Libera Comune Università Pluriversità Bolognina
PRESENTA:
MERCOLEDI 24 APRILE 2013
DALLE ORE 18,00 ALLE 23,45
HUB – VIA SERRA 2/G – Bologna Bolognina
sera-notte di resistenza
come memoria attiva dei processi di liberazione
sera-notte di indignazione
come affermazione di dignità
PROGRAMMA:
DALLE 18 ALLE 20
LABORATORIO POETICO E FILOSOFICO
CONVERSAZIONE CON IL POETA CARLO BORDINI:
RESISTERE ED INDIGNARSI IERI OGGI E DOMANI
“…e se una cosa Carlo Bordini non prevede, questa è la sua scrittura; non ne calcola i benefici istituzionali. E’ il sentirsi scritto (sono scritto).
esso si coniuga con una irresistibile pulsione autobiografica; i poemetti di Bordini hanno infatti un avvio ed un decorso autobiografico fino al rischio del dolore.
bordini ha sempre cercato dentro ed intorno a sé ..come un moralista, uno spietato ..cronista del vero.”
F. Pontorno
“un poeta ed un intellettuale che trovi sempre a fianco a te nell’indignazione nell’affermazione delle dignità delle minoranze come delle moltitudini nelle strade e nella reti” .
P. de March
…a seguire lettura dal poemetto “ma noi mangiamo carne”
Con i Poet*
Pino de March ed Antonella Laterza
(Libera Comune università pluriversità bolognina)
con le poete e i poeti:
Loredana Magazzeni
Serenella Gatti Linares
Vincenzo Bagnoli
Michela Tura
Anna Zolli
Leila Falà
per il Gruppo donne e poesia ’98
ed altri/altre
DALLE 20 ALLE 22
MUSICA – CIBI AUTO-PRODOTTI – VINI BIOLOGICI
con STELLA CAPELLINI (musicista e poeta) CANTI POPOLARI E DI RESISTENZA
DALLE 22 ALLE 23, 45
BAGLIORI DI RESISTENZA – CON POETI POETE E MUSICISTI PARTECIPANTI
(Se possibile nella piazzetta difronte al teatro Testoni)
PAOLO BOSCO
– RACCONTO STORICO DELL’ASSALTO DEI FASCISTI A PALAZZO D’ACCURSIO (21 NOVEMBRE 1920)
PINO DE MARCH
– BIOGRAFIE ANTIFASCISTE: I FRATELLI ROSSELLI
LOREDANA MAGAZZENI
– AMELIA ROSSELLI, POESIE
MARINELLA AFRICANO
– LETTERE DELLA RESISTENZA
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contributi:
Una storia sulle origini del fascismo
Il termine “fascio” aveva un significato importante nel mondo agricolo a cavallo tra otto e novecento, rappresentava una immagine plastica e facilmente intelligibile per le masse contadine analfabete nell’Italia monarchica e liberale. Fascio richiama ad un insieme di steli che proprio nel loro raggruppamento trovano forza e resistenza. L’esempio che veniva proposto nei comizi e nelle adunanze contadine era il seguente: “Prendete un giunco, da solo è debole e si flette facilmente, ma in fascio nessuno può spezzarlo”. Un modo efficace per dire che l’unità fa la forza. Per primi i contadini siciliani ne fecero uso intorno al 1890 in quello che è conosciuto come Il movimento dei fasci siciliani, un movimento di occupazione dei feudi e di mutuo soccorso finalizzato a riscattare millenni di sfruttamento e ingiustizie, in uno spirito genuinamente solidaristico e di ispirazione socialista. I capi del movimento incitavano alla lotta con il detto: “Se divisi siam canaglia stretti in fascio siam potenti.”
Il fascio del 1919/20 ha invece le caratteristiche di una organizzazione militare finalizzata alla difesa degli interessi dei grandi proprietari agricoli del nord Italia. Nasce perché l’aristocrazia proprietaria temeva lo sbilanciamento dello stato verso le rivendicazioni popolari e operaie particolarmente pressanti subito dopo la prima guerra mondiale. In quegli anni la forza proletaria si esprimeva con l’occupazione delle fabbriche e con le agitazioni scaturite dal ritorno dei soldati dal fronte. Il fascismo era dunque già costituito in piccoli nuclei fra i proprietari agrari dell’Alta Italia, che con tale formazione intendevano difendere le loro proprietà dall’invasione dei contadini. Alcuni elementi ex militari, che vedevano con simpatia il costituirsi in fasci delle forze conservatrici, davano volentieri il loro appoggio. Il movimento fascista aveva dunque carattere puramente militare e locale. Erano squadre di aristocratici, di giovani proprietari spinti dall’odio per le masse, timorosi dell’azione del governo che, a loro parere, era incline alla democrazia parlamentare; essi cercavano di avere una forza a propria disposizione da usare contro gli espropri proletari.
E’ a questo punto che nella grande scena nazionale entra Mussolini. Agli occhi della borghesia possedeva già un biglietto da visita di tutto rispetto: con il suo giornale aveva appoggiato l’intervento dell’Italia nella guerra, inoltre era stato il protagonista dell’incendio dell’Avanti del 1919. Era nemico dei principali personaggi del movimento socialista, per odio e per febbre di predominio. Nel periodo che precede le elezioni amministrative del 1920 Mussolini e molti rinnegati si orientano decisamente verso la reazione, anzi ne prendono audacemente la direzione politica. Intuiscono che col fascismo avrebbero compiuto la loro ascensione fino ad impossessarsi dello stato. Concepirono il progetto di allargare le basi del fascismo fino a farne una forza politica. Irrobustirono lo squadrismo con l’assoldare elementi violenti anche per specifiche spedizioni, si garantirono l’ascesa con la corruzione e la penetrazione dentro la burocrazia, nei corpi armati, nella giustizia. La borghesia urbana e industriale fu coinvolta nella necessità di organizzare le forze reazionarie e cominciò la tassazione di grosse somme per mettere capitali ingenti a disposizione del nascente fascismo. Da buoni marxisti che applicano all’incontrario le loro competenze seppero muovere le forze reazionarie in modo da polarizzare non solo molti borghesi, ma anche forze proletarie prive di consapevolezza (reduci di guerra, disoccupati ecc.); la base dello squadrismo risultava essere la parte più povera del proletariato, che, come Marx aveva detto, sarebbe stata sempre pronta ad allearsi con la reazione, lasciandosi illudere e ammaliare da promesse vane.
L’organizzazione originaria era la seguente: alla singola sezione erano iscritti i soci contribuenti, che pagavano una quota fissa mensile e i membri delle squadre d’azione. Il Fascio era diretto da un segretario politico affiancato da un comandante militare dal quale dipendevano i capi delle squadre di azione. Quando occorreva agire le squadre d’azione assoldavano anche altri elementi della malavita, pagandoli profumatamente e utilizzandoli in città diverse da quelle di residenza (ad esempio parecchi malviventi romani hanno fatto gli squadristi in Liguria per periodi più o meno lunghi). La prima importante operazione fascista fu la conquista del basso Po tra il 1920 e il 1921. La scelta dell’Emilia non fu fatta a caso. Impossessarsi dell’Emilia voleva dire colpire uno dei centri più vivaci del socialismo, inoltre permetteva di incunearsi fra il nord e il centro Italia. A Bologna il risentimento degli agrari era più forte che altrove, per il modo violento col quale erano stati colpiti i loro privilegi. Quindi più facili le simpatie borghesi per la repressione violenta. In questo quadro avvennero i fatti di palazzo D’accursio durante i festeggiamenti per l’insediamento della giunta socialista appena eletta. Il programma che i capi della reazione si erano posti era soffocare il socialismo, schiacciare il proletariato, impossessarsi dello Stato. Ma per assolverlo bisognava costruire un organismo militare (le legioni fasciste), coordinare l’azione (il partito fascista), combattere una guerriglia. Tutto ciò causò oltre ventimila morti e migliaia di feriti.
A Bologna gruppi di fascisti minacciarono apertamente di assaltare la camera del lavoro. A difenderla furono raccolti un centinaio di compagni, in parte arrivati in camion da Imola che si asserragliarono dentro armati. Per tre giorni aspettarono eventuali attacchi senza pensare a un servizio di vedette intorno alla sede o nei probabili punti di adunata del fascio. Dirigeva questo gruppo non un capo militare che sentisse tutta la responsabilità dell’azione, ma un deputato, un oratore, affaccendato in mille questioni. Quando poi la difesa armata della camera del lavoro si dimostrò un atto concreto e non sola apparenza, quest’uomo perdette la testa e chiese per telefono l’intervento della questura. I difensori ottennero un primo successo fermando nelle vicinanze della camera del lavoro un tram sul quale scorrazzavano i fascisti. Arrivò infine l’assalto di una pattuglia d’avanguardia fascista, guidata da un oscuro tenente Pappalardo, contro il portone principale ma i compagni li respinsero a colpi di rivoltella. La guardia regia due ore dopo la battaglia circondò l’edificio e iniziò ad arrestare i difensori.
Alcuni giorni dopo, c’era in programma l’insediamento a palazzo D’accursio del nuovo Consiglio comunale socialista appena eletto, i fascisti dichiararono che lo avrebbero impedito e diffusero un manifestino nel quale invitavano tutti a starsene a casa. Le sezioni socialiste cittadine allora organizzarono un direttorio per la difesa. Furono portate delle bombe dentro il palazzo, costituite delle squadre di giovani nei quartieri. Ma tutto questo ebbe il difetto dell’improvvisazione. I comandanti non erano degli esperti, né gli uomini ebbero il tempo di esercitarsi. Il piano delle autorità per presidiare la piazza impedì preventivamente l’azione socialista. Alla periferia non fu data alcuna parola d’ordine né fu stabilito alcun collegamento. Appena la prima pattuglia di fascisti arrivati in ordine sparso spezzò i cordoni di cavalleggeri, i socialisti si sbandarono sospinti dalla folla impaurita. Iniziò la sparatoria, anche dall’interno del palazzo partirono colpi d’arma e lanci di bombe a mano. Altri fascisti sopraggiunsero di corsa, inquadrati; infine anche le guardie regie cominciarono il fuoco contro il palazzo. Fu una strage.
Nei giorni seguenti la giunta appena eletta fu sciolta e nominato un prefetto. I socialisti sospesero ogni azione mentre i fascisti imbaldanziti incominciarono la catena di sopraffazioni individuali e le spedizioni punitive, protetti dalla prefettura. Da altre città gruppi di operai chiedevano di essere inviati sul campo della lotta, ma nessuno intendeva coordinare queste forze. Essendosi affermati a Bologna i fascisti si irradiarono nella provincia. Camion carichi d’uomini armati piombavano nei quartieri operai, nei villaggi, specie di notte. Si dividevano in nuclei, incendiavano il circolo, la lega, la cooperativa, uccidevano, ferivano, e fuggivano via subito, tornando alle loro sedi. I proletari mancavano di collegamento, falsi allarmi aumentavano la confusione. Quando i fascisti arrivavano la difesa era impreparata, stanca, insufficiente.
I fascisti erano strutturati in gruppi di comando e in squadre d’azione, mentre svariati manipoli di uomini assoldati in altre provincie venivano ospitati clandestinamente presso le aziende agrarie; invece i fasci delle città e dei piccoli comuni raccoglievano tutte le forze reazionarie, ne coltivavano i rancori, l’opinione, li indirizzavano contro le organizzazioni operaie e i loro rappresentanti. Avevano costituito un’efficace opera di spionaggio, facevano indagini, segnalavano e anticipavano le mosse degli avversari e davano le dritte alle squadre di fascisti nelle spedizioni punitive. Il tipo d’azione, una volta individuato l’obiettivo e stabilita la capacità di resistenza possibile, consisteva nel piombarvi sopra con forze adeguate a vincere. Per l’operazione gli squadristi avevano armi, munizioni, camion spesso fornite sottomano dalle autorità militari. Se una improvvisa resistenza li sbaragliava, allora sopravveniva la spedizione più grossa, nei casi peggiori intervenivano anche le forze dello Stato.
Da Bologna l’azione fascista si irradiò nel Ferrarese attraverso una propaganda intensa fatta con mezzi vastissimi. Ben presto fu toccata anche la Toscana. A Ferrara i socialisti organizzarono la difesa presidiando i locali pubblici; respinsero in un primo tempo l’assalto fascista alla camera del lavoro, al palazzo della giunta, al comune socialista. L’azione di resistenza sorprese i fascisti, la loro disfatta ne diminuì l’aggressività. In sostegno arrivò l’azione del Governo che impose il disarmo delle due provincie emiliane. S’intende che a deporre le armi fu il solo proletariato. Lo Stato sequestrò in tal modo 5000 fucili, migliaia di rivoltelle, pugnali, baionette, munizioni, bombe, proiettili in grande quantità. Mentre i fascisti conservarono i loro depositi nelle ville dei signori, nei magazzini militari, aumentando così in prepotenza. La loro forza, essendo oramai fatta di molte migliaia di uomini, ringalluzzì i borghesi e coloro che amano stare dalla parte dei vincenti.
Mentre i maggiorenti del partito socialista rimanevano smarriti, piccoli nuclei di eroici operai, poggiandosi sui centri non attaccati ancora dal fascismo, malgrado i bandi, le morti, gli arresti, le condanne, iniziarono, sotto il vessillo del partito comunista, una audace guerriglia. Nella combattiva Imola gli elementi più agguerriti si erano costituiti in frazione comunista combattente. I gruppi operai, come norma di combattimento, seguivano la più elementare: contrattaccare i fascisti quando questi si presentavano nei quartieri. I fascisti invece compivano le loro puntate come le pattuglie d’assalto d’un esercito ben organizzato. Lo Stato, che aveva il grosso nei reparti di carabinieri e nelle guardie regie ammassate nei punti strategici, non appena le zuffe si generalizzavano o quando la massa operaia si rivelava combattiva, intervenivano sferrando attacchi in appoggio dei fascisti.
Dal 1922 la partita si chiude, il ventennio si apre. Lo stato fascista metterà da questo momento le catene ad ogni sogno… ed i sonni si riempiranno di incubi. La storia, come le onde del mare, tornerà a sollevarsi con la lotta di liberazione partigiana… ed ancora la reazione farà stragi; ci sarà la riscossa con la resistenza, il ’48 democristiano, i tentati golpe degli anni ’60 e ’70, le rivolte giovanili dello stesso periodo. Con il dipanarsi di un storia sempre più universale, la reazione tornerà nei panni di Reagan e Margareth Tatcher. L’iper liberismo (reazionario) degli anni ’80 continuerà lo sfruttamento capitalista del lavoro. Lo sbocco finanziario degli anni novanta sposterà lo sfruttamento su un piano virtuale, spersonalizzato, che si abbatte sugli individui sotto le false vesti della libertà di scegliere, in un quadro di precarietà normativizzata. I partiti di massa e poi quelli delle lobbies nel frattempo si sono inabissati lasciando una realtà che i sociologi definiscono liquida. Una società in cui la comunicazione diffusa rischia di assomigliare ad una censura gestita scientificamente. Rimane comunque il compito di promuovere liberazione, di increspare questa società liquida, evitando che diventi un putrido stagno… Necessita provocare ancora altre mille e mille onde.