Il quinto potere

Film, regia di SidneyLumet

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Altra fondamentale “finestra” sul Novecento, dopo l’energia elettrica, è la comunicazione. Sin dagli albori del XX° secolo scambiare informazioni diventa una comune pratica necessaria nel mondo industrializzato. Con rapidità si inseguono l’invenzione del telefono, della radio e di tutta una serie di tecnologie funzionali alla veloce possibilità di comunicare. Proprio in questo ambito la televisione ha trovato indiscussa supremazia in quanto creatrice di bisogni e convincente consigliera. Il suo occhio è entrato nella quasi totalità delle case, creando un fenomeno inimmaginabile solo pochi decenni prima. 
«Il quinto potere» (titolo originale “The network”), racconta l’evoluzione della televisione in strumento di persuasione potentissimo e capace di modellare in modo incisivo l’immaginario collettivo. A quasi quarant’anni dalla sua uscita questo film conferma tutta la sua qualità profetica e l’acuto spirito di osservazione posseduto dal regista, per arrivare alla descrizione di una realtà oggi sotto gli occhi di tutti. 
Oggi è relativamente semplice comprendere il potenziale televisivo in fatto di imbonimento. Basti pensare all’uso che ha fatto di questo mezzo proprio in Italia un personaggio spregiudicato arrivato ai vertici dello Stato grazie al possesso di alcuni canali. 
Il nucleo centrale di questo film si colloca nella trasformazione del mezzo televisivo da strumento informativo e ancorato fondamentalmente alla cultura umanistica, a veicolo sempre più orientato all’appiattimento sulla immediata realtà. Il passaggio non è di poco conto, la nuova tv pretende di portare sullo schermo frammenti di vita comune (reality show). Tutto nasce dall’intenzione di annunciare in diretta il proprio suicidio da parte di un conduttore, il corto circuito che ne segue rivela la disponibilità dei telespettatori a inseguire le novità, le emozioni coinvolgenti capaci di creare una sorta di cerchio magico tra individui chiusi nei propri salotti. 
Il “reality” impedisce di decifrare le contraddizioni che albergano nella realtà, annulla la categoria del possibile dall’orizzonte proponendo a ripetizione quella del conosciuto, sia esso il problema del cane della vicina o l’eterna lotta condominiale. Ma la realtà è materia priva di una sua oggettività, permette solo di essere rappresentata, interpretata, lo sanno molto bene gli storici. Lo sanno anche i romanzieri che dei modi di rappresentarla ne hanno fatto oggetto di infinite ricerche. La realtà interpretata ha la capacità di far evadere il soggetto, ed è proprio la qualità dell’evasione a fare la differenza. Se si evade grazie ad Omero o a un romanzo di Calvino, ma anche assistendo sullo schermo ad uno spettacolo teatrale o a un film, si è coinvolti automaticamente in un viaggio che riporta alla realtà rinnovati; l’evasione tramite una rappresentazione che assomiglia molto alla vita propria o di un vicino (un gesto di follia, una lite tra inquilini), non restituisce altro che la convinzione che tutto sia immutabile. Anche quando il messaggio sembra indirizzato a mobilitare per una giusta causa. Quello che risalta è solo l’alto numero di spettatori che questo tipo di televisione produce, perché l’interesse si concentra nelle opportunità di vendere spazi pubblicitari. 
Proprio nel momento in cui questo strumento elettrico raggiunge tutti, installandosi in posizione centrale nel salotto di casa, l’industria che lo gestisce si concentra sulla sua capacità di chiamare contemporaneamente moltitudini di uditori a seguire le trasmissioni, insensibile alle ripercussioni sociali che produce. La principale delle quali è la docile trasformazione degli individui in consumatori.
Il regista di Quinto potere, non indugia nell’individuare il cuore di questa architettura comunicativa, anzi lo rivela senza reticenze: è il mondo dell’alta finanza nel momento in cui prende coscienza di come utilizzare il mezzo. In una scena memorabile, si ritrovano il personaggio televisivo che ha fatto del suo esistenzialismo un formato televisivo e un potente guru che chiaramente si mostra come illuminato e settario governatore del “bussines” internazionale. Uno che ha chiaro in mente cosa deve diffondere la tv e a quale fine si deve ispirare.
Ecco realizzato il sodalizio tra finanza e televisione, così come è avvenuto quello tra scoperte scientifiche e finanza. Tutto il Novecento è intriso di questo fenomeno ed oggi incominciamo a scorgerne le conseguenze.
paolo bosco

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