simposio romsintogagiano d’autunno

         “                                                                  

“I frutti puri impazziscono”                                                                                                                               

James Clifford, etnografo surrealista,  titolava così un suo saggio,                                                          

 riprendendo un verso del poeta statunitense William Carlos Williams.

L’Associazione MIRS – Mediatori Interculturali Rom e Sinti in cooperazione educativa e culturale con il CESP- Centro studi per la Scuola Pubblica e COMUNIMAPPE – Libera Comune Università Pluriversità Bolognina

organizzano un SIMPOSIO ROM-SINTO-GAGIANO

“BOLOGNA CITTA’ APERTA:

NUOVE RELAZIONI DI CONVIVENZA URBANA TRA GENTI, LINGUE E CULTURE ROM, SINTE E GAGI(non rom)

SABATO 23 NOVEMBRE 2019

AL CENTRO SOCIALE COSTA, VIA AZZO GARDINO, 44

DALLE ORE 16.30 ALLE ORE 23.00

(Ci sarà a partire dalle 19.30 una meravigliosa frugale api-cena con musica roma-gagiana; se partecipate inviateci un messaggio di partecipazione per accogliervi meglio)

Invitiamo tutti e tutte coloro che abitano, transitano, vivono e sentono la città di Bologna come una Comune Città,

siano essi nomadi, sedentari o migranti,

che desiderano partecipare ad un progetto di costruzione di “contrade solidali” o  “zone di contatto o di transculturazione” ospitali, solidali e pluriverse, ove possano con-vivere e cooperare attivamente molteplici genti, lingue e culture nel reciproco rispetto.

Invitiamo associazioni culturali, centri sociali e culturali, educatori, docenti, intellettuali, artisti e persone delle comunità urbane Rom, Sinte e Gagi.

Abbiamo organizzato questo Simposio al fine di ri-conoscere le nuove comunità urbane Rom e Sinte, tuttora disconosciute, disperse e discriminate e abitanti delle nostre estreme periferie, e le loro relative culture,  che sono a tutti gli effetti parte della nostra cultura comune europea, culture che hanno eccelso  in molti campi delle arti e dei mestieri (c’è molto di romanes nella cultura europea e molto di europeo nella cultura romanes),

ma anche per far conoscere le attività di educazione emozionale e di trans-culturazione nelle scuole come nei territori metropolitani, contro il ritorno delle discriminazioni, pregiudizi, stereotipi e stigmi che colpiscono negativamente la dignità comune delle minoranze come delle individualità romanì (Rom e Sinti), discriminazioni che sono diventate altrettanto intense e trasversali verso altre soggettività minori presenti tra noi (migranti, donne, lgbtq, ebrei,disabili ecc).

E per attivare memorie di deportazione e stermini nazi-fascisti dimenticati: divoramento o genocidio che i romanì chiamano “Porrajmos, Samuradipen”, e gli Lgbtq chiamano “omocausti” e le comunità ebraiche “shoah”.

 X contatti : Pino de March – referente progetto di cooperazione all’educazione emozionale -relazionale e di tras-culturazione

e-mail: comunimappe@gmail.com

per conoscenza attività di cooperazione all’educazione emozionale-relazionale e di trans-culturazione: www.comunimappe.org

MEMORIE DI ESODI di dom,lom o rom                                                                                     Nel 1011 il poeta persiano Firdowsi terminò il “Libro dei Re” (Shahanama), trattasi di una vasta opera poetica, che costituisce l’epica dei paesi di lingua persiana; libri che raccontano il passato mitico e storico di quell’esteso paese, la Persia. In esso si racconta anche dell’arrivo di diecimila ‘Luri’ (suonatori di liuto), accolti dallo Scià Behram-gor V, richiesti e inviateli dal suocero, il re indiano Shengùl, per divertire le sue Genti. I Lùri (chiamati  Dom (uomini o umani) in Medio Oriente; in seguito Lom (uomini o umani) in Armenia e Rom(uomini o umani)  in Europa), sono spesso menzionati dai poeti persiani che ne decantavano l’eleganza nel vestire, l’abilità nel suonare il flauto e il loro colore “nero come la notte”:

“O re cui giunge l’implorazione altrui,

Di girovaghi musici trascegli

Uomini e donne, a diecimila, tali

Che cavalcando battere in cadenza

Sappian liuti, e a me li invia ben tosto

Perché la voglia mia per questa gente,

Celebre tanto, satisfatta sia”.

Testo poetico tratto dal “il vento e l’orologio di Antonello Mangano,ed. terre libere;                                                                                     traduzioni di Italo Pizzi,iranista ed accademico,ma anche artista, filosofico religioso e giuridico istituzionale)

Nonostante il  carattere  leggendario dei  testi,  rimane  rilevante  la

testimonianza  scritta  dell’arrivo  in  Persia  di  genti nomadi proveniente dall’India prima del X secolo, con una reputazione di musici di grande talento.                                                                                                                         Le tracce del lungo soggiorno persiano sono ancora presenti nella lingua romanes,  a  cominciare  dal  termine  ‘darav’  (mare),  derivato  dal persiano ‘darya’. E’ incerta la  permanenza di popoli romanì in  Persia fino ad oggi, anche a  causa della confusione che  spesso i  viaggiatori hanno fatto  con gli Arabi nomadi ed in particolare con i Beduini. Sicuramente, il viaggio proseguì verso nord-est, attraverso l’Armenia ed il Caucaso. Ancora una volta,  sono gli elementi linguistici  a svelarci  il percorso dei romanì: la loro è una lingua rotta (pagherò in romanes), frantumata(o pagherdì in romanes) da lunghi esodi, migrazione,schiavitù, divoramenti o genocidi (porrajmos o samuradipen),una lingua e una cultura aperta (testimoniata e documentata in tutte le sue varianti linguistiche e culturali), che ha saputo accogliere in sé, tra queste fratture-rovine, altre parole ed espressioni non solo persiane ma di tutte le culture apprese nei territori di transito o di soggiorno. Da ormai un millennio dopo aver lasciato l’India settentrionale in differenti ondate, passando per il Medio Oriente, risalendo attraverso i Balcani o navigando per mari nostri giunsero all’Europa, ed in questo nostro comune continente si sparsero in ogni dove, ma molti altri di loro non si fermarono tra noi, ma andarono spinti dalla curiosità o dalla necessità a popolare tutti i continenti, tanto da essere considerati assieme agli ebrei, popoli transnazionali).

BOLOGNA 1422                                                                                                                                                                            Una delle prime cronache italiane che raccontano della presenza dei Rom è un documento del XV secolo, di un anonimo bolognese (la “Historia miscellanea bononiensis”) che narra dell’arrivo a Bologna, nel 1422, di una comunità nomade, ospitata nell’attuale Montagnola, dicesi condotta da un duca che si faceva chiamare ‘AndreaS’. Questo gruppo sosteneva di provenire dall’Egitto(oggi solo i romanì anglo-americani si definiscono “Gipsy”, che deriva dal latino aegyptanus o ovvero egiziano, etnomino usato per farsi accettare contrabbandandosi per ricchi mercanti  egiziani nonostante la loro evidente povertà), ma molte  altre fonti sostengono che questi popoli romanì  ebbero una lunga permanenza nell’Impero Bizantino d’Oriente, e documentano che da lì  essi tutti provenissero, terre ove si parlava il greco bizantino, lingua che in quel tempo essi usassero per rivolgersi ai Gagi (non Rom). E quindi è probabile che il duca Andreas intendesse dire di essere il Duca degli “Adreas”, cioè degli uomini (Andreas, derivante dal greco aner, che indica gli uomini, con lo stesso significato che essi ora attribuiscono a se stessi, cioè “Rom o uomini).                   

La musica, le arti circensi,gli spettacoli viaggianti, la magia  e tutte le attività ad esse connesse, sono state sempre annoverate tra le attività tradizionali di questo popolo.                                                                                   « Popolo di acrobati, danzatori, cantanti, giocolieri, saltimbanchi, i Romanì si sono sempre distinti sia nello spettacolo viaggiante, (giostrai, circensi, saltimbanchi), sia nei gruppi stanziali come quelli dei Romanì di antico insediamento dell’Italia meridionale e dell’Abruzzo, dove accanto ad attività più “statiche” e tradizionali (allevatori e mercanti di cavalli, lavoratori dei metalli, arrotini, ombrellai  ecc.) non si sono mai trascurate attività legate all’arte».                                            Da questo punto di vista il destino del popolo romanì sembra racchiuso nel significato stesso del suo nome, derivante dall’originario etnonimo (sinonimo di etnico) Dom e Domba, che in sanscrito significa “spettacolo”; così come i Dom (intesi come uomini di spettacolo), popolo indiano antenato dei Romanì, è attestato che fosse una popolazione di musicisti, cantanti, fabbri e conoscitori dei metalli e arti magiche,che in virtù delle loro straordinarie abilità tecnico-musicali godevano per questo di stima ed erano queste  attività che garantivano loro, ospitalità (nell’Europa centrale nominati come bohémienne, eteronimo attribuito ad artisti e musicisti romanì, viaggianti con salvacondotti del Re di Boemia (in seguito in epoca romantica indicava gli artisti che vivono in modo libero  ed anticonformista come i romanì.                                                                                                                                                                                                           Da notare e sottolineare che “zingaro” è un eteronomo, cioè un termine etnico attribuito ai romanì dall’esterno dai gagi (o non Rom), oggi usato solo in modo monovalente per  disprezzare, termine equiparabile ad altri termini eteronomi come negro,frocio, terrone,avaro come un ebreo o un genovese ecc.                                                                                                        Non è sempre stato così, solo 30 anni fa in Italia, “zingaro” aveva un significato ambivalente (negativo come positivo) gli artisti e i musicisti, tra loro Claudio Lolli cantava  “di zingari felici in Piazza Maggiore”, e Iva Zanicchi con “prendi questa mano zingara”, chiedeva ad una “zingara” di dirli di “futuri e d’amore” o Fabrizio d’Andrè che in una canzone cantava “mia madre mi diceva di non giocare nel bosco con gli zingari” e in un’altra “il cuore rallenta e la testa cammina/in buio di giostre in disuso/qualche rom si è fermato italiano/come un rame a imbrunire su un muro/saper leggere il libro del mondo/con parole cangianti e nessuna scrittura/nei sentieri costretti in palmo di mano/i segreti che fanno paura/finché un uomo ti  e incontra e non si riconosce/e in ogni terra s’accende e s’arrende la pace”.

 BOLOGNA 2022: Prepariamoci a ricordare  i 6OO anni d’arrivo a Bologna e ospitati alla Montagnola delle genti del duca Andreas o degli “Andreas”,degli “uomini neri, felici e raminghi” da un millennio ormai per il mondo(ton anthròpon), ma sicuramente per secolare girovagare, nascere e crescere  in terre italiane,per “ius soli”,cittadini italiani a tutti gli effetti; ed invece percepiti o non visti come stranieri.  

Per il Mirs:testi di presentazione di Pino de March e loghi di Raffaele Petrone

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