Se la terra parlasse forse prima di parlare emetterebbe un lungo sospiro, simile al vento caldo che arriva dall’Africa, lasciandoci così tutti attoniti per la grande potenza dimostrata. Scrollerebbe il capo e forse rimarrebbe senza parole, perché a parlare siamo tutti buoni quando abbiamo la pancia piena. Farebbe forse notare la faccenda degli sprechi e la fame che ancora morde tante popolazioni; poi si ritirerebbe in campagna, a coltivare un pezzettino d’orto. Proprio come sempre più spesso si ritorna a fare anche nelle città. Darebbe dimostrazioni magistrali sui modi per ricavare le zucchine e i pomodori senza impoverire il terreno. Ci spiegherebbe le azioni biologiche e le possibilità di coltivazioni.
il 14 giugno pomeriggio – sera negli orti di via Erbosa.
H 20 Cena Cus cus con verdure e ceci e, solo a richiesta, brodo di manzo. (E’ gradita la prenotazione su comunimappe@gmail.com)
—————————————
Approfondimenti:
“L’umanità è una specie connessa al resto della natura vivente per
orgine e per destino, nella salute e nella malattia. Gli esseri
viventi sono collegati fra loro, scrive David Quammen nel suo
splendido studio, anche dal legame naturale delle infezioni, cioè
delle interferenze di una specie nell’altra all’interno degli edifici
biofisici dell’ecosistema. Gli agenti delle infezioni sono
microscopici (batteri, funghi, amebe) e ultramicroscopici (i virus).
La storia è stata influenzata da epidemie di peste, colera, vaiolo,
tbc, influenza, come quella del 1917-1919 con 50 milioni di vittime… le
malattie non virali sono controllate con medicine e misure igeniche.
L’assedio preoccupante è posto oggi dai virus. Sorti contemporanemente
ai primi esseri viventi i virus, sostengono molti biologi,
contenegono un archivio che sta circolando da miliardi di anni, con
effetti sorprendenti. La coevoluzione ha portato, ad esempio, ad un
mescolamento genetico in seguito al quale il nostro genoma è
costituito pe l’8% di materiale virale. C’è chi motteggia che i virus
nel corpo umano si trovano a casa. Le nostre difese sono poco efficaci. Il
libro di David Quammen è il resoconto di strategie virali e delle
recenti epidemie in uomini ed animali. Per il biologo Peter Medawar,
premio nobel per la medicina nel 1960, “i virus sono frammenti di
cattive notizie avvolti in una proteina.” ..
Quali “cattive notizie”, per usare le parole di Peter Medawar,
dobbiamo aspettarci?
I microbiologi paventano un next big one, cioè una pandemia virale,
probabilmente di tipo influenzale, con un massacro di proporzioni
inaudite. Che cosa la farà scoppiare? Quando la crescita di una specie
acquista dimensioni innaturali, essa si arresta lentamente o per
crollo improvviso. Una volta superati i sei miliardi di persone,
ammonì tempo fa il biologo Edward O.Wilson ci si avvicina
all’incompatibilità con l’ambiente. Da allora la popolazione è
cresciuta di un miliardo e continua a crescere di 70 milioni di
persone l’anno. La massa umana supera di oltre 100 volte il volume di
qualunque altra specie vivente e vissuta. Essa è estesa e continua a
dilagare in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi
remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e
asfaltando boschi e foreste, usando a profusione concimi
tossici, inquinando laghi, mari, fiumi e torrenti; trivellando in terra
ed in mare. Una delle conseguenze della devastazione ambientale è
l’attivazione di batteri e virus fino ad ora silenti. Le dimensioni e
la velocità della crescita umana depongono a favore dell’arresto per
schianto. Come avverrà? Molti epidemiolghi ritengono che i dati
convergano a favore dell’ipotesi del next big one, cioè la riduzione
derastica della popolazione, sarà provocata da una pandemia
influenzale di virus-Rna, facilitata anche dalla rapidità dei
collegamenti fra regioni lontanissime. I virus potrebbero essere nuovi
per mutazione oppure essere vissuti in altri animali e attaccare per
zoonosi l’uomo per la prima volta, trovandolo privo di difesa in un
ambiente divenuto sfavorevole per eccessi di abitanti. Anche se
quersta previsione non dovesse pienamente avverarsi, per miliardi di
esseri umani la vita potrebbe diventare un inferno.
Da David Quammen Spillover – Animal infections and the next human
pandemic – Norton & Co, New York – London, pagg.586.
Alla fine un virus-Rna ci seppellirà (da sole 24 ore di Arnaldo
Bennini -9/06/2013)
Memoria paleontologa
(tratto da Quarto rospo freudiano di S.J. Gould)
Ho avuto spesso occasione di citare un’acuta, quasi rammaricata
osservazione di Freud, riguardo al fatto che tutte le maggiori
rivoluzioni nella storia della scienza, fra molte diversità, hanno un
motivo comune: aver spodestato via via, un pilastro dopo l’altro,
l’arroganza umana dalle sue cosmiche certezze.
Freud riporta tre di questi casi presentandole come le tre
prinicipali ferite narcisiste di quell’essere arrogante e presuntuoso
che è “l’uomo delle certezze assolute”;
una volta credeva di vivere al centro dell’universo limitato, finché
Copernico, Galileo e Newton non gli hanno rivelato che la terra è un
minuscolo satellite di una stella di secondaria importanza.
(Solo Pascal, il poeta ed il filosofo, si misurerà per tutta la vita
con questa ferita producendo delle acute riflessioni sullo spaesamento
e sulla perdita di senso dopo questa perturbante scoperta).
Dopo di che questo presuntuoso ed arrogante essere umano tra i viventi
si è consolato immaginandosi che Dio, in realtà, avesse scelto questa
collocazione periferica per creare l’unico organismo a Sua immagine,
finché non è arrivato Darwin che “ci ha relegato a discendenti di un
mondo animale.”
Abbiamo quindi – di cui anche noi in parte – cercato sollievo nelle nostre
menti razionali finché, come Freud nota in una delle affermazioni
meno modeste della storia delle idee, la psicologia ha scoperto
l’inconscio (cioè ha rovesciato quel secolare paradigma cartesiano
– cogito ergo sum – penso quindi sono – con un altro, se vogliamo, per
parafrasare il primo – sentio ergo sum);
l’osservazione di Freud è acuta, ma trascura molte altre importanti
rivoluzioni iconoclaste (non voglio criticarlo: ha soltanto cercato
di spiegare un processo, non ha preteso di fornire un elenco
esauriente); in particolare omette il contributo fondamentale dato
dai miei campi di studi, geologia e paleontologia: il contraltare
temporale alle scoperte di Copernico sullo spazio.
Intesa letteralmente, la storia biblica era veramente confortante:
una terra di pochi migliaia di anni su cui l’uomo (maschio), tranne
che per i primi cinque giorni, è l’essere dominante. La storia della terra
era un tutt’uno con la storia dell’uomo (maschio) e quindi perché non
pensare di essere fine e causa dell’universo?
Ma i paleontologi hanno poi scoperto il deep time (tempo profondo),
per citare la felice locuzione Mc Phee. La terra ha miliardi di anni e
la sua età va tanto indietro nel tempo quanto l’universo visibile si
estende nello spazio. Il tempo da solo, non solleva minacce
freudiane.
Se la storia umana fosse durata per tutti questi miliardi di anni.
La nostra arroganza, in virtù della più lunga egemonia sul pianeta,
sarebbe aumentata.
La rivoluzione iconoclasta freudiana è avvenuta quando i paleontologi
hanno rivelato che l’esistenza umana occupa soltanto l’ultimo
“micro-momento” dell’età del pianeta: un centimetro cosmico, un minuto
o due dell’anno cosmico.
Questa estrema riduzione dell’epoca dell’uomo ha posto un’ovvia
minaccia alla nostra presunzione, specialmente in rapporto alla
seconda rivoluzione freudiana, quella darwiniana. Tale limitazione ha
una banale conseguenza, e in genere le affermazioni banali sono
corrette (anche se molte delle rivoluzioni intellettuali più
affascinanti celebrano la sconfitta di interpretazioni apparentemente
ovvie);
se noi non siamo altro che un minuscolo ramoscello del rigoglioso
albero della vita e se il nostro ramoscello ha gemmato soltanto un
momento geologico fa, allora forse non siamo il prevedibile risultato
di un processo intrinsecamente progressivo (la decantata tendenza al
progresso della storia della vita); forse, nonostante le nostre glorie
e nostri talenti, siamo un effimero accidente cosmico che non si
verificherebbe di nuovo neppure se si piantasse l’albero della vita
dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.
In occasione del centenario, nel 1959, della nascita di Darwin, il
grande genetista H. J. Muller ha smorzato i festeggiamenti con una
relazione intitolata Cent’anni senza Darwin sono abbastanza?
Muller ha affrontato il fallimento della rivoluzione darwiniana da due
fronti opposti: da una parte, il creazionismo che continua a
persistere largamente nella cultura popolare americana e dall’altra la
limitata comprensione della selezione naturale tra le persone istruite
che pure sono convinte della veridicità dell’evoluzione.
Sono certo però che il maggiore impedimento al completamento della
rivoluzione darwiniana sia qualcosa di più grave, che non riguarda gli
atteggiamenti opposti.
Freud aveva ragione nell’identificare la soppressione dell’arroganza
umana come risultato comune alle grandi rivoluzioni scientifiche.
In termini freudiani, la rivoluzione non sarà completata finché Gallup
non potrà trovare che una manciata di detrattori o finché la maggior
parte degli americani non sapranno dare una definizione di selezione
naturale.
La rivoluzione darwiniana non sarà completata fino a quando non
distruggeremo il monumento dell’arroganza e non acquisiremo piena
coscienza delle semplici implicazioni dell’evoluzione, la non
prevedibilità e l’assenza di direzionalità nella vita (progresso), e
quando prederemo sul serio la topologia darwiniana, riconoscendo che
l’Homo Sapiens, per recitare la litania un’altra volta, è un sottile
ramoscello, nato ieri, nell’albero che, se piantato di nuovo, non
produrrebbe le stesse ramificazioni a partire dal seme. Noi ci
aggrappiamo al fuscello del progresso perché esso rappresenta per noi
la migliore possibilità di conservare l’arroganza in un mondo
evoluzionistico. Solo in questi termini riesco a capire perché un
argomento così improbabile e debole mantenga su di noi un ascendente
tanto potente.
Tratto da – Gli alberi non crescono fino al cielo – paragrafo: “Come
ingoiare il quarto rospo freudiano.”