Più che un’indicazione di governo con il voto gli italiani hanno espresso la volontà di autogovernarsi. Come se il potere pubblico sia stato tolto a chi lo possedeva (i partiti) per consegnarlo al controllo diretto e a coloro che di questo controllo si sono fatti portavoce.
Nella nuova realtà creatasi dopo il voto in Italia sembra ci siano le condizioni per sperimentare una qualche forma di democrazia diretta. Mai come questa volta tante persone comuni sono state elette in parlamento, nonostante una legge elettorale dove è totale il controllo dei partiti sui candidati, anzi forse proprio in risposta ad essa, sia il pd (non per vocazione ma per marketing) che 5 Stelle hanno promosso la selezione dei candidati a partire dai territori.
Come ulteriore evoluzione, la rete potrebbe permettere la realizzazione di un canale per quel rapporto, quella corrispondenza, tra società e nuovi eletti nelle camere. Già adesso è possibile facilmente entrare in contatto con loro tramite i profili pubblici.
Si tratta dunque di mettere in essere una intellettualità organica, sociale, popolare, che dialoghi con quei nuovi parlamentari che il 15 marzo si insedieranno. Oggi non è molto difficile fare leva su alcuni argomenti che limitino, per quanto possibile, la dipendenza dei parlamentari dai propri partiti di riferimento. Non si tratta di fare richieste o pressioni, ma chiedere loro il rispetto anzitutto del vincolo di lavorare per il bene e l’interesse generale. Certo sono parole generiche, ma chiare. Come chiare sono alcune parole della Costituzione. Come quelle che dicono: «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.» (titolo IV, art. 50). Sempre della Costituzione non va dimenticato l’articolo 71 : «L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». L’identificazione dell’interesse generale potrebbe avvenire regolando al meglio lo strumento referendario per poi utilizzarlo per temi come l’ambiente, la scuola, alcuni beni fondamentali che chiamiamo comuni etc.
Se le elezioni sono generalmente un gioco che dura poco, perché sostanzialmente si chiede di mettere una croce e poi tornarsene a casa, oggi ci sono le condizioni perché questo non avvenga, perché la parte attiva della società apra e mantenga viva la corrispondenza con i parlamentari. Quelli che vogliono starci, almeno.
Ma serve un linguaggio chiaro e un sistema informativo libero, che non veda attori predominanti che attuano un sistematico inquinamento informativo. Serve una regolamentazione del flusso comunicativo tra i due estremi: gli eletti e gli elettori. Sia i parlamentari che la società attiva devono comunicare in maniera efficace, sta in questo punto preciso la possibilità che si accenda la funzionalità della democrazia diretta.
Deputati e senatori disposti a lavorare con questo spirito, attuando un comportamento pubblico e inter-diretto con la società, non sarebbero lasciati soli, isolati e dunque raggiungibili dalle sirene dei corruttori. La parte di parlamento pulita renderebbe più visibile quella parte lercia e portatrice di interessi di parte, di privilegi oramai insopportabili.
In regime di democrazia diretta bisogna limitarsi a provvedimenti strutturali, demandando l’ordinaria amministrazione al Governo. Governo che giustamente non può non avere la fiducia, ma che può anche non avere la pretesa di essere il protagonista unico della ristrutturazione dello Stato e dell’indirizzo economico generale. D’altra parte si dice “potere esecutivo”, cioè esecutore di provvedimenti che altri hanno costituito (il parlamento).
Lasciamo correre per un attimo la fantasia: come lo immaginate voi il dialogo costante tra chi “dentro” vota i provvedimenti e le leggi mentre “fuori” una vasta platea di associazioni, blog, appelli correlati da firme e quant’altro, modulano un vasto dibattito sociale?
Democrazia rappresentativa significa comunicazione di massa unidirezionale, dal vertice alla base, come ci insegna tutta la storia del Novecento. Mentre democrazia diretta significa comunicazione orizzontale e finalizzata non a convincere ma a permettere di decidere.
La democrazia diretta è certamente di difficile attuazione, per riuscire deve tener presente le elaborazioni che arrivano dai movimenti sociali, dai forum di discussione dove i temi vengono affrontati con il dialogo più che attraverso votazioni a maggioranza. Le tecnologie possono facilitare ma anche ostacolare un progetto di democrazia diretta, i quanto non sempre la regola “una testa un voto” è il migliore dei sistemi possibili: chi organizza al meglio l’esposizione di un argomento, anche se può non essere la soluzione migliore, può avere il maggior consenso. Dunque l’abitudine a documentarsi dovrebbe diventare la norma principale.
Serve uno sforzo collettivo, con anche risorse organizzative prelevate dalle istituzioni rinnovate. Servono giornali, radio, organizzazioni sociali che lavorino per convocare assemblee pubbliche nel territorio e per creare inchieste da riversare poi su una piattaforma pubblica e progettata per rispondere alla richiesta di facilitare la partecipazione. Lo stesso sito di camera e senato potrebbe, sulla scorta dell’esperienza di radio parlamento, essere la sede dove si depurano, si sintetizzano nel rispetto delle differenze, i temi da trattare e da indirizzare ai parlamenti corredati dagli orientamenti emersi dal basso.
… ma tutto quanto detto fin qui è pura utopia. Naturalmente non interessa a nessuno attuare un simile progetto. Nemmeno a chi, a parole, lo sventola come una bandiera.
Non interessa a Grillo, alle prese con manovre per non farsi schiacciare dal variegato mondo che lui stesso ha messo insieme. Non interessa al pd, da sempre dedito a cucire una sua tela fatta di banche, apparati, consorzi, società per azioni camuffate da cooperative.
Quelle espresse sopra sono fantasie di intellettuali visionari che si immaginano mondi perfettibili (anche il nostro sito lo fa). Infatti questo articolo in buona parte è frutto di un “taglia e cuci” ottenuto prendendo in considerazione diversi articoli di autorevoli personalità del mondo della cultura.
Paolo Bosco