TASSE DEBITI E ALTRE AMENITA’

Perché si pagano le tasse? Esiste una relazione tra tasse e debiti? A queste domande dare una risposta semplice è impossibile. Tante strade si aprono appena si prova a riflettere.
Le tasse si pagano perché in cambio si hanno dei servizi; così viene spiegata comunemente la questione. Con le tasse però si paga anche il debito pubblico, anzi, con l’aria che tira ai nostri giorni la tendenza è quella di pagare prima il debito e poi con le rimanenze far fronte ai servizi. E siccome di soldi c’è ne sono sempre meno, i servizi come istruzione e sanità si riducono qualitativamente. Di questo passo, se la logica ha ancora cittadinanza, e considerando l’accettazione supina della classe dirigente del concetto di debito composto o anatocismo, il destino già segnato è il fallimento sociale. 
Vediamo di dare uno sguardo alle nostre spalle. Nelle città stato dell’antichità si poteva finire facilmente schiavi per debiti. Da uomini liberi a schiavi il passo avveniva perché un individuo incominciava a non avere più la capacità di rimborsare il proprio debito. Ad esempio, un contadino poteva essere costretto da un’annata difficile a chiedere un prestito, se negli anni successivi aveva messi ricche, tutto si risolveva, ma se per qualche motivo si presentavano altre annate dannate dalla siccità, allora era facile entrare nel circuito infernale dei debiti insoluti che aumentano inesorabilmente. Lo stesso può dirsi di un commerciante o di un possidente che per vari motivi si trova in difficoltà e costretto a chiedere un prestito. Tutto ciò, se reiterato e generalizzato per un gran numero di cittadini, poteva portare alla dissoluzione di quella società. Infatti il contadino che si vedeva in difficoltà, difronte alla prospettiva di finire schiavo, preferiva smettere di coltivare, abbandonare in tempo il suo terreno e darsi alla macchia, magari affiliandosi a qualche banda che scorrazzava nelle aree impervie o nelle foreste, la conseguenza era che aumentavano i campi incolti. Il passaggio dalla civiltà alla barbarie in questo caso, se la faccenda dei debiti diventava generalizzata, era inevitabile. Aumentando il numero di cittadini che finivano schiavi e incrementandosi il numero di bande dedite al delitto e alla rapina, non poteva che aversi il disfacimento di quello che con molta fantasia è stato chiamato “contratto sociale”. La soluzione era quella di “metterci una pietra sopra”; periodicamente i debiti dei privati venivano azzerati, così molti briganti per necessità potevano tornare alle loro campagne e coltivarle, con il vantaggio per la collettività e la sola perdita di un singolo usuraio.

Nel passato, rimaniamo sul generico e ipotizziamo solo un’epoca grosso modo contemporanea alla storia di Roma (700 a.c. – 400 d.c.), per costituire e mantenere un esercito vi erano enormi difficoltà. Per potersi permettere un esercito, cioè avere a disposizione ad esempio ventimila uomini armati, ad un monarca era necessario destinare almeno altrettanti occupati al loro mantenimento. Diversamente un esercito poteva ripagarsi e dunque riprodursi con il diritto di saccheggio concesso a loro da chi li assoldava. Ma il saccheggio, a parte le violenze e gli stupri e l’immediato banchetto successivo alla battaglia, voleva dire portarsi dietro animali e cose piuttosto ingombranti; a meno che non si trattasse di metalli ed oggetti preziosi. Vi era un modo molto semplice per ovviare a queste difficoltà: pagare un esercito di mercenari direttamente con una moneta con il conio del re. Il sistema trovava il suo equilibrio nel momento che quest’ultimo accettava la moneta come modalità per pagare le tasse; questo permetteva al re di stipendiare l’esercito che a sua volta poteva rifornirsi tranquillamente e senza altre questioni logistiche di tutto il necessario dalla popolazione. Cosa ci dice questo? Che emettendo una moneta e accettandola come pagamento delle tasse era possibile costituire un esercito. La forma primordiale dello stato si completava in un potere in mano a pochi, un esercito e un territorio sottoposto all’autorità (ma anche alla protezione). Inoltre, e non è secondario, si avviava una forma di mercato, dove tutti, e non solo gli stipendiati militari, si scambiavano merci e servizi con la stessa moneta circolante. Forse il re non aveva pensato a questa seconda conseguenza, ma ciò non significa nulla. Le faccende che noi consideriamo storiche, in fondo, sembra che siano frutto di un misto di casualità e contingenza; si mischia sempre, nelle dinamiche umane, un poco di caos con la determinazione di qualcuno. Quello che poi avviene a volte è prevedibile, a volte no.
Supponiamo che in un territorio vi sia uno stato un tantino assente (tanto per rendere più credibile il tutto immaginiamo un’isola di forma triangolare) dove alcuni, che si sono costituiti in gruppo e sono disposti ad usare la forza, impongano il pagamento di un pizzo. Questi signori del pizzo, con la ricchezza accumulata dovranno pur fare qualcosa, anche se inizieranno con il migliorare la propria qualità della vita, facendosi costruire piscine e carrozze, avranno comunque redistribuito quanto estorto alla collettività ad artigiani e portatori d’acqua. Avranno inoltre questi signori la necessità di reperire gli artigiani competenti se non ci sono in loco. Forse dovranno mandare i loro figli a studiare, per poi erigere scuole dove formare quelli che dovranno costruire gli oggetti e quanto serve perché sia resa la loro esistenza gradevole. In tutti questi casi avranno comunque stimolato la nascita di un mercato, avranno acceso il motore che strapperà dalla tendenziale inerzia gli individui. 
Può sembrare questo un discorso che legittima le associazioni malavitose e sminuisce l’autonoma capacità degli individui di intraprendere iniziative che migliorino se stessi e la collettività. Oppure si può cogliere in quanto detto una sorta di genesi, un possibile inizio di una qualsiasi entità statuale. In questo caso dovrebbe dedursi che gli stati possono anche nascere a partire da un gruppo malavitoso. Vi è pure un’altra faccia della medaglia:  i soldi accumulati col pizzo potranno essere dati in prestito; la forza del gruppo, la possibilità di riscuotere il debito in ogni caso, renderà facile avere il prestito perché a garantire non ci sarà la solvibilità del soggetto ma la certezza di poter disporre della sua vita se necessario. Comunemente ai giorni nostri questo si chiama strozzinaggio, ma il confine tra prestiti “legali” e prestiti “strozzini” non sempre è segnato in maniera netta. E siccome non tutti saranno insolventi o per contro non si potranno uccidere tutti i debitori, bisognerà prima o dopo far girare la ruota e rimettere in piedi un nuovo stato, oppure un esercito o stabilire delle regole per evitare di scivolare nel caos; questa ultima ipotesi oggi, in cui tutto ha dimensione planetaria e non più locale, significherebbe l’auto-distruzione dell’umanità, il suo dissolvimento, anche se individualmente nessuno lo vuole.
Esiste un legame indissolubile tra tasse, debiti, stato e regole condivise. Quando questi elementi incominciano ad avere valori incompatibili o muore la società che li ospita o essi elementi andranno ridefiniti. Una faccenda facile a dirsi ma complessa in misura della complessità in cui si aggroviglia la società.
Paolo Bosco
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P.S. questo articolo è stato scritto grazie ad un debito contratto dall’autore con un libro di David Graeber, Debito, ed. italiana Il Saggiatore. Inoltre piccole quote di debito si possono far risalire a qualche insegnate dei tempi andati, ad altri libri letti, alle discussioni tra adulti ascoltate negli anni dell’adolescenza etc. etc. – Esistono debiti estinguibili, altri, come quelli che costituiscono il nostro bagaglio culturale, non è possibile ripagarli. Essi ci suggeriscono semmai di essere a nostra volta generosi verso gli atri. A dispetto di chi pensa che le relazioni siano delle transazioni contabili, che tutto sia misurabile ed anche che esista una reciprocità perfetta.
IMMAGINE TRATTA DA http://nickcernak.com/2011/10/27/occupy-inspired-art-posters/

RESISTENZA E INDIGNAZIONE



Libera Comune Università Pluriversità Bolognina


PRESENTA:

MERCOLEDI 24 APRILE 2013
DALLE ORE 18,00  ALLE 23,45

HUB – VIA SERRA 2/G – Bologna Bolognina


sera-notte di resistenza

come memoria attiva dei processi di liberazione 
sera-notte di indignazione 
come affermazione di dignità 

PROGRAMMA:
DALLE 18 ALLE 20 
LABORATORIO POETICO E FILOSOFICO 
CONVERSAZIONE CON IL POETA CARLO BORDINI:
RESISTERE ED INDIGNARSI  IERI OGGI E DOMANI
“…e se una cosa Carlo Bordini non prevede, questa è la sua scrittura; non ne calcola i benefici istituzionali. E’ il sentirsi scritto (sono scritto). 
esso si coniuga con una irresistibile pulsione autobiografica; i poemetti di Bordini hanno infatti un avvio ed un decorso autobiografico fino al rischio del dolore.
bordini ha sempre cercato dentro ed intorno a sé ..come un moralista, uno spietato  ..cronista del vero.”   
 F. Pontorno 
“un poeta ed un intellettuale che trovi sempre a fianco a te nell’indignazione nell’affermazione delle dignità delle minoranze come delle moltitudini nelle strade e nella reti” . 
P. de March

…a seguire lettura dal poemetto “ma noi mangiamo carne”
Con i Poet*
Pino de March ed Antonella Laterza
(Libera Comune università pluriversità bolognina)
con le poete e i poeti:

Loredana Magazzeni
Serenella Gatti Linares 
Vincenzo Bagnoli
Michela Tura
Anna Zolli 
Leila Falà
per il Gruppo donne e poesia ’98
ed altri/altre 
DALLE 20 ALLE 22 
MUSICA – CIBI AUTO-PRODOTTI – VINI BIOLOGICI 
con STELLA CAPELLINI (musicista e poeta) CANTI POPOLARI E DI RESISTENZA 
DALLE 22 ALLE 23, 45 
BAGLIORI DI RESISTENZA  –  CON POETI POETE E MUSICISTI PARTECIPANTI 
(Se possibile nella piazzetta difronte al teatro Testoni)
PAOLO BOSCO 
– RACCONTO STORICO DELL’ASSALTO DEI FASCISTI A PALAZZO D’ACCURSIO (21 NOVEMBRE 1920)
PINO DE MARCH 
– BIOGRAFIE ANTIFASCISTE: I FRATELLI ROSSELLI
LOREDANA MAGAZZENI 
– AMELIA ROSSELLI, POESIE
MARINELLA AFRICANO 
– LETTERE DELLA RESISTENZA 
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contributi:


Una storia sulle origini del fascismo
Il termine “fascio” aveva un significato importante nel mondo agricolo a cavallo tra otto e novecento, rappresentava una immagine plastica e facilmente intelligibile per le masse contadine analfabete nell’Italia monarchica e liberale. Fascio richiama ad un insieme di steli che proprio nel loro raggruppamento trovano forza e resistenza. L’esempio che veniva proposto nei comizi e nelle adunanze contadine era il seguente: “Prendete un giunco, da solo è debole e si flette facilmente, ma in fascio nessuno può spezzarlo”. Un modo efficace per dire che l’unità fa la forza. Per primi i contadini siciliani ne fecero uso intorno al 1890 in quello che è conosciuto come Il movimento dei fasci siciliani, un movimento di occupazione dei feudi e di mutuo soccorso finalizzato a riscattare millenni di sfruttamento e ingiustizie, in uno spirito genuinamente solidaristico e di ispirazione socialista. I capi del movimento incitavano alla lotta con il detto: “Se divisi siam canaglia stretti in fascio siam potenti.”
Il fascio del 1919/20 ha invece le caratteristiche di una organizzazione militare finalizzata alla difesa degli interessi dei grandi proprietari agricoli del nord Italia. Nasce perché l’aristocrazia proprietaria temeva lo sbilanciamento dello stato verso le rivendicazioni popolari e operaie particolarmente pressanti subito dopo la prima guerra mondiale. In quegli anni la forza proletaria si esprimeva con l’occupazione delle fabbriche e con le agitazioni scaturite dal ritorno dei soldati dal fronte. Il fascismo era dunque già costituito in piccoli nuclei fra i proprietari agrari dell’Alta Italia, che con tale formazione intendevano difendere le loro proprietà dall’invasione dei contadini. Alcuni elementi ex militari, che vedevano con simpatia il costituirsi in fasci delle forze conservatrici, davano volentieri il loro appoggio. Il movimento fascista aveva dunque carattere puramente militare e locale. Erano squadre di aristocratici, di giovani proprietari spinti dall’odio per le masse, timorosi dell’azione del governo che, a loro parere, era incline alla democrazia parlamentare; essi cercavano di avere una forza a propria disposizione da usare contro gli espropri proletari. 
E’ a questo punto che nella grande scena nazionale entra Mussolini.  Agli occhi della borghesia possedeva già un biglietto da visita di tutto rispetto: con il suo giornale aveva appoggiato l’intervento dell’Italia nella guerra, inoltre era stato il protagonista dell’incendio dell’Avanti del 1919. Era nemico dei principali personaggi del movimento socialista, per odio e per febbre di predominio. Nel periodo che precede le elezioni amministrative del 1920 Mussolini e molti rinnegati si orientano decisamente verso la reazione, anzi ne prendono audacemente la direzione politica. Intuiscono che col fascismo avrebbero compiuto la loro ascensione fino ad impossessarsi dello stato. Concepirono il progetto di allargare le basi del fascismo fino a farne una forza politica. Irrobustirono lo squadrismo con l’assoldare elementi violenti anche per specifiche spedizioni, si garantirono l’ascesa con la corruzione e la penetrazione dentro la burocrazia, nei corpi armati, nella giustizia. La borghesia urbana e industriale fu coinvolta nella necessità di organizzare le forze reazionarie e cominciò la tassazione di grosse somme per mettere capitali ingenti a disposizione del nascente fascismo. Da buoni marxisti che applicano all’incontrario le loro competenze seppero muovere le forze reazionarie in modo da polarizzare non solo molti borghesi, ma anche forze proletarie prive di consapevolezza (reduci di guerra, disoccupati ecc.); la base dello squadrismo risultava essere la parte più povera del proletariato, che, come Marx aveva detto, sarebbe stata sempre pronta ad allearsi con la reazione, lasciandosi illudere e ammaliare da promesse vane. 
L’organizzazione originaria era la seguente: alla singola sezione erano iscritti i soci contribuenti, che pagavano una quota fissa mensile e i membri delle squadre d’azione. Il Fascio era diretto da un segretario politico affiancato da un comandante militare dal quale dipendevano i capi delle squadre di azione. Quando occorreva agire le squadre d’azione assoldavano anche altri elementi della malavita, pagandoli profumatamente e utilizzandoli in città diverse da quelle di residenza (ad esempio parecchi malviventi romani hanno fatto gli squadristi in Liguria per periodi più o meno lunghi). La prima importante operazione fascista fu la conquista del basso Po tra il 1920 e il 1921. La scelta dell’Emilia non fu fatta a caso. Impossessarsi dell’Emilia voleva dire colpire uno dei centri più vivaci del socialismo, inoltre permetteva di incunearsi fra il nord e il centro Italia. A Bologna il risentimento degli agrari era più forte che altrove, per il modo violento col quale erano stati colpiti i loro privilegi. Quindi più facili le simpatie borghesi per la repressione violenta. In questo quadro avvennero i fatti di palazzo D’accursio durante i festeggiamenti per l’insediamento della giunta socialista appena eletta. Il programma che i capi della reazione si erano posti era soffocare il socialismo, schiacciare il proletariato, impossessarsi dello Stato. Ma per assolverlo bisognava costruire un organismo militare (le legioni fasciste), coordinare l’azione (il partito fascista), combattere una guerriglia. Tutto ciò causò oltre ventimila morti e migliaia di feriti.
A Bologna gruppi di fascisti minacciarono apertamente di assaltare la camera del lavoro. A difenderla furono raccolti un centinaio di compagni, in parte arrivati in camion da Imola che si asserragliarono dentro armati. Per tre giorni aspettarono eventuali attacchi senza pensare a un servizio di vedette intorno alla sede o nei probabili punti di adunata del fascio. Dirigeva questo gruppo non un capo militare che sentisse tutta la responsabilità dell’azione, ma un deputato, un oratore, affaccendato in mille questioni. Quando poi la difesa armata della camera del lavoro si dimostrò un atto concreto e non sola apparenza, quest’uomo perdette la testa e chiese per telefono l’intervento della questura. I difensori ottennero un primo successo fermando nelle vicinanze della camera del lavoro un tram sul quale scorrazzavano i fascisti. Arrivò infine l’assalto di una pattuglia d’avanguardia fascista, guidata da un oscuro tenente Pappalardo, contro il portone principale ma i compagni li respinsero a colpi di rivoltella. La guardia regia due ore dopo la battaglia circondò l’edificio e iniziò ad arrestare i difensori. 
Alcuni giorni dopo, c’era in programma l’insediamento a palazzo D’accursio del nuovo Consiglio comunale socialista appena eletto, i fascisti dichiararono che lo avrebbero  impedito e diffusero un manifestino nel quale invitavano tutti a starsene a casa. Le sezioni socialiste cittadine allora organizzarono un direttorio per la difesa. Furono portate delle bombe dentro il palazzo, costituite delle squadre di giovani nei quartieri. Ma tutto questo ebbe il difetto dell’improvvisazione. I comandanti non erano degli esperti, né gli uomini ebbero il tempo di esercitarsi. Il piano delle autorità per presidiare la piazza impedì preventivamente l’azione socialista. Alla periferia non fu data alcuna parola d’ordine né fu stabilito alcun collegamento. Appena la prima pattuglia di fascisti arrivati in ordine sparso spezzò i cordoni di cavalleggeri, i socialisti si sbandarono sospinti dalla folla impaurita. Iniziò la sparatoria, anche dall’interno del palazzo partirono colpi d’arma e lanci di bombe a mano. Altri fascisti sopraggiunsero di corsa, inquadrati; infine anche le guardie regie cominciarono il fuoco contro il palazzo. Fu una strage.
Nei giorni seguenti la giunta appena eletta fu sciolta e nominato un prefetto. I socialisti sospesero ogni azione mentre i fascisti imbaldanziti incominciarono la catena di sopraffazioni individuali e le spedizioni punitive, protetti dalla prefettura. Da altre città gruppi di operai chiedevano di essere inviati sul campo della lotta, ma nessuno intendeva coordinare queste forze. Essendosi affermati a Bologna i fascisti si irradiarono nella provincia. Camion carichi d’uomini armati piombavano nei quartieri operai, nei villaggi, specie di notte. Si dividevano in nuclei, incendiavano il circolo, la lega, la cooperativa, uccidevano, ferivano, e fuggivano via subito, tornando alle loro sedi. I proletari mancavano di collegamento, falsi allarmi aumentavano la confusione. Quando i fascisti arrivavano la difesa era impreparata, stanca, insufficiente. 
I fascisti erano strutturati in gruppi di comando e in squadre d’azione, mentre svariati manipoli di uomini assoldati in altre provincie venivano ospitati clandestinamente presso le aziende agrarie; invece i fasci delle città e dei piccoli comuni raccoglievano tutte le forze reazionarie, ne coltivavano i rancori, l’opinione, li indirizzavano contro le organizzazioni operaie e i loro rappresentanti. Avevano costituito un’efficace opera di spionaggio, facevano indagini, segnalavano e anticipavano le mosse degli avversari e davano le dritte alle squadre di fascisti nelle spedizioni punitive. Il tipo d’azione, una volta individuato l’obiettivo e stabilita la capacità di resistenza possibile, consisteva nel piombarvi sopra con forze adeguate a vincere. Per l’operazione gli squadristi avevano armi, munizioni, camion spesso fornite sottomano dalle autorità militari. Se una improvvisa resistenza li sbaragliava, allora sopravveniva la spedizione più grossa, nei casi peggiori intervenivano anche le forze dello Stato.
Da Bologna l’azione fascista si irradiò nel Ferrarese attraverso una propaganda intensa fatta con mezzi vastissimi. Ben presto fu toccata anche la Toscana. A Ferrara i socialisti organizzarono la difesa presidiando i locali pubblici; respinsero in un primo tempo l’assalto fascista alla camera del lavoro, al palazzo della giunta, al comune socialista. L’azione di resistenza sorprese i fascisti, la loro disfatta ne diminuì l’aggressività. In sostegno arrivò l’azione del Governo che impose il disarmo delle due provincie emiliane. S’intende che a deporre le armi fu il solo proletariato. Lo Stato sequestrò in tal modo 5000 fucili, migliaia di rivoltelle, pugnali, baionette, munizioni, bombe, proiettili in grande quantità. Mentre i fascisti conservarono i loro depositi nelle ville dei signori, nei magazzini militari, aumentando così in prepotenza. La loro forza, essendo oramai fatta di molte migliaia di uomini, ringalluzzì i borghesi e coloro che amano stare dalla parte dei vincenti. 
Mentre i maggiorenti del partito socialista rimanevano smarriti, piccoli nuclei di eroici operai, poggiandosi sui centri non attaccati ancora dal fascismo, malgrado i bandi, le morti, gli arresti, le condanne, iniziarono, sotto il vessillo del partito comunista, una audace guerriglia. Nella combattiva Imola gli elementi più agguerriti  si erano costituiti in frazione comunista combattente. I gruppi operai, come norma di combattimento, seguivano la più elementare: contrattaccare i fascisti quando questi si presentavano nei quartieri. I fascisti invece compivano le loro puntate come le pattuglie d’assalto d’un esercito ben organizzato. Lo Stato, che aveva il grosso nei reparti di carabinieri e nelle guardie regie ammassate nei punti strategici, non appena le zuffe si generalizzavano o quando la massa operaia si rivelava combattiva,  intervenivano sferrando attacchi in appoggio dei fascisti.
Dal 1922 la partita si chiude, il ventennio si apre. Lo stato fascista metterà da questo momento le catene ad ogni sogno… ed i sonni si riempiranno di incubi. La storia, come le onde del mare, tornerà a sollevarsi con la lotta di liberazione partigiana… ed ancora la reazione farà stragi; ci sarà la riscossa con la resistenza, il ’48 democristiano, i tentati golpe degli anni ’60 e ’70, le rivolte giovanili dello stesso periodo. Con il dipanarsi di un storia sempre più universale, la reazione tornerà nei panni di Reagan e Margareth Tatcher. L’iper liberismo (reazionario) degli anni ’80 continuerà lo sfruttamento capitalista del lavoro. Lo sbocco finanziario degli anni novanta sposterà lo sfruttamento su un piano virtuale, spersonalizzato, che si abbatte sugli individui sotto le false vesti della libertà di scegliere, in un quadro di precarietà normativizzata.  I partiti di massa e poi quelli delle lobbies nel frattempo si sono inabissati lasciando una realtà che i sociologi definiscono liquida. Una società in cui la comunicazione diffusa rischia di assomigliare ad una censura gestita scientificamente. Rimane comunque il compito di promuovere liberazione, di increspare questa società liquida, evitando che diventi un putrido stagno… Necessita provocare ancora altre mille e mille onde.
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IPAZIA E LE DONNE SAGGE O STREGHE

8 marzo 2013



Serata stellata e simposio filosofico-femminista e storico culturale 
Per continuare a “a  frugare tra le stelle”  con Ipazia e le donne sagge o streghe.


Dalle ore 19 alle 23

Nella sede di Comuni Mappe – presso HUB, via Luigi Serra, Bologna, Bolognina.

1° atto: conversazione  filosofica e storico culturale “sul pensiero  filosofico  neoplatonico e l’attività scientifica di Ipazia d’Alessandria”  
con  Pino de March e Glauco Miranda

2° atto: presentazione  “dell’immaginario e dell’esperienza delle donne sagge o streghe  in Europa” 
con Sandra Schiassi

3° atto: presentazione documento visivo sulla “genesi del movimento femminista degli anni 70 “ 
con Antonietta Laterza

Durante la serata cena sostenibile con vini dei “campi aperti” o “genuino clandestino”
Ipazia d’Alessandria un’insegnamento contro il fondamentalismo e la misogenia

L’8 marzo 415 dell’era nuova,  al tempo dell’imperatore fondamentista cristiano Teodosio, una scienziata ed una  filosofa della Scuola neoplatonica di Alessandria d’Egitto, viene rapita ed assassinata da fanatici monaci parabolani al servizio del vescovo Cirillo della città di Alessandria (oggi San Cirillo di Costantinopoli). Le fonti storiche ricordano la sua morte per l’efferatezza con cui è stata compiuta: le furono strappati gli occhi con gusci di conchiglie affilatissimi, per aver osato come donna ed astronoma frugato nei cieli –la casa di Dio-, fu scorticata e tagliata a pezzi perché il suo corpo-sapere fosse una volta per sempre disperso ed incomponibile, e alla fine bruciata per disperdere ogni traccia.

 “…fu trucidata dai cristiani in  quanto  irriducibile alle pretese della nuova religione (fondamentalista cristiana) che chiedeva sottomissione, obbedienza cieca , rinuncia alla libertà di pensiero (alle donne in prima istanza e poi anche a tutti gli altri). Insieme a lei, in nome di Cristo e con il beneplacito dell’imperatore  romano (Teodosio) venne distrutta la biblioteca d’Alessandria,  la più grande del mondo antico, di cui Ipazia, era diventata Rettrice dopo la morte del padre, Il matematico Teone.”
“ I monaci parabolani non erano una setta di  fanatici cristiani . Era un’associazione creata dallo zio di Cirillo, Teofilo; nata con l’apparente scopo di aiutare le popolazioni in caso disastri naturali, ma che in realtà erano come le SS naziste o come le squadraccie fasciste: 600 monaci-assassini al servizio del  vescovo, che ammazzavano dietro ordine del loro capo, il vescovo patriarca d’Alessandria d’Egitto Cirillo.”
1 Note storiche culturali : materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il manifesto  10-4-2010                 
“Ipazia  insegnò filosofia neoplatonica a cristiani e pagani, fece numerose scoperte nel campo della matematica e fece conoscere ai suoi allievi le opere di Archimede, Diofanto ed Euclide. “Ipazia era una scienziata di grande levatura, ma non un’eccezione in Alessandria d’Egitto e in quell’epoca fu l’ultima filosofa-scienziata  della Scuola Alessandrina, della prima per caratteristiche università  al mondo (pluralità di saperi ricercati e trasmessi), un’università durata per quasi 800 anni….”
2 Nota storica culturale : materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il Manifesto  10-4-2010
“L’imperatore Teodosio aveva emanato un editto dopo l’altro, proibendo tutte le religioni che non fossero quella cristiana, pena la morte; dando l’ordine di bruciare tutti i tempii pagani, le sinagoghe ebraiche, di chiudere i Misteri Elusini e le Olimpiadi.  Prima di fare tutto questo,  Ambrogio vescovo di Milano, ispiratore e consigliere dei vari editti imperiali, gli aveva ordinato di bruciare i luoghi più pericolosi al mondo: le biblioteche! .  E quella di Alessandria per prima;  quella di Alessandria d’Egitto era una biblioteca rivoluzionaria; c’erano 700.000 volumi di cui 400.000 originali, ed una biblioteca aperta non solo agli studiosi  ma a tutta la gente, al popolo! “
“Ad alessandria d’Egitto … c’erano gli studi più avvanzati sul corpo umano, sulla botanica, fisica, chimica, astronomia, meccanica, filosofia, musica, e nella biblioteca, a disposizione di ogni studioso  o cittadino, c’era tutto lo sibile umano. Ipazia inoltre aveva creato anche strumenti utili, come l’aerometro, l’idroscopio,  l’astrolabio, per trasferire la teoria nella scienza sperimentale”
3 Note storiche culturali: materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il Manifesto  10-4-2010
L’impero romano decadente e la chiesa cattolica nascente
“ l’impero romano morente tentò di salvarsi afferrandosi alla chiesa cattolica nascente, ma per la sfortuna dell’umanità intera- proprio in quelli anni vissero ed operarono cinque abilissimi e spietati uomini politici, tutti accomunati da una misogenia radicale, quasi tutti futuri santi e padri della chiesa: Ambrogio a Milano, Agostino ad Ippona e Cartagine, Teofilo e Cirillo ad Alessandria, la terra più difficile da conquistare per la chiesa cattolica, città multietinica, multiculturale, multireligiosa, dove regnavano libertà inimmaginabili a quell’epoca, di conseguenza l’impero romano, che ormai seguiva fedelmente le scelte dettate dalla chiesa, tolse le indennità ed immunità all’unica comunità che poteva contrastare culturalmente Teofilo e Cirillo, la scuola di Ipazia. Il prefetto agusteo Oreste stimava molto la scienziata Ipazia, ed aveva intuito che Cirillo aveva la possibilità di annettersi l’intero Egitto in quanto poteva comandare 12000 monaci, più i fedelissimi  600 monaci-assassini, i parabolani. Chiese al reggente dell’imperatore romano d’Oriente, Antemio, in Costantinopoli,  di ridare subito indennità ed immunità ad Ipazia e alla sua scuola. Antemio capì e la attuò. …questa fu la goccia che fece traboccare il vaso del vescovo Cirillo:  ogni giorno cominciò a predicare contro quella donna  che non smetteva di dedicarsi ai numeri, alla musica e agli astrolabi: una strega!   E così Pietro il Lettore, il capo deio monaci-assassini, amico intimo del vescovo Cirillo….alla testa dei suoi sgerri aspettarono Ipazia (fuori dalla sua scuola),  l’afferrarono, la trascianarono nella nuova cattedrale cristiana del Cesareo.  Pietro  il Lettore, la denudò, le cavò gli occhi che gettò sull’altare di marmo bianco e poi la dette in pasto ai parabolani che la fecero a pezzi con dei gusci di conchilie affilate, poi misero i  suoi resti in alcuni sacchi di iuta e li trrascinarono per la città, fino al Cinerone, dove li bruciarono assieme alla spazzatura, urlando, chiamando Ipazia col nome con cui Agostino d’Ippona definiva le donne: “immondizie”.
Era l’8 marzo del 415 dell’era nuova “ma  non fu massacrata solo una grande scienziata.  Furono cacciati, esiliati ed uccisi anche quasi tutti gli ebrei, pagani, novaziani di Alessandria, furono fatti sparire tutti gli allievi di Ipazia, fu bruciata la biblioteca più grande del mondo antico assieme a tutte le altre di: Pella, Atene, Antiochia, Efeso, Pergamo. Ebbe inizio l’oscurantismo che fece precipitare il mon do nel buio.  Lo storico Gibbon in “declino e caduta dell’impero romano”, definì questa macchia “incacellabile” nel cristianesimo”.
4 Note storiche e culturali: materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il Manifesto  10-4-2010
Fondamentalismo e misogenia dei padri della chiesa
Fondamentalismo cristiano non è legato solo alla misogenia di un imperatore e di un vescovo, ma fu alimentato dalle scritture e pensieri di altri padri della chiesa:
S. Agostino, dottore della chiesa sostenne che:
 “la donna è un animale né saldo né costante; è maligna e mira a umiliare il marito, è piena di cattiveria e principio di ogni lite e guerra, via e cammino di tutte le iniquità; di lei si dubita che abbia un anima.”
S. Tommaso d’Aquino, dottore della chiesa e patrono delle Università Cattoliche oltre che inventore della seconda scolastica quella aristotelica,  non fu più leggero nei giudizii sulle donne di quello che è stato Agostino:
“la donna è un errore della natura, con la sua eccessiva secrezione di liquidi e la sua bassa temperatura essa è fisicamente e spiritualmente inferiore; è una specie di uomo mutilato, fallito , e mal riuscito; la piena realizzazione della specie umana è costituita solo dall’uomo.”
Di opinioni non discordi sulle donne un altro dottore della chiesa Sant’alberto Magno:
“il seme maschile fa nascere forme perfette, ossia, ma se per  qualche avversità esso si guasta, allora fa nascere femmine… perché nel coito c’è solo deformità, turpitudine, immondizia, ribrezzo. “
Ma tra tanto fondamentalismo e  misogenia cristiana si distingue il vescovo Sinesio, allievo di Ipazia, che documenta la sua persecuzione.
Sinesio una vita fondata sulla ragione
“A Sinesio dobbiamo innanzitutto riconoscenza per le lettere che lui scrisse ad Ipazia, fra i documenti più importanti che la storia ci ha tramandato sulla vita e sul pensiero della rande scienziata alessandrina; Sinesio fu allievo eccezionale di Ipazia, scelse di accettare la carica di vescovo di Cirene per motivi politici (per contrastare il fondamentalismo e la misogenia degli altri padri cristiani) … ma a Teofilo e a Cirillo disse che lui, non avrebbe mai rinunciato alla moglie e ai filgi, che non avrebbe mai tradito l’insegnamento più prezioso che Ipazia gli aveva trasmesso: la sua vita fondata sulla ragione! Che lui si abbracciava il cristianesimo, ma che mai nessuno gli avrebbe fatto credere alla fiaba della resurrezizone di Cristo!”
4: Note storiche e culturali: materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il Manifesto  10-4-2010
Le scuse di  Papa  Wojtila e  della chiesa contemporanea 
“Papa Wojtila chiese ‘scusa‘ solamente per ‘alcuni  figli della Chiesa‘ che commisero dei gravi errori. Papa Umberto VII e il suo braccio destro cardinal Bellarmino, che condannò al rogo Giordano Bruno e all’abiura Galileo, non erano dei figli della Chiesa, erano la Chiesa! Il Papa chiese perdono a Dio, non alle vittime di tanti roghi e genocidi, e solo per gli ‘errori’  commessi nel secondo millennio: quelli del primo, fra cui il massacro di Ipazia e di tutta la comunità pagana ed ebraica di Alessandria d’Egitto, per lui non contano.  E poi per quanto riguarda la pedofilia di cui è coinvolto il Vaticano, la risposta di Ratzinger : “è semplice chiacchericcio! Non  ci faremmo intimidire.”
5: Note storiche e culturali: materiale tratto  da un  intervista di Massimo di Teo ad Adriano Petta – su Alias il Manifesto  10-4-2010
                 
E  mai più nessuna donna avrebbe dovuto frugare tra le stelle”  (…. )
La sua morte cruenta neil corso dei secoli è diventata il simbolo delle persecuzioni religiose cristiane; e a queste persecuzioni seguirono altre, quelle delle donne sagge definite malvagiamente streghe nelle piazze e cattedrali d’Europa.                                        
Le streghe (o donne sagge)
“ la caccia alle streghe imperversò in tutta l’Europa cristiana  (cattolica e poi protestante) dal XIII al XVIII secolo. Iniziata nel 1258 con una bolla del Papa alessandro IV ,  si promulgò (senza sospensione temporanea  alcuna) fino al 1728 quando l’ultima volta in Europa una strega venne bruciata . cinque secoli che vedono il passaggio dal Medioevo all’età moderna, dal feudalesimo alle monarchie assolute, dall’aristotelismo scolastico all’illuminsimo; ma le persecuzioni contro le streghe, contro le donne sagge persiste identica. Mentre nelle corti italiane e quelle francesi, poi nei salotti, si disputa di arte, amore, cultura e libertà, nelle campagne si scatena la peresecuzione contro chi osa ribellarsi; coloro che, fedeli ad un patrimonio culturale antico, rifiutano l’ingerenza dell’autorità ecclesiastica sono arse vive a migliaia suile pubbliche piazze. E’ interessante notare che la Chiesa dei primi cristiani di fronte alle pratiche di magia e ai riti rivolti alle divinità pagane, non asume un atteggiamento di aperta persecuzione, bensì si limita a dichiarare falsi ed illusòri i prodigi stregoneschi ed eretico chi vi crede: ammettere l’esistenza di questi fenomeni, sia pure per combatterli, avrebbe significato dar loro una specie di avallo. Ma di fronte al loro persistere Sant’Agostino dichiara di credere nell’esistenza della stregoneria, pur considerando di natura psichica manifestazioni quali metamorfosi, levitazione… si giunge quindi alla bolla del 1258 con cui si considera eretico chi non crede all’effettiva esistenza dei fenomeni di stregoneria, ritenuti opera del demonio.  Ma occorre subito sottolineare  un punto: molto rara è la figura dello stregone: un vescovo italiano del 1600 arriverà a proclamare che ogni mago o negromante si trovano 10 000 streghe!  La stregoneria è considerata ed è un affare preminentemente di donne, non solo, ma si arriva perfino ad affermare che il nascere3 femmina predispone  a diventare strega. D’altra parte mettere in relazione il fenomeno della caccia alle streghe solo con la persecuzione messa in atto dalla Chiesa nel periodo summenzionato non consente di comprenderlo nella sua complessità
Le donne riconosciute come  sagge, depositarie di saperi  e temute come streghe
E’ necessario tornare indietro, agli albori della civiltà, poiché la strega, maga, diavolessa, saga, fattucchiera, la donna quale fonte di pericolo e depositaria di male, è un’immagine ricorrente in tutta la storia patriarcale.
Fin dai primordi le donne in qualità di raccoglitrice di erbe e bacche avevano imparato a riconoscre le piante medicinali e le qualità psicogene di alcune di esse, il cui uso può spiegare certe particolarità attribuite alle streghe in tutte le epoche: levitazione, mutabilità, metamorfismo.  La strega è un elemento importante in molte culture primitive; essa  è temuta non in quanto malefica ma perché depositaria di poteri oscuri e innafferabili. Questa funzione  magica assume diverse caratterizzazioni a seconda dei luoghi e dei momenti.
La maga poteva essere considerata emissaria di un culto barbaro, portavoce di una cultura di minoranza, sacerdotessa di una divinità caduta in disgrazia (dea madre del neolitico o Medea proveniva dalla Tessaglia; per i romani  le maghe erano sabine o marsiche). Racconti di streghe si trovano nel mondo germanico, nei racconti slavi, nelle saghe nordiche.
Ma la strega non è mai una figura isolata; attorno ad essa si raccolgono molte donne: le Menadi e le Baccanti sono sacerdotesse di un culto orgiastrico assai popolare in Grecia e nella Roma repubblicana e poi in quella imperiale. Il culto di Demetra come quella di della Magna Mater Cibele è la versione rispettivamente greca e romana di quelle  di una più antica divinità femminile che si ritrova all’origine di ogni civiltà (Istar, Iside ecc.), connesso con le fasi lunanri. La periodicità di queste fasi  infatti, fin dai tempi più remoti, era stata messa in relazione con i cicli della donna in base ai quali si era cominciato a scandire il tempo. Anche il succedersi delle stagioni veniva messo in relazione con il ritmico alternarsi delle fasi lunari: la luna era considerata una presenza benefica, indispensabile per la la crescita, in quanato essa fa germinare i semi, crescere le piante, partorire gli animali e le donne. Le donne si trovano pertanto sotto  la protezione della luna con la quale hanno in comune il potere di generare e di far crescere ogni cosa e persona.  La luna nei suoi diversi aspetti viene identificata con una divinità trina, molteplice che non si può definire univocamente (Ecate triformis). 
(ed anche qui la Chiesa  declinerà nella nuova  forma patriarcale maschile (padre, figlio e spirito santo)
Testo tratto da  Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
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I  Sabbath
I riti delle streghe –sabbath – venivano celebrati in date che il cristianesimo aveva fatto proprie  assumendole direttamente dalla tradizione dei culti lunari (1 maggio- Calendimaggio, 1 novembre ogni santi,  2 febbraio Caldelora, mezza estate Assunta); si svolgeranno nei boschi o sulle colline, con la partecipazione di grandi folle (vi sono testimonianze di 25 000 persone). L’atmosfera era di grande libertà ed ebbrezza: vi si svolgeranno banchetti, canti, danze frenetiche (la ridda del sabba era un ballo in tondo assai ritmato ch si danzava schiena a schiena). Nel sabba, folle provenienti da vari paesi si incotravano senza restrizioni: l’unica condizione era presentarsi senza armi e, per gli uomini farsi accompagnare da una donna. Questi riti costituivano anche una rivolta contro le restrizioni sessuali: la Chiesa proibiva i mattrimoni fra consanguinei fino al 6 grado, il signore feudale, per non perdere un servo, ostacolava le unioni con le forestiere. Durante i riti invece tutti potevano incontrarsi liberamente; le tenebre  e l’ebbrezza consentivano di abbandonare gli schemi legati alle convenzioni  sociali per unirsi segeundo i propri desideri. Tuttavia “mai una donna ne tornò incinta “. Si dice che anche le nobildonne vi partecipassero e ne attingessero cognizioni abortive e contraccettive.
Testo trattto da  Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
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Messe nere, donne sagge e persecuzioni  religiose
Messe nere
Dal XIV secolo in poi si diffonde l’uso delle messe nere, rito dissacratorio che segue punto per punto  l’andamento  della messa, per esorcizzare il Bene identificato con il Signore, l’autorità,  il padrone. Protagonista di questo dramma diabolico (rovesciato simbolicamente) è la donna, sacerdote, altare, ostia con cui si comunica tutto il popolo. Nella sua disperazione la donna-strega trova l’audacia, nella fedeltà a una tradizione antica la forza per schernire le manifestazioni del potere dominante, mantenendo in vita una tradizione femminile che cercava di opporsi all’invadenza di una civiltà decisamente  antiphisis (anticorporea ).  E così molte streghe saliranno al rogo con fierezza,  atesta alta, testimoni di valori antichi.
Testo tratto da  Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
I sabba
I sabba sono descritti nelle testimonianze degli oppositori (le uniche esistenti) come  luoghi dove avvengono ogni  sorta di delitti: sodomie, incesti, congiungimenti con il demonio, uccisioni di bambini….Queste accuse riprendono, stravolgendone il senso, alcuni elementi presenti nell’antico rituale  della luna: una delle rappresentazioni della dea era la scrofa che mangia la prole:  ad essa nell’antichità venivano offerti sacrifici umani;
testo tratto da Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
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Donne sagge  e il medico per il popolo Paracelso
La saga (donna saggia) per la sua conoscenza delle erbe e delle loro proprietà curative, era l’unico medico per il popolo (Paracelso dichiara di aver  imparato dalle streghe tutta la scienza); essa era l’unica disposta ad alleviare l’antica condanna “partorirai con dolore. Queste sue abilità le  verranno ritorte contro accusandola di preparare veleni e filtri per fatture e malocchi, e di derivare il suo sapere dall’accoppiamento col demonio (V. Conforti, streghe guaritrici).
Testo tratto da  Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
La caccia alle  streghe  dei giudici inquisitori  redattori del Malleus Maleficarum (martello delle streghe)
La gente che per ricorrere ai servigi delle streghe, si lascia facilmente convincere che sono loro le responsabili di ogni digrazia. La psicosi dilaga, come sempre quando si identifica il capro espiatorio dei mali che affliggono la società in una vittima che non può diffendersi .  le delazioni si susseguono a catena qunado l’autorità ecclesiastica promuove  la crociata contro l’eresia con la bolla “Summis desiderentes affectibus “  del 1484.   In quello stesso anno Innocenzo VIII incarica H. Kramer  e J. Sprengher , giudici inquisitori  di Germania, di compilare una relazione di stregoneria.  Questa sarà il tristemente noto  Malleus Maleficarum (il maglio delle streghe), antologia di ogni sorte di accuse fondate sul pregiudizio e l’ancestrale paura del diverso. La colpa ha carattere eminentemente sessuale: si insiste ossessivamente sui contatti carnali col demonio, su elementi osceni, sull’impurità nella natura femminile.
 Testo tratto da Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
Malleus Maleficarum  e l’Inquisizione cattolica-romana
Questo  è il codice a cui faranno riferimento tutti gli inquisitori. L’epidemia della caccia alle streghe dilaga, la peresecuzione politica accende la persecuzione. L’isteria collettiva oscilla tra i deliri allucinatori di quelle che si immaginano di essersi  congiunte col diavolo e il delirio omicida di francescani e domenicani che le sterminano col fuoco.  Nei territori in cui il diritto canonico resta forte, i pro0cessi di stregoneria si moltiplicano, dove i tribunali laici avocano a sé quelli affari essi diventano rari e spariscono.  Ad esempio questo succede in Francia per circa cento anni fra il 1450 e il 1550. In Spagnainvece durante il regno della pia Isabella (1506), il cardinael Ximenes comincia a bruciare le streghe, a Ginevra,allora governata dal vescovo, ne arde 500 in 3 mesi (1515).  Nel minuscolo vescovado di Bamberga in poco tempo mette al rogo 600 donne  e quello di Wurburg  900.  Il metodo è semplice: adoperare dapprima la tortura  creando col dolore e lo spavento testimoni falsi, poi estorcere all’accusata con sofferenze insopportabili, una confessione, e quindi credere a questa confessione anche contro l’evidnza dei fatti. Alcune  sono di9sposte a confesssare persino senza la tortutra: molte sono in preda ad una specie di esaltazione dettata dalla deisperazione per le condizioni di vita cui sono costrette ed anche dalle suggestioni di vedersi attribuire poteri soprannaturali, tanto più lontani dal loro effettivo annichilimento.  Nel 1518 l’inquisitore manda sul rogo 70 streghe nel Val Camonica, altrettante ne imprigiona; quelle sotto accusa ammontano a circa 5000 cioè a un quarto della popolazione complessiva della vallata.  A Brescia nel solo anno 1510 sono bruciate 70 donne, e 300  vengono arse vive a Como nel 1514.  L’Inghilterra puritana,  non essendo soggetta all’Inquisizione cattolica, raggiuge solo nel secolo XVII l’apice della caccia alle streghe.  Documenti dell’epoca deplorano la fatica che gli uomini dovevano fare per trovare una sposa; essi erano costretti ad andare molto lontano a cercarla, poiché non solo le donne e giovanette, ma anche le bambine erano sterminate.  In alcuni paesi non si trovavano più persone di sesso femminile  al di sotto dei sette anni!. … il cardinale J. B. Bousset, nella  Francia del ‘700, si diceva convinto che l’Europa fosse minacciata da un esercito di streghe di cui auspicaca il rogo.
Testo tratto da Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
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Filosofi moderni complici  dei tribunali ecclesiastici della caccia alle streghe

I filosofi contemporanei non fanno nulla per contrastare  la caccia alle streghem anzi l’approvano:  F. Bacone e Malenbranche sono fra questi.  Persino  l’illuminismo sarà molto lento nel far luce su questo fenomeno.
La stregoneria fu dunque un vero e proprio –sessuocido  (femminicidio diremmo oggi) : si ritiene che le sue vittime, in soli due secoli, abbiamo raggiunto il numero di 8 milioni di donne sagge  arse vive.
Testo  tratto da  Serena Castaldi e Liliana Caruso –l’altra metà della storia – casa editrice G. D’Anna –Messina-Firenze 1975.
Testo di ricerca attiva ed di elaborazione permanente  di Pino de March

Le mani sulla città – Francesco Rosi

Al terzo tema, che proponiamo per osservare le dinamiche elettorali nate dopo il suffragio universale, dedichiamo una finestra italiana, il celebre film di Francesco Rosi. Non sono però le vicende specifiche narrate nel film ma il loro significato a fare da pretesto per una narrazione storica che vuole indagare sulla osannata volontà popolare che si esprime durante le elezioni. Al tema però serve avvicinarsi con qualche precisazione. Sulla conquista del diritto di esprimersi delle masse, sulla formula “una testa un voto” come momento di emancipazione, non si possono sollevare dubbi; ma è altrettanto indubbio che molto è stato fatto per anestetizzare l’indipendenza di scelta, la possibilità di esprimere giudizi e preferenze frutto di una opinione personale. Gia il film proposto in precedenza (Quinto Potere) mostrava quanto fosse poco autonomo l’orientamento del pubblico legato alla televisione.
In Italia il suffragio universale è stato conquistato con la nascita della Repubblica, ma si è velocemente modificato nella formula della “sovranità limitata”, ovvero il protettorato occidentale contro il rischio comunista. Questo fenomeno, nato in una realtà sociale complessa come è quella italiana, dove una grande varietà di interessi ha affiancato gli aspetti più squisitamente ideali, ha bloccato qualsiasi ipotesi di progresso democratico. All’attivismo del più grande partito comunista dell’occidente si è contrapposto un fitto processo di acquisizione del consenso delle masse popolari attraverso, e non solo, la chiesa e le pratiche familiste.
Un discorso a parte riguarda i sistemi elettorali che sono il vero meccanismo che traduce un certo consenso espresso con il voto in potere legittimato. Ed i sistemi elettorali, come è noto, sono costruiti da ingegneri della politica che hanno piena padronanza dei congegni matematici, delle ripartizioni percentuali, delle dinamiche finalizzate comunque a mantenere una certa idea di partecipazione politica. Difficile immaginare quanto sia garantita, in un tale quadro, l’effettiva volontà popolare. 
Un altro problema sfugge alla osannata volontà popolare espressa nel chiuso delle urne: è il sistema delle alleanze, ovvero tutto il pullulare di accordi sottobanco non privi di lotte incrociate e interessi contrastanti con l’indirizzo complessivo espresso dall’elettorato. Di questo aspetto ci occupiamo con l’aiuto del film di Rosi. 
Non si è mai fatto mistero, nell’Italia repubblicana, della tendenza ad accaparrarsi pacchetti di voti alla stregua di pacchetti azionari. Grazie anche al boom economico, che ha ampliato gli appetiti di molti, il controllo di porzioni di elettorato si è tradotto nella nascita di grandi ricchezze e di gruppi di pressione che hanno se non bloccato almeno anestetizzato qualsiasi forma di trasformazione sociale tramite la volontà degli elettori.
Ci interessa qui sviluppare una riflessione che possa rappresentare un punto di partenza per futuri studi storici: la corrispondenza tra i sistemi elettivi democratici di stampo occidentale e la proprietà privata. Il processo non presenta camuffamenti, anzi risulta evidente la simbiosi tra proprietà privata e democrazia rappresentativa poiché entrambe si poggiano su una precisa idea di individuo. Un individuo che grazie al proprio egoismo garantisce il funzionamento dell’insieme. 
Siamo così arrivati ai giorni nostri, al bivio che contraddistingue gli attuali anni e che  rende oramai palese la necessità di dare vita a forme collettive di protezione di alcuni fondamentali beni comuni. Se la democrazia elettiva ha convissuto perfettamente con una certa idea di proprietà privata, oggi una democrazia partecipata dovrebbe fare da battistrada ad una società dei beni comuni. 
Ne “le mani sulla città” un imprenditore edile chiarisce un principio fondamentale della democrazia elettiva, rivolto ai propri soci dice: “I nostri voti contano, non la bandiera sotto la quale stiamo”. Una affermazione questa valida per dare i contorni alla storia del Novecento e alla democrazia che rimane corretto, al di là delle mode espressive, definire borghese. 

Paolo Bosco

Il quinto potere

Film, regia di SidneyLumet

TUTTO SERVITO A DOMICILIO

Altra fondamentale “finestra” sul Novecento, dopo l’energia elettrica, è la comunicazione. Sin dagli albori del XX° secolo scambiare informazioni diventa una comune pratica necessaria nel mondo industrializzato. Con rapidità si inseguono l’invenzione del telefono, della radio e di tutta una serie di tecnologie funzionali alla veloce possibilità di comunicare. Proprio in questo ambito la televisione ha trovato indiscussa supremazia in quanto creatrice di bisogni e convincente consigliera. Il suo occhio è entrato nella quasi totalità delle case, creando un fenomeno inimmaginabile solo pochi decenni prima. 
«Il quinto potere» (titolo originale “The network”), racconta l’evoluzione della televisione in strumento di persuasione potentissimo e capace di modellare in modo incisivo l’immaginario collettivo. A quasi quarant’anni dalla sua uscita questo film conferma tutta la sua qualità profetica e l’acuto spirito di osservazione posseduto dal regista, per arrivare alla descrizione di una realtà oggi sotto gli occhi di tutti. 
Oggi è relativamente semplice comprendere il potenziale televisivo in fatto di imbonimento. Basti pensare all’uso che ha fatto di questo mezzo proprio in Italia un personaggio spregiudicato arrivato ai vertici dello Stato grazie al possesso di alcuni canali. 
Il nucleo centrale di questo film si colloca nella trasformazione del mezzo televisivo da strumento informativo e ancorato fondamentalmente alla cultura umanistica, a veicolo sempre più orientato all’appiattimento sulla immediata realtà. Il passaggio non è di poco conto, la nuova tv pretende di portare sullo schermo frammenti di vita comune (reality show). Tutto nasce dall’intenzione di annunciare in diretta il proprio suicidio da parte di un conduttore, il corto circuito che ne segue rivela la disponibilità dei telespettatori a inseguire le novità, le emozioni coinvolgenti capaci di creare una sorta di cerchio magico tra individui chiusi nei propri salotti. 
Il “reality” impedisce di decifrare le contraddizioni che albergano nella realtà, annulla la categoria del possibile dall’orizzonte proponendo a ripetizione quella del conosciuto, sia esso il problema del cane della vicina o l’eterna lotta condominiale. Ma la realtà è materia priva di una sua oggettività, permette solo di essere rappresentata, interpretata, lo sanno molto bene gli storici. Lo sanno anche i romanzieri che dei modi di rappresentarla ne hanno fatto oggetto di infinite ricerche. La realtà interpretata ha la capacità di far evadere il soggetto, ed è proprio la qualità dell’evasione a fare la differenza. Se si evade grazie ad Omero o a un romanzo di Calvino, ma anche assistendo sullo schermo ad uno spettacolo teatrale o a un film, si è coinvolti automaticamente in un viaggio che riporta alla realtà rinnovati; l’evasione tramite una rappresentazione che assomiglia molto alla vita propria o di un vicino (un gesto di follia, una lite tra inquilini), non restituisce altro che la convinzione che tutto sia immutabile. Anche quando il messaggio sembra indirizzato a mobilitare per una giusta causa. Quello che risalta è solo l’alto numero di spettatori che questo tipo di televisione produce, perché l’interesse si concentra nelle opportunità di vendere spazi pubblicitari. 
Proprio nel momento in cui questo strumento elettrico raggiunge tutti, installandosi in posizione centrale nel salotto di casa, l’industria che lo gestisce si concentra sulla sua capacità di chiamare contemporaneamente moltitudini di uditori a seguire le trasmissioni, insensibile alle ripercussioni sociali che produce. La principale delle quali è la docile trasformazione degli individui in consumatori.
Il regista di Quinto potere, non indugia nell’individuare il cuore di questa architettura comunicativa, anzi lo rivela senza reticenze: è il mondo dell’alta finanza nel momento in cui prende coscienza di come utilizzare il mezzo. In una scena memorabile, si ritrovano il personaggio televisivo che ha fatto del suo esistenzialismo un formato televisivo e un potente guru che chiaramente si mostra come illuminato e settario governatore del “bussines” internazionale. Uno che ha chiaro in mente cosa deve diffondere la tv e a quale fine si deve ispirare.
Ecco realizzato il sodalizio tra finanza e televisione, così come è avvenuto quello tra scoperte scientifiche e finanza. Tutto il Novecento è intriso di questo fenomeno ed oggi incominciamo a scorgerne le conseguenze.
paolo bosco

IL SEGRETO DI NIKOLA TESLA

Energia elettrica: corrente alternata o alternativa?

(prime riflessioni a partire dal film su Tesla)

   Le implicazioni (meglio dire esternalità) generate dalla diffusione dell’energia elettrica sono immense, tanto che noi oggi abbiamo indissolubilmente incorporato questo processo tecnico nella totalità delle nostre azioni. Sarebbe un errore, affrontando questo tema, giudicarne la bontà o la cattiveria. E’ di gran lunga più interessante ricavare consapevolezza da una vicenda storica di tale importanza piuttosto che limitarsi a esprimere dei giudizi.

   

   Con il film “Il segreto di Nikola Tesla” prendiamo l’avvio per osservare la vicenda dell’energia elettrica, vero e proprio motore della rivoluzione industriale novecentesca, sistema nervoso che capillarmente ha diffuso e trasformato le funzioni motorie della società, che ha riscritto il suo codice sensitivo. Il fenomeno, nella dimensione raggiunta, è stato reso possibile grazie all’introduzione della corrente alternata e del moderno motore elettrico ad opera dello scopritore Nikola Tesla. 

   Tesla aveva idee molto chiare sull’evoluzione della ricerca nel campo dell’energia, idee capaci di ridurre le difficoltà alla sua trasmissione via cavo. Inoltre il motore elettrico di sua invenzione, usato in maniera inversa poteva essere utilizzato come generatore (se alimentato da energia elettrica produce un moto rotatorio, se alimentato da fonte altra, ad esempio una cascata, restituisce energia elettrica). Ma le idee non sono mai figlie di uno scopritore unico. Vi sono dei geni che volano alto, altri che fanno una gran fatica nei laboratori, ci sono quelli che continuano un’idea mettendola sulla giusta via,  su un piano che fila liscio. Ed inoltre ci sono scoperte “spendibili” sul mercato degli investimenti, dove un capitano della finanza si butta a pesce appena intuisce l’affare, ed altre che seppur convenienti per l’umanità rimangono irrealizzate. Tesla era interessato solo alla ricerca e non al profitto economico, aveva (a differenza di un Marconi, ad esempio) continuato a inseguire le sue intuizioni senza curarsi personalmente degli affari, inoltrandosi sulla strada ancora sconosciuta dell’energia pulita, illimitata e disponibile per tutti. 

Tesla non si è dunque fermato nella sua ricerca alla scoperta, seppur fondamentale, della corrente alternata. Essendo dotato di capacità mentali quasi sovrumane, come quella di progettare complesse macchine elettriche solo nella sua mente, in grado di ricostruirle senza prendere nessun appunto, si rivela sin da subito un brillantissimo scienziato che lavorava, al pari di altri, ai problemi della sua epoca. I suoi contributi sono tutti ben inseriti all’interno delle ricerche a lui contemporanea; la quantità di tecnologie a cui diede un contributo essenziale è assolutamente unica e impressionante. Se è vero che non fu il primo a studiare sistematicamente i raggi X e a renderli noti alla comunità scientifica, ha comunque il merito di essersi reso conto della loro pericolosità (mentre Edison la ignorò, col risultato che uno dei suoi assistenti, Clarence Dally, morì atrocemente di tumore). Tesla indubbiamente diede un enorme contributo anche allo sviluppo tecnologico della radio: migliorò molto gli apparati sperimentali, si garantì dei brevetti essenziali (che avrebbe usato per contestare quelli di Marconi), e dimostrò perfino una forma primitiva di telecomando radio. Vero è anche che Marconi probabilmente conosceva il lavoro di Tesla (anche se lui tendeva a negarlo), e i suoi primi apparati secondo alcuni assomigliano in modo sospetto a quelli dell’inventore serbo. 

La visione di Tesla era effettivamente assai avanti: egli immaginava già alla fine dell’800 un mondo in cui si poteva comunicare attraverso lo Spazio con le onde radio, in cui si potevano illuminare città senza usare fili. Immaginare mondi nuovi da raggiungere attraverso la tecnologia, saper osare al di là del presente, non aver paura di innovare: in questo la figura di Tesla resta un esempio indiscutibile. Ma Tesla era un visionario che andava oltre il limite segnato, tra l’altro sosteneva di aver comunicato con esseri extra terrestri, argomento che utilizzeranno successivamente i suoi detrattori. 

Con la sua febbrile ricerca inseguì intuizioni che però non suscitarono l’interesse da parte dei suoi finanziatori. Tesla riuscì a trovare la strada per avere energia pulita e per tutti grazie ad un trasmettitore di ingrandimento (basato sulla Bobina di Tesla), in grado di convogliare e sfruttare l’energia che è naturalmente presente nell’atmosfera: un’energia illimitata, senza fili e alla portata di tutti. Ma una tale prospettiva non entusiasmò i suoi finanziatori che fino a quel punto lo avevano appoggiato. Questo aspetto è evidenziato nel film da alcune battute declamate da un guru del capitalismo statunitense, J. P. Morgan (interpretato da Orson Welles), quando boccia il finanziamento alla ricerca di Tesla perché avrebbe azzerato i lucrosi profitti che la vendita di energia (non importa se ottenuta da fonti non rinnovabili) garantiva.

Se all’epoca tutto il suo entusiasmo avvenieristico non fu compreso, questo non significa che le identiche visioni fantastiche non siano poi state utilizzate per riempire di senso il mito dello sviluppo/progresso, e della successiva terminologia sulla crescita illimitata, che proprio all’inizio del ‘900 prende avvio (ma questa è un’altra storia che ci porterebbe lontano).

Quello dell’energia è un mondo ancora adesso, anzi, soprattutto adesso, lanciato per strade a noi comuni mortali negate sia per ignoranza che per opportunità politiche. E questo spiega il mistero che avvolge Tesla.
Paolo Bosco

TRE FINESTRE SUL NOVECENTO

Jessie Boswell, LE TRE FINESTRE, 1956


Raccontare il Novecento nel suo insieme è impossibile. Troppo vicino a noi per poterne avere una visione sintetica. Scegliamo dunque tre temi, tre aspetti fondamentali per inoltrarci nel secolo appena passato. Tre questioni che lo hanno caratterizzato in maniera definitiva: la diffusione dell’energia elettrica, la comunicazione divenuta un fenomeno di massa ed infine il suffragio universale, visto dalla prospettiva dell’accaparramento dei consensi. Tre punti nodali legati da un filo da cui si dipana la storia. Lo facciamo proponendo tre film rappresentativi dei temi scelti, accompagnati da una riflessione che del film prende spunto per inoltrarsi nelle implicazioni storiche collaterali.

PROGRAMMA:
Ore 19 – aperitivo conviviale. 
Ore 20 – presentazione 
Ore 20.30 – film


Venerdi 8 febbraio 2013

– Cos’è l’energia elettrica? corrente alternata o alternativa?

“Il segreto di Nikola Tesla”

regia di Krsto Papic .

Venerdi 15 febbraio 2013

– Il potere della televisione.

“Quinto potere” 
regia di SidneyLumet


Venerdi 22 febbraio 2013

– Accordi sottobanco all’ombra delle elezioni.

“Le mani sulla città”
regia di Francesco Rosi


                    HUB – Via Luigi Serra 2/2 – Bologna