note visione: il 25-2 è la data dipubblicazione non del seminario che si terrà il 27/2
La Libera Comune Università Pluriversità Bolognina
Seminario semestrale: Commofare e Mondi di vita comuni
3 lezione: I movimenti indo-latini in Abya Yala (*)
Venerdì 27 FEBBRAIO 2015
Dalle ore 18.30 alle 20,30
Le “timide luci” del mondo nuovo che in senso lato i movimenti dal basso in America Latina tentano di costruire attraverso sguardi, analisi ed internità di Gustavo Esteva e Raul Zibechi
Relatore Aldo Zanchetta interprete contemporaneo del pensiero di Ivan Illic e studioso dei movimenti sociali in America Latina
Accordatore Pino de March ricercatore sociale e componente della Accademia Comuni-mappe
Presso Spazio HUB 57 interno COMMUNIA Via Serra 2/f -Bolognina- autobus 17, 11, 27 (traversa di Via Tiarini, accanto Teatro Testoni)
Entrata Libera con contenuti open free source
(*)
L’espressione Abya Yala che viene ritrovata e dissotterrata dai nativi stà ad indicare il nome dato al Continente sud-americano da parte dai nativi Kuna del Panama e Columbia prima dell’arrivo degli esploratori e conquistatori europei. Il significato originale dell’espressione ‘Abya Yale’ è – terreno linfa vitale-.
Presentazione della lezione e dialoghi interattivi
Disperdere l’Uno dispotico democratico in molteplici singolarità come forme di vita esistenziali, materiali e sociali dal basso non separate e non parallele ma interne alle comunit
A
Emergenza di forme di resistenza alla distruzione dei territori e delle forme millenarie ea
co-antropologiche e di moltepici forme di vita comunitaria aperte
Gustavo Esteva e Raul Zibechi sono due intellettuali attivisti de-professionalizzati latino-americani, sono da considerare i due più importanti analisti delle molteplici risposte dal basso dei movimenti indo-latini e latino-americani, che sono da considerare le forme emergenti della socialità del mondo indigeno-campesinos e dei marginali urbani nella rinata Abya Yale; essi si oppongono e resistono ormai da anni al pensiero unico neo-liberista e al dispotismo democratico. L’espressione Abya Yale che viene ritrovata e dissotterrata dai nativi sta ad indicare il nome dato al Continente sud-americano da parte dai nativi Kuna del Panama e Columbia prima dell’arrivo degli esploratori e conquistatori europei. Il significato originale dell’espressione ‘Abya Yale’ è ‘terreno linfa vitale’ . Il Continente impropriamente definito latino-americano a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso, attraverso variegate insorgenze popolari, da quella zapatista del Chiapas messicano e passando per altre sollevazioni popolari in Bolivia all’inizio del 2000 a Cochabamba, nell’altopiano aymara e precisamente nella città di El Alto e poi diffusasi in altri paesi del continente(Uruguay, Argentina, Venezuala ecc), ha visto dispiegarsi una resistenza al pensiero unico capitalista e patriarcale attraverso molteplici esperienze di costruzione di “un mondo capace di contenere mondi diversi”. L’importanza di questi contributi analitici ed esperienze dal basso “risiede soprattutto nel dare una nuova ispirazione a quella che appare la più profonda crisi in cui siamo immersi “qella dell’immaginazione politica e sociale”: (i testi tra virgolette citati sono del gruppo ‘camminar domandando’ che potete trovare anche in internet).
Gustavo Esteva in uno dei suoi interventi del 10/4/2013 all’ex-M 24 (spazio autogestito via Fioravanti 24) soteneva che non siamo in presenza solo di una classica crisi ” di quello che tecnicamente chiamiamo il modo di produzione capitalista, ma ad un crollo golobale di civiltà, poichè questo modo è avviato alla fine; si è trovato esausto, ha avuto bisogno di scappar via dall’economia reale, dall’economia produttiva, verso il settore finanziario. Questa fuga verso il settore finanziario ha creato innanzitutto un’illusione: l’illusione banale comune (condivisa dalle stesse classi sociali medio-basse) che il denaro possa produrre denaro”.
Ora prenderemmo in considerazioni altre affermazioni analitiche che Esteva espresse in quella dialogante assemblea dell’ex -m-24 di analisi della dominazione brutale del capitalismo ‘post-capitalista’ e la voce dei movimenti indo-latini e latino-americani collocati quest’ultimi in aree più metropolitane.
[…]
“gli enormi profitti specualativi del settore finanziario sono stati il frutto di un saccheggio sistematico dell’economia reale”
[..]
Abbiamo ora il paradosso di trovarsi in un mondo post-capitalista però con dinamiche precapitaliste. Per essere precisi, diciamo che ancora una gran parte dei profitti del capitale si ottiene in forma capitalista, con relazioni di produzione capitalistiche, ma le dinamiche del sistema non sono più lì.”
[…]
“E’ finito verso quello che possiamo chiamare accumulazione per via di spogliazione, di rapina. Il saccheggio si realizza ancora in una forma coloniale pre capitalistica. Questo è ciò che a suo tempo Marx ha chiamato ‘accumulazione primitiva’. La forma principale di questo sistema di rapina è il saccheggio del territorio, complice una forma politica statale corrotta di dispotismo democratico con i poteri economici e politici transnazionali; un modello di relazioni economiche e politiche che richiede violenza.”
[…]
Farò ora un esempio molto preciso di questo sistema di rapina e saccheggio del mio paese. Il governo messicano ha venduto a corporazioni private transnazionali, il 40% del territorio del Messico, concendole in concessioni per 50 anni principalmente per attività minerarie. E il governo stesso si è assunto l’obbligo di ripulire questo territorio dalla gente che vi abita. Ed è quello che sta facendo, cercando di spostare la gente, fondamentalmente indigeni(nativi), da queste terre date in concessione. Dal momento che la gente non lo permette e resite, il governo messicano ha organizzato una vera e propria ‘guerra’ con il pretesto del narcotraffico per spogliare la gente di quelli spazi di vita comunitaria, materiale ed esistenziale.”
[… ]
” lo schema post-capitalista richiede violenza e l’eliminazione di tutte le forme democratiche. Viena alla luce il vero volto del sistema, che è quello del dispotismo democratico. Così la notizia della fine del capitalismo, che è morto, non è una buona notizia, perchè hanno preparato qualcosa di peggio da mettere al suo posto.”
Esteva poi arriva alla paradossale proposizione che “il regime capitalistico di oggi nel mondo non opera più sulla base della legge del valore e del lavoro astratto, ma con un’altra dinamica che lui chiama post-capitalista; (1)
inoltre afferma che la parola crisi non è più sufficiente a comprendere questa nuova situazione che si è creata. Un colasso che trascina con sè l’intero pianeta. E questo significa per Esteva diverse altre cose. La prima è riconoscere la cosa più importante che si tratta di una civiltà patriarcale. Far capire che le strutture immaginarie e reali del patriarcato consolidato da migliaia di anni conosciuto come -dominio della natura e delle donne- è anche il presupposto delle società moderne capitaliste che hanno messo a valore, reificando e mercificando non solo le donne e la natura ma anche i corpi e le menti e così l’intera attività umana materiale ed immateriale.
(1)approfondimento: il lavoro astratto capitalistico va inteso in senso marxiano come traformazione delle risorse nauturali e delle attività umane in merci e profitti, e come risultato del processo di accumulazione capitalistica primaria , reificazione e spogliazione senza socializzazione dei profitti realizzati- in forma di -welfare state-, ciò che fanno invece i nuovi governi progressisti ora al ‘comando rappresentando’ in molti paesi del continente; però questi governi progressisti cominciano a risultare insopportabili ai nuovi movimenti indo-latini perchè pur realizzando spese pubbliche, queste socializzazione del plus-valore prodotto si manifesta in forma minimale di welfare minimali e perdipiù perpetua forme neo-coloniali e capitaliste di spogliazione dei territori, con il mantenimento di forme di mono-cultura che non solo impoveriscono la fertilità dei territori ma trasformano radicalmente paesaggi, habitat e forme di relazione eco-antropologiche millenarie; in questo momento i movimenti indo-latini richiederebbero invece forme nuove Commonfare- che loro chiamano – sviluppo sostenibile della pachamama -terra madre-, delle loro forme di comunità in divenire aperte alle nuove relazioni eco-antropologiche e eco-nomiche)
B
Dispersione dell’Uno democratico dispotico in molteplici forme di vita esistenziale, materiale e eco-antropologiche
Marco Calabria nella prefazione ad un altro testo “disperdere il potere” di Raul Zibechi così ci introduce nelle insorgenze e nelle nuove forme di organizzazione dal basso dei movimenti indo-latini: “non è l’elezione del primo presidente indigeno del Continente( cioè Evo Morales in Bolivia), il risultato più interessante ottenuto dai movimenti sociali indigeni”. Lo sguardo ‘interno’ ed ‘orizzontale’ di Zibechi sugli avvenimenti boliviani del nuovo secolo scava molto più a fondo, alla ricerca della costruzione di poteri non statali, cioè non separati dalla società (e dalle comunità). La ricerca di Raul Zibechi sul campo investe soprattutto El Alto, una città di oltre 800.000 abitanti cresciuta ai margini settentrionali di La Paz, in pieno altopiano andino. Nella prima città aymara del continente, la ‘guerra’ del gas dell’ottobre 2013 è andata oltre ogni argine e la comunità indigena si è radicata, espansa e cresciuta per la prima volta in un territorio urbano. Sempre nella presentazione di Marco Calabria si parla di “un maestoso fiume in piena, l’ondata della ribellione aymara ha dissolto ogni istituzione -quello dello Stato e dello stesso movimento-(inteso nel senso parallelo, progressista rivoluzionario alle comunità), disperdendo il potere-dominio in 500 ‘micro(auto)governi di quartiere e dispiegando tutta la potenza; la Potestas dell’Uno viene dispersa in una molteplice dispiegata di potentia moltitudinaria, cioè la ‘capacità di fare’ dei cittadini’ autogestiti e autogovernati.
Potentia-in senso latino e spinoziano-deleuziano moderno di potenzialità della soggettività umana e sociale
Potestas- in senso latino e hobbesiano moderno di dominio e di assoggettamento.
E in questi momenti scrive Zibechi, che l’insurrezione mostra le zone d’ombra della società, in genere oscurate dall’inerzia imposta dalla dominiazione. Appaiono così le relazioni quotidiane -molecolari- della comunità; possiamo qui dire che Deleuze-Guattari avevano già intravvisto visto e all’opera in Europa questo divenire molecolare in alcuni movimenti anti-stituzionali post-68, e lo avevano enunciato in forma teorica in una loro opera minore -Una Tomba per Edipo-; questo agire molecolare l’avevano visto agire nelle aggregazioni sotterranee delle istituzioni totali -manicomi, carceri, scuole-università -caserme, famiglia ecc., e nelle dirompenti azioni di de-istituzionalizzazione e de-strutturazione del dominio ‘molare’ cristallizzato nelle molte forme di assoggettamento capitalistico-statale; questi processi di molecolarizzazione erano agite attraverso la costituzione di gruppi-soggetto-orizzontali-trasversali-de-ruolizzati e de-professionalizzati(psichiatria istituzionale, proletari in divisa, medicina del lavoro, gruppo di ricer-azione tra docenti e studenti, collettivi femministi, omosessuali, centri autogestiti di giovani proletari ecc. ); queste concatenazioni trasversali sono state sostenute con una trasparente complicità teorica per Deleuze e pratica per Guattari.
Per tornare di nuovo sull’azione molecolare e di relazioni comunitarie dei movimenti inodo-latini occorre fare attenzione,c i invita Zibechi, che “non esiste comunità, e questa è piuttosto una forma emergente che assumono i legami tra le persone in moviemento anche in contesti etnici quali quelli analizzati e vissuti”. Una forma non simmetrica(asimmetrica) a quello dello Stato e dei suoi apparati (simmetrici), differenti anche da quelle disegnate dalle strategie dei rivoluzionari pogressisti di mezzo mondo. La comunità è ma si fa.
Per Zibechi “i movimenti hanno oggi due soli modi di fare politica partendo dai limiti, da ciò che non si è stati in grado di fare o dalla potenza, da ciò che potenzialmente si potrebbe fare ma si dispiega solo in certi momenti. L’insufficienza ‘politica’ dei movimenti, così come, all’opposto, la loro autonomia, dipende anche dalle forme con le quali si esprimono. Se l’organizzazione non deve essere necessariamente una struttura esterna (partiti o sindacati o forme organizzate di ‘movimento’ parallele ad esso), ma ciò che già esiste nella vita quotidiana o internità ad essa(questa è una delle novità dei movimenti emergenti indo-latini e latino-americani dal basso :Argentina,Bolivia, Chiapas( Messico)….
Zibechi non manca però di rilevare che non esistono società, nè spazi sociali senza Stato (nella complessa società moderna con i suoi nessi amministrativi direi anch’io). Quando si parla di poteri non statali, si fa dunque riferimento alla loro capacità di ‘disperdere’ lo Stato o almeno impedire che si ‘cristalizzi’. Per Marco Calabria che cura il testo -disperdere il potere – questo ha un interesse anche per i lettori italiani, il fatto che poteri non separati dalla società nascano in una situazione urbana, la città di El Alto, popolata da gente di diversa composizione sociale (minatori, operai indigeni-capesinos ecc.) costretta a migrare a causa terremoto sociale prodotto in Bolivia dal modello neo-liberista (uso delle terre anche comuni per scopi agro-industriali o minerarie da parte di compagnie transnazionali) . Si sottolinea criticamente anche che la rappresentanza(democratica) , sebbene ‘eletta’, come afferma anche Max Weber comporta sempre una relazione di dominio. Trasforma la persona in mezzi per produrre fini (comando sulle genti), aggiuge Zibechi. Allora ci si domanda esiste un’altra via possibile? C’è un’alternativa secca tra il ‘comandare rappresentando’ e la semplicie organizzazione del percorso di una decisione comune come camminar domandando’ in mezzo alla tua gente?
E poi un’ altra domanda : il concetto non identitario di comunità così come rinventato ed esperimentato (come relazione tra persone autonome che condividono forme di vita esistenziale, materiale e sociale),in modi e contesti diversi, può valicare i confini storici e geografici?
Quello indigeno secondo Marco Calabra è certamente un ambiente particolare, dove il ‘noi’ ha un peso assai maggiore di quello (del) nostro (‘io’), ma anche qui, ad esempio a Scanzano (aggregazioni dal basso contro il deposito scorie nucleari) o in Val di Susa (contro l’alta velocità), abbiamo visto processi in qualche modo paragonabili;
Ma qui aggiungerei a parte alcune esempari lotte sopra ricordate, il potere-dell’Uno democratico dispotico- ha disperso ormai da tempo il nostro possibile noi-comunitario -il molteplice – -frammentandolo in una miriadi di ‘io’ deboli, narcisiti, conformisti, precari o in ‘noi’ subalterni lobizzati, assoggettati. Questo non vuole dire che non si può esperimentare una tale democrazia radicalissima, ma per farlo bisogna essere consapevoli per prima cosa di questa interiorizzata frammentazione culturale prodotta da una sotterranea ideologia individualistica neo-liberista che attraversa e conforma l’intero corpo sociale precarizzandolo e confermandolo per target. Su questo Pasolini aveva colto questi segni di distruzione culturale e di afasia dei giovani nelle borgate romane con l’arrivo della televisione, e anche dell’emergere di una neo-lingua omologante; una devastazione che paragonava all’arrivo delle SS; però quando denunciava la tv come responsabile di tutto questo, si riferiva alla televisione pubblica di Bernabei, direttore in quel tempo della tv di Stato; in realtà aveva colto anticipatamente il ruolo passivizzante del medium freddo direbbe Mc Luhan, ma non ebbe modo di esperimentare fino in fondo questo incubo, per la sua prematura scomparsa o assassinio politico; in realtà questa apocalisse culturale non era tanto prodotta dalle tv statali ma da quel non ancora emerso biscione di tv commerciali che avrebbe alterato non solo il tessuto culturale ma anche quello politico. Si coglie immediatamente la differenza di clima e opinione pubblica viaggiando in Europa.
E sempre Marco Calabria si “domanda camminado”:il fatto che le juntas vicinales (spazi di auto-organizzazione e decicisione vicinale) di El Alto -che più piccole sono e più forti sono – è un paradosso irripetibili ?. Per fare un solo esempio italiano: la possibilità che c’era all’inizio del secolo XXI di riunire le decine di forum sociali spuntati come funghi prima e dopo Genova(2001) in un Forum sociale italiano permanente avrebbe dato al movimento più forza o maggiore visibilità? A questo proposito avanzerei una ulteriore domanda: non è proprio questo processo concentrazionale di massa a Genova o dopo Genova da considerarsi la causa della dispersione del molteplice e la riaffermazione di un ‘Uno democratico dispotico’?; non perchè non si dovessero intrecciare relazioni tra i molteplici forum ma perchè l’egemonia esercitata da settori organizzati separati o paralleli al movimento diffuso ed autorganizzati nei territori ha determinato un soffocamento e una centrifugazione di esso o di esse. Syriza in Grecia e Podemos oggi in Spagna dimostrano che l’indignazione diffusa ed autorgnizzata può anche esprimere livelli di “camminar domando e trasformando”. Un altra cosa importante da sottolineare è che a El Alto il principale protagonista ‘dell’occupazione’ (o dell’affermazione della dimensione anche materiale) è il lavoro informale. Zibechi scrive di non avervi rivelato divisione, perchè ‘i compiti vengono svolti in maniera comunitaria e non c’è separazione tra il lavoratore e ciò-che-fa’. In un ambiente urbano, non esisterebbe dunque relazione operaio-padrone ma solo forme di cooperazione e produzione autogestite, sebbene dipendenti dal mercato.
C’è da aggiungere che le forme di reciprocità e condivisione dei popoli nativi espressi in forma moderna nei movimenti indo-latini hanno trovato cittadinanza anche El ALto, con una diffusa proprietà urbana in-divisa e forme di socializzazione del reddito autoprodotto. Può essere un’esperienza interessante (non certo modello) anche per chi cerca vie d’uscita dal precariato che travolge il lavoro o lavori nei paesi avvanzati si domanda Marco Calabria? Le pagine di questi libri -disperdere il potere – di Raul Zibechi come -l’elogio dello zapatismo- di Gustavo Estevara raccontano il cuore indigeno del Sud America o dell’Abya Yale dei nativi, e cercano di farci ascoltare le voci, raccontarci delle forme di vita auto-organizzate delle genti comuni e delle comunità, ma innanzitutto di condividere le loro esperienze non per imitarle ma per ispirarvisi.
Testi uitilizzati di ricerc-azione sociale:
Gustavo Esteva: Crisi sociale ed alternative dal Basso-autoprodotto dal gruppo -camminar domandando- stampato in proprio
Raul Zibechi:Disperdere il potere -Edizione Carta-Intra Moenia-Napoli
Gustavo Esteva: Elogio dello Zapatismo-Fondazione Neno A^Zanchetta -Lucca libri Karma sas –
il Testo -Disperdere l’uno dispotico democratico in molteplici forme di vita esistenziali, materiali e sociali dal basso non separate e non parallele ma interne alle comunità- è stato elaborato da Pino de March della Comune Accademia Comunimappe
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