a disposizione del nascente fascismo. Da buoni marxisti che applicano all’incontrario le loro competenze seppero muovere le forze reazionarie in modo da polarizzare non solo molti borghesi, ma anche forze proletarie prive di consapevolezza (reduci di guerra, disoccupati ecc.); la base dello squadrismo risultava essere la parte più povera del proletariato, che, come Marx aveva detto, sarebbe stata sempre pronta ad allearsi con la reazione, lasciandosi illudere e ammaliare da promesse vane. 
L’organizzazione originaria era la seguente: alla singola sezione erano iscritti i soci contribuenti, che pagavano una quota fissa mensile e i membri delle squadre d’azione. Il Fascio era diretto da un segretario politico affiancato da un comandante militare dal quale dipendevano i capi delle squadre di azione. Quando occorreva agire le squadre d’azione assoldavano anche altri elementi della malavita, pagandoli profumatamente e utilizzandoli in città diverse da quelle di residenza (ad esempio parecchi malviventi romani hanno fatto gli squadristi in Liguria per periodi più o meno lunghi). La prima importante operazione fascista fu la conquista del basso Po tra il 1920 e il 1921. La scelta dell’Emilia non fu fatta a caso. Impossessarsi dell’Emilia voleva dire colpire uno dei centri più vivaci del socialismo, inoltre permetteva di incunearsi fra il nord e il centro Italia. A Bologna il risentimento degli agrari era più forte che altrove, per il modo violento col quale erano stati colpiti i loro privilegi. Quindi più facili le simpatie borghesi per la repressione violenta. In questo quadro avvennero i fatti di palazzo D’accursio durante i festeggiamenti per l’insediamento della giunta socialista appena eletta. Il programma che i capi della reazione si erano posti era soffocare il socialismo, schiacciare il proletariato, impossessarsi dello Stato. Ma per assolverlo bisognava costruire un organismo militare (le legioni fasciste), coordinare l’azione (il partito fascista), combattere una guerriglia. Tutto ciò causò oltre ventimila morti e migliaia di feriti.
A Bologna gruppi di fascisti minacciarono apertamente di assaltare la camera del lavoro. A difenderla furono raccolti un centinaio di compagni, in parte arrivati in camion da Imola che si asserragliarono dentro armati. Per tre giorni aspettarono eventuali attacchi senza pensare a un servizio di vedette intorno alla sede o nei probabili punti di adunata del fascio. Dirigeva questo gruppo non un capo militare che sentisse tutta la responsabilità dell’azione, ma un deputato, un oratore, affaccendato in mille questioni. Quando poi la difesa armata della camera del lavoro si dimostrò un atto concreto e non sola apparenza, quest’uomo perdette la testa e chiese per telefono l’intervento della questura. I difensori ottennero un primo successo fermando nelle vicinanze della camera del lavoro un tram sul quale scorrazzavano i fascisti. Arrivò infine l’assalto di una pattuglia d’avanguardia fascista, guidata da un oscuro tenente Pappalardo, contro il portone principale ma i compagni li respinsero a colpi di rivoltella. La guardia regia due ore dopo la battaglia circondò l’edificio e iniziò ad arrestare i difensori. 
Alcuni giorni dopo, c’era in programma l’insediamento a palazzo D’accursio del nuovo Consiglio comunale socialista appena eletto, i fascisti dichiararono che lo avrebbero  impedito e diffusero un manifestino nel quale invitavano tutti a starsene a casa. Le sezioni socialiste cittadine allora organizzarono un direttorio per la difesa. Furono portate delle bombe dentro il palazzo, costituite delle squadre di giovani nei quartieri. Ma tutto questo ebbe il difetto dell’improvvisazione. I comandanti non erano degli esperti, né gli uomini ebbero il tempo di esercitarsi. Il piano delle autorità per presidiare la piazza impedì preventivamente l’azione socialista. Alla periferia non fu data alcuna parola d’ordine né fu stabilito alcun collegamento. Appena la prima pattuglia di fascisti arrivati in ordine sparso spezzò i cordoni di cavalleggeri, i socialisti si sbandarono sospinti dalla folla impaurita. Iniziò la sparatoria, anche dall’interno del palazzo partirono colpi d’arma e lanci di bombe a mano. Altri fascisti sopraggiunsero di corsa, inquadrati; infine anche le guardie regie cominciarono il fuoco contro il palazzo. Fu una strage.
Nei giorni seguenti la giunta appena eletta fu sciolta e nominato un prefetto. I socialisti sospesero ogni azione mentre i fascisti imbaldanziti incominciarono la catena di sopraffazioni individuali e le spedizioni punitive, protetti dalla prefettura. Da altre città gruppi di operai chiedevano di essere inviati sul campo della lotta, ma nessuno intendeva coordinare queste forze. Essendosi affermati a Bologna i fascisti si irradiarono nella provincia. Camion carichi d’uomini armati piombavano nei quartieri operai, nei villaggi, specie di notte. Si dividevano in nuclei, incendiavano il circolo, la lega, la cooperativa, uccidevano, ferivano, e fuggivano via subito, tornando alle loro sedi. I proletari mancavano di collegamento, falsi allarmi aumentavano la confusione. Quando i fascisti arrivavano la difesa era impreparata, stanca, insufficiente. 
I fascisti erano strutturati in gruppi di comando e in squadre d’azione, mentre svariati manipoli di uomini assoldati in altre provincie venivano ospitati clandestinamente presso le aziende agrarie; invece i fasci delle città e dei piccoli comuni raccoglievano tutte le forze reazionarie, ne coltivavano i rancori, l’opinione, li indirizzavano contro le organizzazioni operaie e i loro rappresentanti. Avevano costituito un’efficace opera di spionaggio, facevano indagini, segnalavano e anticipavano le mosse degli avversari e davano le dritte alle squadre di fascisti nelle spedizioni punitive. Il tipo d’azione, una volta individuato l’obiettivo e stabilita la capacità di resistenza possibile, consisteva nel piombarvi sopra con forze adeguate a vincere. Per l’operazione gli squadristi avevano armi, munizioni, camion spesso fornite sottomano dalle autorità militari. Se una improvvisa resistenza li sbaragliava, allora sopravveniva la spedizione più grossa, nei casi peggiori intervenivano anche le forze dello Stato.
Da Bologna l’azione fascista si irradiò nel Ferrarese attraverso una propaganda intensa fatta con mezzi vastissimi. Ben presto fu toccata anche la Toscana. A Ferrara i socialisti organizzarono la difesa presidiando i locali pubblici; respinsero in un primo tempo l’assalto fascista alla camera del lavoro, al palazzo della giunta, al comune socialista. L’azione di resistenza sorprese i fascisti, la loro disfatta ne diminuì l’aggressività. In sostegno arrivò l’azione del Governo che impose il disarmo delle due provincie emiliane. S’intende che a deporre le armi fu il solo proletariato. Lo Stato sequestrò in tal modo 5000 fucili, migliaia di rivoltelle, pugnali, baionette, munizioni, bombe, proiettili in grande quantità. Mentre i fascisti conservarono i loro depositi nelle ville dei signori, nei magazzini militari, aumentando così in prepotenza. La loro forza, essendo oramai fatta di molte migliaia di uomini, ringalluzzì i borghesi e coloro che amano stare dalla parte dei vincenti. 
Mentre i maggiorenti del partito socialista rimanevano smarriti, piccoli nuclei di eroici operai, poggiandosi sui centri non attaccati ancora dal fascismo, malgrado i bandi, le morti, gli arresti, le condanne, iniziarono, sotto il vessillo del partito comunista, una audace guerriglia. Nella combattiva Imola gli elementi più agguerriti  si erano costituiti in frazione comunista combattente. I gruppi operai, come norma di combattimento, seguivano la più elementare: contrattaccare i fascisti quando questi si presentavano nei quartieri. I fascisti invece compivano le loro puntate come le pattuglie d’assalto d’un esercito ben organizzato. Lo Stato, che aveva il grosso nei reparti di carabinieri e nelle guardie regie ammassate nei punti strategici, non appena le zuffe si generalizzavano o quando la massa operaia si rivelava combattiva,  intervenivano sferrando attacchi in appoggio dei fascisti.
Dal 1922 la partita si chiude, il ventennio si apre. Lo stato fascista metterà da questo momento le catene ad ogni sogno… ed i sonni si riempiranno di incubi. La storia, come le onde del mare, tornerà a sollevarsi con la lotta di liberazione partigiana… ed ancora la reazione farà stragi; ci sarà la riscossa con la resistenza, il ’48 democristiano, i tentati golpe degli anni ’60 e ’70, le rivolte giovanili dello stesso periodo. Con il dipanarsi di un storia sempre più universale, la reazione tornerà nei panni di Reagan e Margareth Tatcher. L’iper liberismo (reazionario) degli anni ’80 continuerà lo sfruttamento capitalista del lavoro. Lo sbocco finanziario degli anni novanta sposterà lo sfruttamento su un piano virtuale, spersonalizzato, che si abbatte sugli individui sotto le false vesti della libertà di scegliere, in un quadro di precarietà normativizzata.  I partiti di massa e poi quelli delle lobbies nel frattempo si sono inabissati lasciando una realtà che i sociologi definiscono liquida. Una società in cui la comunicazione diffusa rischia di assomigliare ad una censura gestita scientificamente. Rimane comunque il compito di promuovere liberazione, di increspare questa società liquida, evitando che diventi un putrido stagno… Necessita provocare ancora altre mille e mille onde.
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COMUNE ACCADEMIA – DIPARTIMENTO DELLA TERRA


Nel costituire il Dipartimento della Terra abbiamo operato in piena sintonia con lo spirito dell’associazione Comunimappe. Nelle intenzioni sociali c’è al primo posto il voler intraprendere qualsiasi indirizzo del sapere umano in maniera critica. Numerosi sono gli ambiti che appartengono al sapere della terra. La terra è uno degli elementi fondamentali identificati fin dall’antichità per iniziare a fare ordine, a fare chiarezza nella nostra nebbia esistenziale. Partire dalla terra è dunque garanzia di scoperte utili in tutti i sensi, dalla naturale garanzia di sopravvivenza al benessere psico-fisico frutto della conoscenza degli organismi viventi nella loro complessità.

Dalla coltivazione di un orto non si ricavano solo ortaggi, vi si possono trovare in aggiunta alcune risposte a domande che per disabitudine non vengono più poste. Come ad esempio una riflessione sul tempo, oppure questo strano fenomeno del creare dal nulla (apparentemente) cioè vita dalla vita; ma la risposta più importante è quella che chiarisce il principio del ciclo chiuso, ovvero l’equilibrio che permette di ottenere un profitto senza intaccare il capitale basico: la terra appunto.

Per ogni operazione nell’orto c’è un tempo giusto. Un tempo dettato dalle stagioni e mediato dalla luna. Assomiglia ai mezzi di trasporto pubblico un tempo sì fatto, sapendo a che ora è la corsa si può partire senza problemi.

Da un semino minuscolo si ricavano pomodori a chili, come è possibile? Si direbbe una creazione dal nulla, una gran bella invenzione che fa ben sperare in un arricchimento facile. Molte le similitudini con la creazione di denaro dal nulla, una tecnica copiata dalla natura e stravolta dall’economia di rapina in cui siamo. Stampare banconote di carta è creare dal nulla, piantare un semino è in realtà avviare il ciclo della vita, dare la scintilla, inseminare la terra. I frutti ricavati (a differenza delle banconote o dei lingotti) vanno consumati, non possono essere nascosti per poi speculare sul loro valore.

Infine il ciclo chiuso è quello che vediamo in funzione nelle foreste vergini. Il terreno si fertilizza con la propria produzione, dentro la rotazione vita /morte. Un vero paradigma filosofico. La natura è il più attrezzato laboratorio chimico, una serie continua di combinazioni garantiscono che nessuno paghi per tutti e che tutti abbiano un vantaggio.

Come ogni Dipartimento che si rispetti anche quello della terra affianca a concetti teorici, filosofici, storici, antropologici, conoscenze pratiche scaturite dall’esperienza. Così finite le piogge invernali, con il primo sole, è stata risvegliata la terra. Cercando di non fare troppo rumore le abbiamo preparato un condotto digerente dove inserire gli scarti vegetali per mettere in pratica il ciclo del nutrimento reciproco. Abbiamo preso un fusto di plastica, lo abbiamo privato del fondo e lo abbiamo messo al centro dell’orto. Riempito di erbacce e scarti vegetali, inumidito e chiuso da un coperchio, il tubo digerente ha iniziato a chiamare gli agenti addetti alla decomposizione per indurli a dividere il tutto negli elementi costitutivi. Sono arrivati puntuali e lavorano incessantemente.
A partire da aprile ci si ritrova tutti i mercoledì e i sabato (dalle sedici in poi) nella zona ortiva di via Erbosa (vicino l’ippodromo). 
Non è richiesta la presenza costante, al nucleo che gestisce il progetto si può aderire in qualsiasi momento scrivendo a: 
comuneaccademia@gmail.com
(Nei post che seguiranno metteremo il programma dettagliato di ogni iniziativa, gli argomenti che porteremo all’attenzione dei soci e i progressi concreti dell’orto).
Nei tempi dei tempi abbiamo umanizzato la natura. Ci siamo distaccati, da lontano l’abbiamo osservato per meglio addomesticarla. Ci siamo liberati dal giogo delle sue energie studiando e ipotizzando formule. Ci siamo ribellati alle sue regole e ne abbiamo create delle nostre, di rimando imponendole anche a lei. Non è stato un processo rapido, anzi, quasi un conflitto tra generazioni, tra madri, padri, figli, popoli, etnie. Sono state fatte tante cose, come armonizzare i fianchi delle colline, prosciugare le acquitrinose pianure, penetrare e disboscare foreste nere; si è dato sfogo a quel bisogno che è laboriosità ma anche follia e iperattività.
Si chiama agricoltura si legge semina, fecondazione assistita, innesto di mucose vegetali, fertilità. Si declina in tutto ciò che produce buoni frutti. La terra chiama a viva voce, inesorabilmente con gravità ci riconduce sempre ad essa; a chi sa ascoltare concede cibo e quiete. Le sue forme sono collirio per gli occhi, i colori luce armonizzata; la qualità dell’aria rinnova i polmoni agevolando lo sforzo necessario. Coltivando la terra si finisce col parlare alle piante, scoprirsi a osservare il cielo e sollecitare piogge e sole. Non è mai uguale al giorno prima un campo; invisibili animaletti nottetempo dissolvono i propri antagonisti, e il vento sposta spore e foglie secche. Piantine d’ogni genere, dalla linfa che risale radici e fusto, traggono crescita.
Dip Ter

UNIVERSIDAD DE LA TIERRA

A Oaxaca, la capitale dello Stato più meridionale del Messico, Gustavo Esteva e Sergio Beltrán hanno fondato un’università piuttosto bizzarra. 
Nella Universidad de la Tierra non ci sono insegnanti né esami, non ci sono programmi da rispettare né libri definiti da leggere. I ragazzi non rivendicano il diritto di studio ma esercitano la libertà di studiare. 
A Unitierra la conoscenza e la vita di ogni giorno non sono due mondi separati e si prova ad andare oltre l’educazione e il suo rito di iniziazione alla società dello sviluppo. Il sapere ha più valore se non viene certificato ma è una libera relazione con il mondo e con gli altri. La costruzione dell’autonomia è un cammino da percorrere. Per questo Unitierra non è un progetto con un piano prestabilito e degli obiettivi ma un processo di liberazione. 

per approfondire il discorso sarà a Bologna il 10 aprile Gustavo Esteva
Xm24, Via Fioravanti 24 
Antistasis. L’Insurrezione in corso

Presentazione del libro omonimo con l’autore, Gustavo Esteva
Crisi sociale e alternative dal basso: difesa del territorio, beni comuni, convivialità. La degenerazione autoritaria del capitalismo, di cui gli Stati-nazione stanno diventando meri esecutori, rimane inalterata dai sempre più vuoti esiti della democrazia elettorale. Dall’America Latina all’Europa, dal movimento No-Tav alle comunità autonome Zapatiste in Messico, la difesa e riscoperta dei commons, gli ambiti di comunità, come spazi di resistenza e insurrezione, anticipa le alternative e le forme possibili della società in divenire.

– Dalle 19.30 – Aperitivo e cena vegetariana.
– 20.30 – Presentazione e incontro
– 22.30 Concerto Benefit : AlphaSud – Musiche popolari di tradizione orale – Giacomo Bertocchi, Clarinetto 
– Giusi Lumare, Percussioni – Michele Murgioni, Basso Tuba – Salvatore Panu, Fisarmonica – Carmine 

Scianguetta, Flauto.

Il ricavato della serata andrà in sostegno alle attività della Universidad de la Tierra de Oaxaca, Mexico. 
(Organizzano: Rete Ivan Illich, Associazione InterCulture)

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Gustavo Esteva, 76 anni, è attivista sociale e “intellettuale deprofessionalizzato” messicano, cofondatore 

dell’Università della Terra di Oaxaca, diffusore del pensiero di Ivan Illich, consulente dell’EZLN nella stesura 

degli Accordi di San Andrés, partecipante nel 2006 nell’assemblea popolare dei popoli di Oaxaca – APPO. 

E’ autore di vari libri e innumerevoli articoli, attento osservatore delle articolazioni assunte dal capitalismo 
contemporaneo in America Latina e nel mondo, interprete della molteplicità di risposte che dal basso, dai 

movimenti sociali, dal mondo indigeno-campesino e dai marginali urbani, oppongono resistenza e costruiscono 

alternative sociali alle relazioni di potere imposte dal mercato e dallo Stato. 

L’Universidad de la Tierra di Oaxaca da 12 anni è uno spazio di apprendimento libero e di produzione 

autonoma di saperi, radicata nei movimenti sociali, nel fermento delle comunità indigene e nei barrios della 

città di Oaxaca. E’ gratuita, non richiede alcun titolo di studio per potervici accedere, non ha insegnanti. Al 

suo interno si impara collettivamente il cammino per la costruzione di alternative politiche e sociali, sia 

attraverso attività pratiche – dalla comunicazione autonoma delle Radio Comunitarie allo sviluppo di tecnologie 

appropriate (bici-macchine, forni solari, bagni secchi) – sia attraverso la riflessione su politica, istituzioni e 

movimenti sociali, in circoli e seminari.


Esteva sarà a Venezia il 4 aprile, a Torino il 5, in Val di Susa il 6 e 7 matt., di nuovo a Torino il 7 sera, a Milano l’8, a 
Padova il 9, a Bologna il 10, a Lucca 11, a Firenze il 12, a Roma il 13 e il 14. 


(programma completo: QUI)

Per approfondimenti:

INTERVISTA A GUSTAVO ESTEVA

Articolo su Università della terra 

MARZO E LE DONNE


Comune Accademia 


PROSSIMI EVENTI (HUB – via Serra, 2 – Bologna) :

Mercoledì 20 marzo (18 – 20)
Donne e poesia 
vita poetica di una poeta donna tra le donne e tra le minorità sociali

Giornata mondiale della poesia con Serenella Gatti Linares (accorda Antonietta Laterza)




Venerdì 22 marzo (19 – 22)

 Ipazia d’alessandria

Incipit: sull’avventura della coscienza (tratto da “Sogni di Ipazia”)

1° atto:  sull’atomo (tratto da “Sogni di Ipazia”)

2° atto: sul messaggio, sul suono, sull’artista  (“tratto da sogni di Ipazia”)

letture a cura del laboratorio poesia e canto sociale

3° atto: Film “Agorà – Ipazia d’alessandria 





Mercoledì 27 marzo (18 – 20)
Relazioni possibili tra generi: alfabeto naturale o carnale 


Nella serata presentazione del libro di poesie di Antonietta Laterza

“Peper mona puppis” poesie erotiche


Alfabeto carnale
ossee consonanti
liquide vocali
vibrazioni
Immagini di visioni autocoscienti
Lungo una strada di vita
auotproduzioni di frammenti ricombinanti carne lettere e suoni
Antonietta Laterza conversa con Pino de March 

di frammentati
ritrovati
erotici alfabeti
sottratti 
alle mute urlate banalizzate trasgressioni dominanti  
click!
L’alfabeto carnale  che si incontra nei testi poetici di Antonietta Laterza
Pepper Mona Puppis
ovvero piccante gnocca (adriatica veneziana signora) escatologica
click!
e tira fuori la
luce
dentro me.
click !
capezzoli
vibranti
click!
di alfabeti in contro tendenza
sotto-testi corpi velati mostrati offerti  sacrificati macellati timbrati esposti
zapping sui tele-schermi e lungo le strade
click!
come uno scoglio
vorrei vedere il mare
click !
sugli altari  muri del vuoto senso  barocco
retoriche secolari  di pubblicità invadente vacuità  novecentesca   
click!
eppure a volte
mi vedo bella
tra i tuoi tubi cromati
click!
Onde quantiche
Capezzoli vibranti
natiche sporgenti
Click!
Un ritrovato toccante alfabeto delle trasgressioni trasgredite
click!
intese vitali
a trasformare
conformismi trasgressivi
 dilatati spalmati prodotti
dai dispositivi spettacolari
ovunque c’è testualità e corpi da marcare e sensare.
Click!
Click!
La foto digitale
Trasfigura
I confini
Del
mio corpo
Click!
è un succedersi di frammentati atti erotici indignati
che esplorano dentro alla catastrofe di senso e di desiderio asservito complice postmoderno
possibili lente esplorazioni corporee del godimento nella insostenibile velocità del desiderio messa in produzione nel tardocapitalismo
click!
Ricerca di un desiderio desiderato
 soggiacente sotto le stratificate colate di immagini murate liquide elettroniche 
click!
Culi
Seni
Gambe
Occhi
catturano sguardi inn-affettivi ossessionati
dalle superfici fisse e mobili
o nei percorsi liberamente coatti della vita immobile e veloce
passeggeri nevrotici stonati depressi
corrono verso nessundove
nessundove si vive intensamente
ancora  click!
click!
capezzoli
vibranti
click!
ombelico
pube
brune superfici
adesso scatto:
click!
autentica Antonietta
precarie esistenze
in cerca di vuoti essenze del superfluo
per affermare attraverso virtualità artificialità
desiderio di vitalità pulsante fluente 
dai social nework
 generazione cq
click!
mi sento attraente
errante, incredibile
come un fulmine
a ciel sereno
click!
filiere e distretti di desideranti oggetti prodotti clonati brevettati
si ammassano nelle nostre città di vetro
clik!
piccola schiava che
mi porta fra la gente
che ci guarda
senza capire
click!
Ma chi ti ha inventato?
Uno/a strizzacervelli
Fuggito/a da Auschwitz?????
Click!
segni singolari di desideri desiderati imprevisti ed imprevedibili
click!
come ti vorrei trasparente
come un desiderio.
Come la libertà.
click!
lo specchio mio interiore
cela
nel pudore
un contatto
con la mia vagina
sempre + vicina
adesso mi riflette
con nitida
veemenza: click!
ti ho stanata!
Click!
Defrag-mmenti di un carme impetuoso
Click!
Tempeste di mari cerebr-o-rmonali
Di Antonietta Laterza
Click!
Alla ricerca di un kamasutra mediterraneo

Conversazione immaginaria e poetica con l’autrice -Pino de March 



SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA








Più che un’indicazione di governo con il voto gli italiani hanno espresso la volontà di autogovernarsi. Come se il potere pubblico sia stato tolto a chi lo possedeva (i partiti) per consegnarlo al controllo diretto e a coloro che di questo controllo si sono fatti portavoce.

Nella nuova realtà creatasi dopo il voto in Italia sembra ci siano le condizioni per sperimentare una qualche forma di democrazia diretta. Mai come questa volta tante persone comuni sono state elette in parlamento, nonostante una legge elettorale dove è totale il controllo dei partiti sui candidati, anzi forse proprio in risposta ad essa, sia il pd (non per vocazione ma per marketing) che 5 Stelle hanno promosso la selezione dei candidati a partire dai territori.

Come ulteriore evoluzione, la rete potrebbe permettere la realizzazione di un canale per quel rapporto, quella corrispondenza, tra società e nuovi eletti nelle camere.  Già adesso è possibile facilmente entrare in contatto con loro tramite i profili pubblici.

Si tratta dunque di mettere in essere una intellettualità organica, sociale, popolare, che dialoghi con quei nuovi parlamentari che il 15 marzo si insedieranno. Oggi non è molto difficile fare leva su alcuni argomenti che limitino, per quanto possibile, la dipendenza dei parlamentari dai propri partiti di riferimento. Non si tratta di fare richieste o pressioni, ma chiedere loro il rispetto anzitutto del vincolo di lavorare per il bene e l’interesse generale. Certo sono parole generiche, ma chiare. Come chiare sono alcune parole della Costituzione. Come quelle che dicono: «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.» (titolo IV, art. 50). Sempre della Costituzione non va dimenticato l’articolo 71 : «L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». L’identificazione dell’interesse generale potrebbe avvenire regolando al meglio lo strumento referendario per poi utilizzarlo per temi come l’ambiente, la scuola, alcuni beni fondamentali che chiamiamo comuni etc.

Se le elezioni sono generalmente un gioco che dura poco, perché sostanzialmente si chiede di mettere una croce e poi tornarsene a casa, oggi ci sono le condizioni perché questo non avvenga, perché la parte attiva della società apra e mantenga viva la corrispondenza con i parlamentari. Quelli che vogliono starci, almeno. 

Ma serve un linguaggio chiaro e un sistema informativo libero, che non veda attori predominanti che attuano un sistematico inquinamento informativo. Serve una regolamentazione del flusso comunicativo tra i due estremi: gli eletti e gli elettori. Sia i parlamentari che la società attiva devono comunicare in maniera efficace, sta in questo punto preciso la possibilità che si accenda la funzionalità della democrazia diretta.

Deputati e senatori disposti a lavorare con questo spirito, attuando un comportamento pubblico e inter-diretto con la società, non sarebbero lasciati soli, isolati e dunque raggiungibili dalle sirene dei corruttori. La parte di parlamento pulita renderebbe più visibile quella parte lercia e portatrice di interessi di parte, di privilegi oramai insopportabili.

In regime di democrazia diretta bisogna limitarsi a provvedimenti strutturali, demandando l’ordinaria amministrazione al Governo. Governo che giustamente non può non avere la fiducia, ma che può anche non avere la pretesa di essere il protagonista unico della ristrutturazione dello Stato e dell’indirizzo economico generale. D’altra parte si dice “potere esecutivo”, cioè esecutore di provvedimenti che altri hanno costituito (il parlamento).

Lasciamo correre per un attimo la fantasia: come lo immaginate voi il dialogo costante tra chi “dentro” vota i provvedimenti e le leggi mentre “fuori” una vasta platea di associazioni, blog, appelli correlati da firme e quant’altro, modulano un vasto dibattito sociale?

Democrazia rappresentativa significa comunicazione di massa unidirezionale, dal vertice alla base, come ci insegna tutta  la storia del Novecento. Mentre democrazia diretta significa comunicazione orizzontale e finalizzata non a convincere ma a permettere di decidere. 

La democrazia diretta è certamente di difficile attuazione, per riuscire deve tener presente le elaborazioni che arrivano dai movimenti sociali, dai forum di discussione dove i temi vengono affrontati con il dialogo più che attraverso votazioni a maggioranza. Le tecnologie possono facilitare ma anche ostacolare un progetto di democrazia diretta, i quanto non sempre la regola “una testa un voto” è il migliore dei sistemi possibili:  chi organizza al meglio l’esposizione di un argomento, anche se può non essere la soluzione migliore, può avere il maggior consenso. Dunque l’abitudine a documentarsi dovrebbe diventare la norma principale.

Serve uno sforzo collettivo, con anche risorse organizzative prelevate dalle istituzioni rinnovate. Servono giornali, radio, organizzazioni sociali che lavorino per convocare assemblee pubbliche nel territorio e per creare inchieste da riversare poi su una piattaforma pubblica e progettata per rispondere alla richiesta di facilitare la partecipazione. Lo stesso sito di camera e senato potrebbe, sulla scorta dell’esperienza di radio parlamento, essere la sede dove si depurano, si sintetizzano nel rispetto delle differenze, i temi da trattare e da indirizzare ai parlamenti corredati dagli orientamenti emersi dal basso.

… ma tutto quanto detto fin qui è pura utopia. Naturalmente non interessa a nessuno attuare un simile progetto. Nemmeno a chi, a parole, lo sventola come una bandiera.
Non interessa a Grillo, alle prese con manovre per non farsi schiacciare dal variegato mondo che lui stesso ha messo insieme. Non interessa al pd, da sempre dedito a cucire una sua tela fatta di banche, apparati, consorzi, società per azioni camuffate da cooperative.

Quelle espresse sopra sono fantasie di intellettuali visionari che si immaginano mondi perfettibili (anche il nostro sito lo fa). Infatti questo articolo in buona parte è frutto di un “taglia e cuci” ottenuto prendendo in considerazione diversi articoli di autorevoli personalità del mondo della cultura.

Paolo Bosco

LA SCUOLA ALESSANDRINA DEL IV SEC.


                        Ipazia di Alessandria 


 L’ultima dei filosofi



Una conferenza a cura di Claudia Giordani


Alessandria d’Egitto, fine del IV secolo. L’insegnamento della filosofia, della matematica e dell’astronomia viene faticosamente continuato secondo la tradizione del glorioso Museo della città, fondato quasi 700 anni prima da Tolomeo I e più volte saccheggiato e danneggiato da rivolte interne e guerre esterne. Ipazia, una donna, è rettirice della scuola alessandrina. Un fatto singolare. Non c’è da stupirsi, infatti, che del suo straordinario insegnamento non siano rimasti che pochi indizi. Il suo genio, al pari della sua persona, fu cancellato con violenza e furia ideologica. In una situazione geo-politica che vede il potere dei patriarcati cristiani affermarsi progressivamente da oriente a occidente, che vede scuole di pensiero consolidate perdere il loro prestigio sotto la spinta dell’inarrestabile affermarsi dell’ortodossia cattolica, la figura di Ipazia brilla con la potenza di una luce che ancora vuole illuminare il mondo mentre le tenebre incombono.

I brani tratti dalle fonti antiche sono letti da Barbara Baldini
Conferenza e slides sulla figura di Ipazia di Alessandria. 
Oltre al contesto socio politico, vengono illustrate le principali innovazioni della scienza alessandrina.
– 15 marzo 2013

Dalle ore 19.00

via Luigi Serra – presso HUB – Bologna

– Durante la serata, come sempre aperitivo conviviale – 

PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO

La difficoltà abitativa dovuta alla precarietà e allo sperpero del patrimonio immoiliare pubblico, spesso abbandonato e destinato al degrado, rivela le due facce della stessa medaglia. Da una parte redditi sempre più esili e dall’altra edifici vuoti, palazzi chiusi perché invenduti o in attesa di un compratore che trovi i margini per speculare: La caserma Sani di via Ferrarese a Bologna ne è un esempio.

Le questioni dell’abitare, del consumo di suolo, delle devastazioni ambientali e della privatizzazione/valorizzazione del patrimonio pubblico, al tempo della crisi, si intrecciano tra loro 
in modo indissolubile. Il modello di sviluppo che ha un orizzonte basato sul cemento, sull’azzeramento del welfare e sulle produzioni nocive non può essere ancora tollerato. Una politica di riduzione del danno, semmai praticabile, sarebbe poca cosa nella realtà attuale. Serve una voce collettiva che amplifichi un sentire comune, che dia vigore alla resistenza, di fatto ampia ma frammentata, di coloro che dicono no alla svendita del patrimonio immobiliare comune, no alla speculazione privata quando costruisce fuori dai bisogni reali.