Basta elettroshock! Urlata per mezzo secolo scorso da Edelweiss Cotti e Giorgio Antonucci, e tuttora ignorata ed inascoltata da una certa ottusa e crudele psichiatria che si scherma dietro ad un’oggettività fredda e manualistica.

Edelweiss Cotti e Giorgio Antonucci in un sodalizio alterno hanno costruito “zone temporaneamente liberate” ove far emergere in contesti mutanti:

impensabili relazioni umane e sociali ed autentiche soggettività all’interno di istituzioni di totale assoggettamento e anichilimento di ogni esistenza umana )

Basta “terapie” mutilanti elettrocompulsive!

Voglio mettere attenzione o far aprire gli occhi,

ai miei ormai più virtuali che presenti amic* e conoscent* per via di una combinata sindemia

( di problemi di salute , ambientali e sistemici eco-antropo-socio-economici ecc.) prodotti dall’interazione sinergica tra più pandemie: virali, diseguaglianze sociali e territoriali, ecocidi, crisi climatiche planetarie e genocidi delle popolazioni native e non solo) che ci travolgono tutt* in queste ere geo-culturali congiunte antropo-capital-ceniche,

a cui s’aggiunge un fenomeno ricorrente, silente e nascosto ai molti,

di una persistente, ottusa e violenta pratica psichiatrica, quale l’elettroshock,

in rari casi con il consenso dei pazienti, ma nella generalità degli altri casi con il consenso strappato a familiari inesperti e frastornati da traumatici eventi occorsi ai loro parenti depressi o con rilevanti problematiche psichiche,esistenziali e sociali.

Si tratta di cosiddette “terapie elettrocompulsive” praticate quotidianamente in centinaia d’indistinte strutture sanitarie pubbliche e private, sparse per l’Italia, e su migliaia di pazienti “psichiatrici” di ogni genere,orientamento sessuale e generazione.

Per illustrare ai miei contatti questa arcaica ed atroce pratica psichiatrica come del resto accade per il Tso (trattamento sanitario obbligatorio),

vorrei avvalermi di una voce autorevole dell’antipsichiatria il dott. Edelweiss Cotti, intellettuale specifico in senso gramsciano, cioè determinato a conoscere, scavare, ricercare, nello stesso tempo impegnato a contrastare-trasformare con saperi e perizie mirate ogni forma di disumanità ed alienazione sociale e mentale presente nelle istituzioni psichiatriche e nella società del suo tempo , da ritenersi a tutti gli effetti l’antesignano di ogni forma di dissidenza attiva psichiatrica nel nostro paese.

Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso scandalizzò e preoccupò molti degli amministratori politici e tecnici, dei colleghi con formazione professionale legata a visioni ed approcci tradizionalisti di medicina bio-medica o di psichiatria organica,

colleghi che s’attardavano ancora a ritenere il malessere psichico ed esistenziale ( o quella che nel senso comune viene chiamata “pazzia” o “follia”) come una forma di “malattia mentale”,

con un suo tentativo tralaltro riuscito,

ed è proprio a Bologna che il dott. Edelweiss Cotti, nell’ottobre del 1954, fidandosi di quella disconosciuta, diffidata, disperata, agitata umanità,osa l’impensabile come aprire le porte del reparto, togliere le contenzioni meccaniche psichiatriche che utilizzano mezzi fisici (lacci, catene,camice di forza),ridurre i mezzi chimici (psico-farmici), e sospendere definitivamente i mezzi elettro-chimici (elettroshock,ed insulina);

contenzioni fisiche le prime che immobilizzavano i pazienti ai letti, le altre come le elettroconvulsioni(elettroshock) e i mezzi chimici (psicofarmaci ed insulina) che agiscono in modo passeggero e sintomatico, ma non sulle presunte cause organiche della cosiddetta “malattia mentale”, anzi tali terapie bio-tecno-mediche inducono illusioni di guarigione, che si traducono alla lunga in delusioni, che portano i pazienti-degenti ad auto-convincersi che, se tali terapie non funzionano su di loro, vuole dire proprio che sono dei malati inguaribili e che per questo hanno bisogno di dosi sempre più crescenti di psicofarmaci e elettroshock, fino alla tossicità e paralisi psico-corporea ;

Cotti e la sua equipe socio-sanitaria dopo aver tolto definitivamente le contenzioni fisiche e le terapia shock elettrica ed insulinica, passeranno alla progett-azione di una rapida limitazione progressiva delle terapie chimiche(psicofarmaci), che devono portare ad una riduzione totale di esse,che saranno sostituite via via da terapie attive- situazionali-relazionali (dialoghi duali, terapie di gruppo, attività creative,attività quale il prendersi cura degli spazi dentro e fuori del reparto come giardinaggio, manutenzione, cucina ecc.)

nientemeno che ai pazienti del reparto IX dell’Ospedale Psichiatrico F. Roncati, proseguendone poi o ripetedendone negli anni successivi l’esperimento, prima al neuropsichiatrico maschile di Villa Olimpia sui colli bolognesi, e poi a Cividale del Friuli, con l’amico Giorgio Antonucci, in qualità di medico assistente volontario, il dott. Tesi,in qualità d’aiuto, ed Annalena Capadelli,in qualità di assistente sociale, e tre assistenti sanitarie Franca Cattarinuzzi,Andreina Bruni e Miranda Tusulin,alcune di loro lo avevano seguito da Bologna e altre dalla Gorizia di Basaglia, accompagnandolo in queste esperienze pilota, formavano un équipe che si era aggregata e consolidata nel corso del tempo con buon coefficente di trasversalità , ” i titoli non avevano alcuna importanza tra noi, ci ritenevamo e lavoravamo alla pari, con ruoli perfettamente interscambiabili” , racconterà il dotot. Cotti, senza il quale non avrebbero potuto avere quella determinazione ed impegno a tutti e tutte comuni, che era liberare quelli esseri umani prigionieri di giudizi, stigmi e pregiudizi non solo psichiatrici ma anche antropogici e sociali.

Il dott. Cotti come un antico argonauta e timoniere di una “nave di folli” più correttamente di naufraghi provenienti da tempeste esistenziali, e da condizioni di alienazione sociale e mentale del nostro dopoguerra, giovandosi di un piccolo equipaggio di infermieri/e, assistenti sociali e sanitari, osò attraversare quel mare malinteso, temuto e sconosciuto della “follia”, mare che pochi altri argonauti e timoniere avevano intrapreso di navigare e conoscerne le oscure dinamiche in altri paesi europei:

F. Tosquelles a Saint-Alban, Francia -tra il 1939 e il 1945, David Cooper con Roland Laing a Londra -nel 1967-, e Basaglia a Gorizia -nel 1961; Thomas Szasz a New York negli anni sessanta, Giorgio Antonucci a Cividale ed Imola negli anni 60-90, Gisella Frontini ad Imola negli anni settanta e poi altri ed altre.

“la psichiatria” italiana è stata arricchita incalcolabilmente da Giorgio Antonucci. E’ possibile considerarlo un bravo psichiatra (qualunque sia il significato della parola): ed è vero. E’ anche possibile considerarlo un bravo antipsichiatra (qualunque sia il significato della parola): e questo è altrettanto certo. Preferisco considerarlo una persona rispettabile che mette il rispetto per il cosiddetto “pazzo” al di sopra del rispetto della professione. (Il pregiudizio psichiatrico, Eleuthera – 1989)

Queste esperienze porteranno a nuove conoscenze e a nuove modalità di relazione con la sconosciuta sofferenza e fragilità esistenziale che riguarda tutti gli esseri umani quali:

il considerare il malessere psichico ed esistenziale non alla stregua di una malattia organica o mentale;

l’empatia e la socialità che nasce nei dialoghi duali e nelle assemblee e collettivi di personale e pazienti come mezzo maieutico (attraverso il dialogo di giungere a verità, ma nel nostro caso anche ad auto-analizzare condizionamenti e false coscienze che alienano socialmente e mentalmente);

avviare terapie attive di trasformazione di una società che aliena socialmente ed mentalmente, ed infine discrimina ed esclude;

ritrovare nel nuovo spazio terapeutico e di cittadinanza attiva nuove autentiche soggettivazioni e col nuovo approccio situazionale e relazionale sfidare lo stigma e la discriminazione dentro e fuori le mura dei manicomi;

il concetto di empowerment

(la consapevolezza di sè e del controllo sulle proprie scelte, decisioni ed azioni, sia nelle relazioni personali sia nella vita politica e sociale; ed indica anche un processo di crescita dell’individuo sia nel gruppo basato sull’incremento della stima di sè e dell’autodeterminazione per far emergere le potenzialità latenti per appropriarsi di esse), mediato dal mondo femminista, il quale dà rilevanza alle capacità di autogestirsi anche per i pazienti di maggiore gravità, ed incoraggiare le persone con problemi di sofferenza mentale e disagio esistenziale e sociale, ad impegnarsi in attività che assecondino le loro inclinazioni ed orientamenti esistenziali e culturali;

La sua fu una lotta non violenta attiva all’orrore alle miserabili ed indegne condizioni umane che aveva trovato da giovane assistente medico all’ospedale Roncati, e le sue attività orientate alla trasformazione e de-istituzionalizzazione dell’ambiente psichiatrico paralizzante, custodialista, repressivo ed alienante,attività comparabile a quella di altri/e intellettuali impegnati altrove ad organizzare in quelli stessi anni la disobbedienza civile su altre mission, per esempio

Danilo Dolci a Partinico periferia siciliana,si batterà per per garantire abitazioni degne e per

costringere il Comune attraverso uno sciopero alla rovescia ed ad oltranza di allestire infrastrutture, quali fognature pubbliche, che vadano a sanare rigagnoli di fogna che scorrevano a cielo aperto negli spazi di gioco e di vita dei bambini,ma anche di attivare forme di pedagogia e politica attiva;

per questo s’avvalerà della psicologia umanistica rogersiana e della maieutica socratica nell’educazione degli adulti come dei bambini e giovani, inventando ed immaginando una forma circolare di democrazia di base mirata alla formazione civile e sociale, e capace di generare nuove relazione umane e sociali.

E lo stesso fece lo psicologo dello sviluppo umano Gerarde Lutte,

che operò in queste nuove periferie ove erano confluiti in massa migranti interni del sud nella Borgata romana di Prato Rotondo a Roma;

Lutte agì con altri/e della comunità dissidenti cristiane di San Paolo fuori le mura dell’Abate Franzoni, e le organizzazione di base e di lotta della nuova sinistra,

tra quelle baracche improvvisate, impegnandosi con bambini e giovani di strada a dare loro educazione ed organizzare con gli adulti lotte per il diritto all’educazione, istruzione, casa e lavoro.

Le mie vacanze erano sempre impegnate come attivista politico-sociale, ricercatore curioso ed indignato socio-analista per la miseria materiale e culturale crescente che vedevo attorno a me;

Nell’inverno del 1972 arrivai a Roma con una ‘500 bianca guidata dall’Abate Franzoni che avevo conosciuto in una di quelle conferenze dei dissidenti cristiani di Com – Nuovi Tempi a Padova sull’agire delle comunità cristiane di base e dissidenti nei confronti di una chiesa romana più osteggio dei potenti immobiliaristi padroni delle città che al servizio delle nuove povertà urbane, dell’educazione, della ricerca attiva e delle lotte sociali a fianco dei diseredati e migranti interni confluiti in massa in quelli anni di rapida industrializzazione nelle borgate romane.

Nel l’estate del 1973, ebbi modo conoscere Gerarde Lutte, di passare delle giornate con lui tra i ragazzi/e di quella borgata ed accompagnarlo in quelle sue estenuanti – gioiose attività psico-socio-pedagogiche (doposcuola ed altre attività di sostegno psico-sociale verso quei nuovi nuclei affettivi e familiari che disperavano di ogni bene materiale ed esistenziale).

Anche se Danilo Dolci, Gerarde Lutte ed Edelweiss Cotti non si conoscevano, con

certezza avevano in comune l’impegno attivo, pacifico e disobbediente contro ingiustizie e stigmi sociali, condizionamenti alienanti e le false coscienze che colpivano duramente quelle miserabili esistenze.

Entrambi avevano attraversato la guerra e la resistenza antifascista, Danilo Dolci anche rifiutandosi d’indossarne la divisa nazi-fascista di Salò e di riparare esule tra i pastori e i i monti abruzzesi.

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Ed a proposito dell’elettroshock Cotti così si espresse nelle sue memorie “contro la psichiatria” : ” Vorrei precisare le mie idee sull’elettroshock. Questa scossa elettrica applicata alle tempie produce, tutte le volte che ne viene somministrata, un eccesso convulsivo simile a quello di cui soffre l’epilettico e sul cervello provoca la comparsa di numerosissime microemorragie cerebrali.

Gli effetti dell’elettroshock sembra risultati negli stati depressivi, comunque provocano notevoli disturbi della memoria ed una notevole diminuzione della capacità ideativa.

Non si conosce il meccanismo per cui produce spesso i benefici effetti momentanei nelle depressive;

che non si conosca il meccanismo d’azione è dimostrato anche dalle troppe teorie al riguardo.

A mio vedere l’elettroshock è sempre è sempre pericoloso, prima di tutto a causa delle microemorragia che distruggendo sostanza cerebrale vengono a diminuire il patrimonio mnemonico del cervello, in secondo luogo perché consolidano nel paziente il concetto di malattia mentale anche quando s’ottengono degli apparenti, buoni risultati.

In terzo luogo perché forse il miglioramento avviene per il deficit della memoria che ne risulta e che è non tanto passeggero come sostengono i suoi fautori, quanto spesso, definitivo, tale comunque che facendo dimenticare: problemi o parte di essi, permette un momentaneo sollievo al prezzo di un terribile inganno.

Infatti i problemi non sono stati affrontati, anzi addirittura vengono ignorati;

per forza di cose al primo accenno di burrasca, ci si ricasca in condizione peggiori delle precedenti.

Eseguire l’elettroshock significa dunque diminuire consapevolmente la sostanza organica del cervello, in più di cent’anni di ricerche sistematiche eseguite con ogni mezzo, nessuno ha mai dimostrato che in questi casi esista, in esso una sofferenza.

Per un altro paragone, sarebbe come desiderare e pretendere da un cervello elettronico delle risposte che non è in condizione di dare a causa della sua costruzione e, dopo inutili sforzi, applicargli una sorgente di corrente elettrica ad alto voltaggio nella speranza che la situazione si modifichi in meglio.

Certamente la situazione si modificherà ma non certo nel senso desiderato: si avrà solo qualche valvola in meno bruciata perché bruciata dall’eccesso di corrente.

Fare l’elettroshock ha lo stesso senso.

Non c’è dubbio che il problema dell’elettroshock quale mezzo terapeutico di larghissimo consumo dovrebbe essere affrontato anche dal Ministero della Sanità, a tutela della salute pubblica, così come avviene per ogni altro mezzo terapeutico farmacologia.

Perfino il suo inventore, il Prof. Cerletti, negli ultimi anni della sua vita si rese conto dei pericoli insiti in tale tecnica, fino al punto che a Napoli, durante un congresso di psichiatria, sostenne che sarebbe stato molto più tranquillo se non l’avesse inserito fra i mezzi terapeutici, dato l’uso o l’abuso che se ne faceva.

Ho già detto che danni provocati dalle microemorrogie.

Ho già accennato ai disturbi della memoria, c’è da notare in proposito che non si tratta di disturbi lievi come affermano i sostenitori dell’elettroshock;

per i ricordi recenti si hanno delle amnesie imponenti e quasi sempre definitive, come dimostra il caso di un giovane che studiava tedesco da un anno e che dopo una serie di dodici elettroshock non fu più capace di ricordare una sola parola in tedesco.

E’ noto come per la neuropsichiatria infantile e la pediatria la comparsa di accessi convulsivi spontanei nel bambino sia da combattere e prevenire ad ogni costo appunto per evitare danni dell’accesso convulsivo sullo sviluppo psichico del bambino, che come tutti sanno viene danneggiato in misura proporzionale al numero di accessi subiti.

Non mi si risponda che nell’adulto l’accesso convulsivo dall’elettroshock ha degli effetti meno importanti, perché ricorderei che l’elettroshock, se somministrato a dosaggi due-tre-quattro volte superiori a quelli medi (come fanno coloro che desiderano ottenere, per i cosiddetti scopi terapeutici, l’annichilimento del paziente), riduce il soggetto a vivere una vita quasi esclusivamente vegetale.

Se con un dato numero n di elettroshock si ottiene la scomparsa pressoché totale di ogni attività psichica, l’annichilimento, con un numero pari a N/2, N/3, N/4 , si otterrà in proporzione la distruzione di una parte più o meno grande del patrimonio psichico.

Se questa mutilazione artificiale fosse sostenuta da spiegazioni convincenti circa la sua utilità la si potrebbe accettare (come si accetta per forza maggiore un intervento chirurgico mutilante, nel caso, per esempio, di un tumore) ma nella situazione esistenziale nella quale viene somministrato l’elettroshock non c’è bisogno dell’azione mutilante che apparentemente sana la situazione.

C’è bisogno invece di capire, di aiutare a superare e a rompere l’isolamento, c’è solo da modificare una situazione esistenziale.

Forse, per onorare degnamente la memoria di Cerletti e in sostanza seguirne il desiderio, è bene limitare l’uso dell’elettroshock all’uccisione dei porci, come si faceva ai tempi in cui egli cominciò a studiare l’effetto proprio sui maiali.”

Voce “elettroshock” tratta dalle memorie “contro la psichiatria” -1970 -di Edelweiss Cotti-

Per me che sono divenuto un consapevole ecologista sociale e della mente ed un antispecista ed animalista, tali pratiche di tortura violenta e mortale sugli animali mi addolora quanto mi indegna quella sugli umani;

(ma ) usando una congiunzione avversativa molto presente nelle scritture- memorie di Cotti, per le conoscenze anche esperienziali seppur brevi con il dott. Cotti, per averlo conosciuto e soprattutto per il fatto che, attraverso i suoi rapporti di cooperazione e ricerca con la cattedra di Sociologia II,dell’Istituto di Scienze sociali e politiche di Padova,corso che in quell’anno 1973-74 frequentavo, e che trattava specificatamente delle istituzioni totali (manicomi, carceri, collegi minorili ecc), alla fine dell’anno ai noi frequentanti ci fu proposto dai docenti, se volevamo recarci ad Imola all’Ospedale psichiatrico il “Lolli” diretta dal dott. Cotti come volontari ricercatori attivi, ove era in corso nei reparti della dott.ssa Gisella Frontini un’attività di ri- umanizzazione e ri- socializzazioni di pazienti dei suoi due reparti, uno di maschi adulti ed uno di donne adulte. E fu proprio per questa circostanza- esperienza che mi recai ad Imola e poi a Bologna, ove attualmente risiedo.

Ed inoltre avendo avuto modo di conoscere la sua empatia ed umanità che riservava ai pazienti- degenti, o ospiti come lui preferiva chiamarli, le sue parole dal suono cinico quali:”è bene limitare l’uso dell’elettroshock all’uccisione dei porci, come si faceva ai tempi in cui egli (Cerletti) cominciò a studiare l’effetto proprio sui maiali”, sono da iscriversi più nel suo linguaggio pop, iperbolico ed ironico, che anche questo era una caratteristica della sua complessa personalità; di Cotti per semplificare “si potrebbe dire che non farebbe male neppure ad una formica”, figuriamoci a dei maiali.

Per approfondimenti :

Testo tratto da: centro relazioni umane/antipsichiatria-bologna.net

Roger Pycha, primario di psichiatria all’ospedale di Brunico e noto sostenitore dell’elettroshock, in un’intervista alla “Tageszeitung” sudtirolese (quella di Arnold Tribus) sostiene, contro tutti/e, almeno in Italia, la bontà dell’elettroshock, con argomenti “soft”, oltre a tutto: A) minimizzandone gli effetti, dove, a parte la pratica in sé, la narcosi/anestesia locale ha notoriamente effetti anche sul piano strettamente medico (ogni anestesia, anche locale, è comunque un problema, come noto, persino in sede odontoiatrica – ciò vale a fortiori per ogni intervento chirurgico, anche piccolo – di scarsa entità); B) la protesta anti-elettroshock sarebbe, Pycha dicit (ma anche il giornale avalla questa tesi), un fenomeno soprattutto italiano e di sinistra, il che, in un pubblico sudtirolese favorisce la classica associazione Italiani=comunisti, con le conseguenze ben note.  Anche se Pycha (diamogli ciò che è suo, pur se, riprendendo e contrario le famose parole, non è né Dio né Cesare, almeno finora…) usa toni “soft”, ammettendo che prima l’elettroshock aveva funzioni punitive-di controllo sociale (come se ora non ne avesse…), anche sul piano psichiatrico estende la terapia elettroconvulsivante a categorie comunque non omologate, in genere, come i “maniaci”. Ora, a parte la giusta contestazione delle tassonomie psichiatriche (qui Szasz e Antonucci docent, non Pycha, ovviamente), neppure la limitazione dell’elettroshock a persone con “depressione grave” (Giovanni Cassano, per es.) al primario dell’ospedale brunicense basta più…   Fate voi…    Eugen Galasso 

il lato oscuro dell’elettroshock di Andrea Capoci

https://ilmanifesto.it/il-ritorno-oscuro-dellelettroshock

Testo di ricerche e memorie attive elaborato da Pino de March per Comunimappe

www.comunimappe.org